Vedeva le parole adesso, vibrazioni che danzavano nell'aria. Guardava le pietre volare sulla faccia e sul corpo della dottoressa Cass. Fece un cenno affermativo col capo e disse: «Che cosa hai visto». Si, lui era li, lui aveva visto. «Che cosa hai visto» ripete, annuendo di nuovo. Lei mollo la presa. Ira si alzo e comincio a camminare in tondo.

La donna lo seguiva, pulsante di energia.

Ira guardo in cielo, perche guardarla gli era insopportabile, adesso. Le mani presero a tremargli, descrivendo cerchi attorno ai fianchi. La respirazione si fece rapida e affannosa. Stava soffocando.

«Che cosa hai visto?»

«Lei era rossa!» urlo e guardo le sue parole scoppiare in onde colorate. «Niente piu chiasso, il cane pianse.» La seconda frase venne fuori in una tonalita piu tranquilla, grigia come la pietra. «La lettera era azzurra.» Le ultime parole erano ciottoli smussati che cadevano a terra.

«La lettera?»

«Azzurra.» Assenti per dire che era azzurra e niente altro; non sapeva nulla di piu.

«Quante erano le persone che scagliarono le pietre? Quante?» chiedeva la donna senza stancarsi. Le mani di Ira roteavano l'una sull'altra, sempre piu veloci.

«Ventisette persone! Diciotto pietre!» Il suo conteggio era esatto. Doveva solo guardare nell'apparecchio televisivo nella sua testa, per rivedere ogni lancio di pietra, ogni corpo.

Si diresse alla statua dell'angelo e la circondo con le braccia. Batte la testa contro la pietra cercando di farsi male, ma senza sentire nulla. Lei lo strappo via. La sua mano gli si poso sulla testa, dov'era sgorgato il sangue.

«Era tutta rossa» disse lui.

«Lo so, Ira. L'ho vista anch'io. Tutta rossa.»

La donna stacco la mano e si sedette sull'erba. Qualche attimo dopo, si sedette anche lui, a distanza di sicurezza. Lei aveva tra le mani il fazzoletto che gli aveva tolto di tasca, macchiato del suo sangue. Ira incrocio il suo sguardo solo una volta e per caso. La donna prese a fischiare il motivo di una ninna nanna che lui conosceva bene. Ira si dondolava, e lei con lui. Tutto questo gli era familiare, qualcosa di caro che aveva custodito con attenzione.

D'un tratto ritrovo l'immagine di una bambina che cantava insieme a lui. Era stata la sua sola amica, l'unica persona che non l'avesse mai tormentato.

Dondolando, Ira rovescio la testa e guardo le nuvole. «Kathy.»

«Si, Ira?»

«Kathy» fu tutto quel che disse, ed era gia tanto, perche lo disse con amore.

10

Non c'erano tende alle finestre, eppure Charles si chiese se non l'avessero informato male. La casa di Cass Shelley avrebbe dovuto essere vuota, ma la presenza del cane gli fece sospettare il contrario.

Il labrador nero era arrivato dal retro della casa, zoppicando. Qualcuno dei denti anteriori era rotto, qualche altro mancava. Sul suo muso ingrigito, Charles lesse una gran delusione: quella povera bestia stava forse aspettando qualcun altro?

L'animale abbasso la testa e ritorno zoppicante da dove era venuto, scomparendo tra i cespugli in fondo al cortile.

Henry Roth non era ancora arrivato. Charles diede un'occhiata all'orologio. Mancava un quarto d'ora all'appuntamento.

Fece qualche passo indietro per ammirare gli elaborati intagli del portico della vecchia casa vittoriana. I bovindo delle due torrette laterali esibivano preziosi vetri bombati. Augusta non aveva badato a spese per la manutenzione della casa.

Charles sali la breve rampa fino all'ingresso e provo a girare la maniglia: la porta non era chiusa a chiave. Henry Roth doveva essere arrivato prima e averla lasciata aperta per lui. Entro nell'atrio.

«Signor Roth? E qui?»

Nulla.

Una serie di porte immetteva probabilmente in un ampio salotto. Se ricordava bene l'architettura del periodo, all'altro capo dell'atrio avrebbe dovuto trovarsi la piccola scala per la servitu, quella che dalla cucina conduceva al solaio, Apri l'ultima porta del vestibolo e comincio a salire.

