CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Di giorni oscuri e lontani

«Ascolta, dunque, Abner. Prima, pero, e necessario farti presente alcune condizioni il cui rispetto e assolutamente indispensabile. Non voglio interruzioni. Ne voglio scatti d’ira, domande, giudizi. Non fino a quando non avro finito. Ho il dovere di avvertirti che molte delle cose che ti diro ti risulteranno truci e terribili. Tuttavia, se lascerai che io proceda nel mio racconto dal principio alla fine, allora, forse, capirai. Mi hai chiamato assassino, vampiro, e in un certo senso e cio che sono. Anche tu, intanto, hai ammesso d’aver ucciso. Le circostanze, pero, giustificherebbero i tuoi atti: di questo nei sei piu che convinto. Beh, cio vale anche per me. E, se non del tutto giustificati, i miei delitti sono perlomeno attenuati dalle circostanze. Adesso ascolta tutto cio che ho dirti prima di condannare me e la mia razza.

«Comincero il mio racconto parlandoti della mia persona, della mia vita, e tutto il resto ti sara rivelato cosi com’io stesso ebbi ad apprenderlo.

«Volevi sapere quanti anni ho. Sono giovane, Abner, nel primo rigoglio dell’eta matura, stando ai parametri della mia stirpe. Vidi i natali nel 1785, in una cittadina della provincia francese. Non conobbi mai mia madre, per ragioni che svelero piu avanti. Mio padre apparteneva alla piccola nobilta, vale a dire che si era assicurato un titolo nobiliare, una sorta di lasciapassare nella societa francese. Si era stabilito in Francia da parecchie generazioni e godeva di una posizione solida e rispettabile, cio nondimeno indicava nell’Europa orientale la sua terra d’origine. Possedeva un consistente patrimonio e qualche acro di terra. Per giustificare la sua innaturale longevita, intorno al 1760 era ricorso ad uno stratagemma grazie al quale si era fatto passare per suo figlio fino a sostituirsi definitivamente in questa nuova veste.

«Percio, come vedi, ho quasi 72 anni e ho avuto effettivamente la grande fortuna di conoscere Lord Byron. Il che, naturalmente, accadde qualche tempo dopo.

«Mio padre era come me. E cosi pure due dei nostri servi, e costoro piu che servi erano nostri compagni. Furono questi i tre adulti dai quali appresi le lingue, le buone maniere, gli usi e i costumi del mondo… e le precauzioni. Durante il giorno dormivo ed uscivo soltanto di notte, imparai a temere l’alba cosi come i bambini della tua razza, una volta bruciatisi, temono il fuoco. Io ero diverso dagli altri — cosi mi fu insegnato — diverso, superiore, un signore. Di queste differenze, pero, non dovevo far menzione, altrimenti il bestiame umano avrebbe avuto paura di me e mi avrebbe ucciso. Dovevo fingere che i miei orari cosi peculiari fossero unicamente il frutto di preferenze particolari. Dovevo imparare ed osservare la dottrina cattolica, financo ricevere la Comunione durante spaciali messe notturne nella nostra cappella privata. Dovevo — beh, meglio fermarmi qui. Capisci, Abner, allora ero solo un bambino. Col passare del tempo, se le cose non fossero cambiate, avrei imparato molto di piu, avrei cominciato a capire il perche di tutto questo, mi si sarebbe chiarita la natura di coloro che mi circondavano, le ragioni di quella anomala esistenza. Allora sarei diventato tutt’altra persona.

«Nel 1789, pero, i fuochi della Rivoluzione deviarono irrevocabilmente il corso della mia vita. Imperava il Terrore quando fummo presi. Malgrado tutte le sue accorte precauzioni, le cappelle e gli specchi, mio padre aveva destato inquietanti sospetti con le sue abitudini notturne, la sua solitudine, la misteriosa ricchezza. Furono i nostri stessi servitori — quelli della razza umana — a denunciarlo come stregone, un satanico, discepolo del Marchese de Sade. E, peccato piu infame di tutti, era un aristocratico. I suoi due compagni, reputati dei semplici servi, riuscirono a farla franca, noi due invece, mio padre ed io, fummo arrestati.

«Per quanto fossi giovanissimo a quell’epoca, serbo ancora vivide nella memoria le immagini della cella nella quale fummo imprigionati. Umida e fredda, di pietra nuda e scabra, era chiusa da una enorme porta di ferro, cosi massiccia e pesantemente sprangata che a nulla valse la pur titanica forza di mio padre. Un tanfo di urina ristagnava in quella cella, e vi dormimmo senza coperte, distesi sopra un giaciglio di sudicia paglia disseminata sul pavimento. Un’unica finestra, alta sopra di noi, si apriva obliqua nella solida parete di roccia il cui spessore era sicuramente non inferiore ai tre metri. Era piccolissima la nostra prigione, e il perimetro esterno era tutto solidamente sprangato. Credo che ci trovassimo al di sotto del livello del terreno, dentro una specie di cantina. Solamente un tenue lucore riusciva a penetrare laggiu, il che, ovviamente, costituiva per noi una circostanza provvidenziale.

«Quando ci ritrovammo soli, mio padre mi istrui su cio che avrei dovuto fare. Egli non riusciva neppure a raggiungere la finestra, quell’angusta breccia nel muro, ma io si. Potevo, ero ancora piccolo. E gia possedevo la forza per neutralizzare le massicce sbarre. Mio padre mi ordino di lasciarlo li solo. E mi diede anche molti altri consigli. Mi disse di vestirmi di cenci e di comportarmi in modo da non attirare l’attenzione degli altri verso di me. Di nascondermi durante il giorno e rubacchiare cibo di notte. Non avrei mai dovuto far parola ad alcuno della mia diversita. Dovevo anche procurarmi una croce da portare sempre al collo. Non capii neppure la meta di tutto cio che mi disse, e presto ne dimenticai la gran parte, ad ogni modo promisi obbedienza. Mi ordino, tra l’altro, di lasciare la Francia e di mettermi sulle tracce dei due servitori scomparsi. Insistette con fermezza affinche io non tentassi di vendicarlo. Col tempo mi sarei saziato di vendetta — mi disse — perche tutta quella gente, i nostri persecutori, sarebbe morta, io, invece, avrei continuato a vivere. Poi aggiunse una cosa che non ho mai dimenticato. “Non possono farci nulla. La Sete Rossa tormenta la nazione, e solo il sangue puo saziarla. Essa e la nostra rovina, la rovina di tutti noi.” Gli chiesi, allora, che cosa fosse la sete rossa. “Non passera molto che tu stesso la conoscerai e capirai da te,” mi rispose. “Non. potrai sbagliarti, la riconoscerai.” Poi, cio detto, mi prego di andare. M’infilai nella stretta apertura della finestra. Le sbarre erano vecchie ed arrugginite; essendo praticamente impossibile a chiunque raggiungerle, esse non erano mai state sostituite. Mi si spezzarono tra le mani.

«Dopo quella volta non rividi mai piu mio padre. In seguito, dopo la Restaurazione che segui alle guerre di Napoleone, feci ricerche su di lui. La mia sparizione dalla cella era stato l’ultimo, definitivo sigillo del suo destino. Oltre ad essere un aristocratico, era certamente uno stregone. Fu processato e condannato. Una ghigliottina di provincia gli porto via la testa. Bruciarono il corpo, come voleva la prassi in caso di stregoneria.

«Tutto cio avvenne a mia insaputa. Scappai dalla prigione e dalla provincia e vagabondando da un villaggio all’altro feci di Parigi la mia meta; in tempi come quelli, dove il caos dominava supremo, nella grande capitale era piu facile garantirsi la sopravvivenza. Di giorno trovavo rifugio in qualche tenebrosa cantina, e quanto piu essa era buia tanto meglio vi abitavo. La notte uscivo allo scoperto e rubavo cibo. La carne, principalmente. Non gradivo molto la frutta o le verdure. Man mano mi perfezionai fino a diventare un abile ladro. Ero lesto, silenzioso e incredibilmente forte. Mi sembrava che ad ogni nuovo giorno le unghie mi si facessero piu affilate e robuste. Una porta di legno non costituiva una barriera per i miei artigli. Non destavo la curiosita di nessuno, e nessuno mi faceva domande. Parlavo un ottimo e colto francese, ed un corretto inglese, me la cavavo abbastanza col tedesco. A Parigi non tardai a far mio il gergo dei bassifondi. Mi misi alla ricerca dei nostri due servitori, gli unici appartenenti alla mia razza che avessi mai conosciuto, ma non avendo una minima traccia da seguire i miei sforzi risultarono vani.

«E cosi crebbi tra la tua gente. Il bestiame. Il popolo del giorno. Acuto e intelligente ne osservai con attenzione i modi e la condotta. E quanto piu spiavo chi mi stava attorno, tanto piu prendevo coscienza della mia radicale diversita da essi. Ero diverso, si, esattamente come mi era stato insegnato, e superiore. Piu forte, piu veloce e — ebbi modo di convincermene — piu longevo. La mia unica debolezza era la luce del giorno. Ma serbai gelosamente tale segreto.

«A Parigi, tuttavia, conducevo una vita misera, abietta, e tediosa. Volevo di piu. Cominciai allora a rubare soldi oltre che cibo. Trovai chi mi insegnasse a leggere, dopodiche presi a rubare anche i libri ogni volta che mi fosse possibile. Una volta o due rischiai di esser scoperto, ma riuscii sempre a cavarmela. Sapevo confondermi tra le ombre, scalare muri in un battito di ciglia, muovermi con la felpata silenziosita di un gatto. Forse coloro che mi inseguivano credevano che riuscissi a dissolvermi in fumo. Tanta era la mia scattante rapidita che di certo, in talune occasioni, doveva sembrar cosi.

«Allo scoppio delle guerre napoleoniche fui ben accorto ad evitare l’esercito; sapevo che entrando nei suoi ranghi sarei stato costretto ad espormi alla luce diurna. Ma seguii egualmente le truppe nelle loro campagne; in tal modo viaggiai attraverso l’Europa arsa dal fuoco e dilaniata dal ferro, e dappertutto vidi morte. La dove l’Imperatore andava, ivi c’era per me ghiotto bottino.

«Fu in Austria, nel 1805, che arrivo per me la grande occasione. Sulla strada a notte fonda mi imbattei in un ricco mercante viennese fuggito all’incipiente arrivo dell’esercito di Francia. Aveva con se tutto quanto il suo

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