Giunto all'ultimo piano, vide la porta della soffitta aperta su un vano buio. Appena i suoi occhi si furono adattati all'oscurita, si rese conto che quasi tutti gli abbaini erano bloccati da bauli e mobili. C'era polvere ovunque, e voltandosi Charles si accorse di aver lasciato le impronte dei propri passi sul pavimento di legno scuro. Nulla era stato toccato da molto tempo. Contro una parete erano impilate scatole di plastica trasparente, ognuna contrassegnata da un'etichetta accuratamente compilata. In fondo era appoggiata una borsa da dottore.

Charles tolse la polvere da una scatola etichettata «Corrispondenza di lavoro», e attraverso la plastica vide un pacchetto di lettere. Apri la scatola e avvicino le buste alla luce che entrava dall'unica finestra libera. Erano indirizzate a Cass Shelley, medico condotto e ufficiale sanitario del distretto.

Un'altra scatola recava la scritta «Diari». Venti minuti dopo Charles era immerso nella lettura di alcune pagine dedicate al piccolo Ira Wooley. Nel tracciare la sua storia medica, Cass Shelley si esprimeva in termini quasi poetici, pieni d'ammirazione per il talento di quel bambino, suo paziente fin dalla nascita.

L'agenda della dottoressa Shelley era custodita in una busta di plastica recante il cartellino di prova giudiziaria dell'ufficio dello sceriffo. All'interno trovo una copia carbone sbiadita della ricevuta firmata dall'esecutrice testamentaria, Augusta Trebec. Apri la pagina con gli ultimi appuntamenti, risalenti a diciassette anni prima, e trovo il nome di Ira. Il bambino, di sei anni, era atteso per una lezione di piano e non per una visita medica. Cosi, era stata Cass Shelley a insegnargli a suonare. La data era la stessa del suo ultimo giorno di vita.

E se Ira avesse assistito alla sua morte?

Questo avrebbe spiegato il blocco dei suoi progressi, la sua chiusura, le carenze espressive.

Charles aveva in mano la ricevuta dello sceriffo: anche Jessop doveva aver avuto lo stesso pensiero. Aveva interrogato il ragazzo? Poteva aver causato altri danni con quell'interrogatorio?

Era tanto preso dai suoi pensieri, che non senti i passi finche non gli furono quasi addosso. Stava per voltarsi a salutare Henry Roth, ma si trovo a fissare una canna metallica nero-azzurra a pochi centimetri dal viso. Rimase immobile, respirando appena.

L'arma torno nella fondina. «Buongiorno, signor Butler.»

«Ho una lettera di autorizzazione di Augusta Trebec.» Charles accenno alla tasca interna della giacca.

«Non ce n'e bisogno. Mi dispiace averla spaventata.»

Lo sceriffo sembrava sollevato. Stava per concedersi un sorriso, quando lo sguardo gli cadde sull'agenda che Charles aveva in mano.

«Stavo aspettando Henry Roth» disse Charles. «Dovevamo incontrarci qui.»

«Forse Henry e in cortile, a dar da mangiare al cane. Lo fa tutti i giorni.» Lo sceriffo fissava la fila di scatole.

Charles si alzo, pulendosi i calzoni con la mano libera. «Mi aveva preso per un ladro?»

«La luce qui e pessima. Ho visto solo un'ombra.» Lo sceriffo indico l'agenda che Charles aveva in mano. «Ha trovato qualcosa di interessante?»

«So che Ira aveva un appuntamento per una lezione di piano il giorno in cui Cass Shelley e morta. Penso che la lezione facesse parte della terapia comportamentale di Ira.»

«Non c'e bisogno che lei dica a nessun altro della lezione.»

«Sua madre lo sa?»

«Non ne ho mai parlato con Darlene. Lo dissi al marito che allora era ancora vivo. Mi racconto di aver annullato la lezione. Aveva litigato con Cass, stava pensando di cambiare medico.»

«Dall'agenda di Cass Shelley non risulta alcuna cancellazione. Cosi lei non ha mai chiesto a Darlene se…»

«Non credo ci sia bisogno di parlarne a Darlene» disse lo sceriffo, come se stesse spiegando qualcosa a un bambino per la decima volta, e ne fosse seccato.

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