fruttare in maniera pulita e onesta. Ormai mi esprimevo fluentemente in lingua inglese, Cambiai di nuovo nome, feci di me, nell’aspetto e nella condotta, un vero gentiluomo, acquistai una casa isolata nella brughiera scozzese, dove il mio comportamento non avrebbe attirato grande attenzione, e presi al mio servizio domestici dal carattere riservato. Ogni mese lasciavo la proprieta per attendere ai miei affari, partivo sempre di notte. Nessuna delle mie prede abitava nei paraggi. I miei servitori non sospettavano nulla.
«Finalmente approdai a quella che mi sembrava potesse essere una risposta. Una delle mie domestiche, una giovinetta molto graziosa, si era dimostrata particolarmente cordiale e affettuosa nei miei confronti. Sembrava che le piacessi, e non solamente in qualita di datore di lavoro. Quanto a me, ricambiavo questo affetto. Era onesta, allegra, e molto intelligente, seppur non istruita. Cominciai a vedere in lei un’amica e una possibile via d’uscita. Avevo spesso preso in considerazione la possibilita di incatenarmi, o altrimenti di rinchiudermi in qualche posto fino a quando la Sete Rossa non fosse passata, ma non avevo mai trovato un sistema efficace per attuare questo mio proposito. Se avessi messo la chiave alla mia portata l’avrei certamente usata non appena fossi caduto in balia della sete. Se, al contrario, l’avessi gettata via, come avrei fatto poi a liberarmi? No, per tentare una simile soluzione era necessario l’aiuto di un’altra persona, un’eventualita questa che avevo sempre scartato, memore del consiglio di mio padre il quale mi aveva seriamente ammonito a non fidarmi di nessuno. Non dovevo rivelare ad alcuno il mio segreto.
«Ma stavolta decisi di rischiare. Licenziai gli altri domestici e non assunsi nessun altro al loro posto. Mi feci costruire una stanza all’interno della casa; una piccola stanza senza finestre con spesse pareti di pietra ed una porta di ferro anch’essa spessa e massiccia, uguale a quella che ricordavo nella cella che avevo diviso con mio padre. Tre grossi catenacci di metallo ne avrebbero assicurato la chiusura dall’esterno. Non avrei avuto via d’uscita. Quando l’opera fu completata chiamai la mia graziosa domestica e le diedi le opportune istruzioni. Non mi fidavo di lei tanto da rivelarle tutta la verita. Sai, Abner, temevo che se lei avesse saputo chi ero in realta, mi avrebbe denunciato, o sarebbe fuggita all’istante, e la soluzione che ormai mi sembrava cosi vicina e attuabile mi sarebbe sfuggita di mano, sarebbe svanita, e con essa la mia casa, il mio patrimonio, la vita che mi ero creato. E cosi le dissi soltanto che una volta al mese venivo colto da un raptus di follia, un accesso simile a quelli prodotti dall’epilessia. Durante queste crisi, le dissi, sarei entrato nella mia stanza speciale e lei avrebbe dovuto chiudermici dentro serrando i tre catenacci e fare in modo che vi rimanessi per tre giorni. Avrei portato con me cibo ed acqua, oltre a qualche pollastro vivo, per calmare un po’ la sete, capisci.
«La ragazza ne fu sconvolta, preoccupata e sconcertata, ma alla fine acconsenti ad eseguire quanto le avevo chiesto. Credo che a suo modo mi amasse e desiderasse fare qualcosa per me, per il mio bene. Entrai quindi nella stanza e lei serro la porta dietro di me.
«E venne la sete. Fu qualcosa di terrificante. L’assenza di finestre non mi impediva di percepire l’inizio e la fine di ogni giornata, l’avvicendarsi della luce e del buio. Di giorno dormivo, come di consueto — ma la notte era un delirio d’orrore. Uccisi tutti i polli la prima notte, e mi ingozzai del loro sangue e della loro carne. Chiesi allora di esser liberato e la mia fedele fanciulla rifiuto. Le urlai le ingiurie piu empie. Poi urlai solamente — suoni sconnessi, grugniti animaleschi. Mi gettavo contro le pareti, battevo pugni sulla porta fino a sanguinare per poi accosciarmi in un angolo a succhiare avidamente il mio stesso sangue. Cercai di scavarmi ad unghiate un varco nella pietra la dove questa era piu soffice — inutile.
«Il terzo giorno divenni piu ragionevole. Era come se la malia di quel delirio si fosse infranta. Adesso discendevo la china, ritornavo ad essere me stesso. Sentivo che la sete andava scemando. Chiamai la servetta alla porta e le dissi che la crisi era passata, che poteva lasciarmi uscire. Essa rifiuto, e mi rammento che le avevo raccomandato di tenermi prigioniero nella stanza per tre intere notti — e cio, di fatto, corrispondeva al vero. Risi e riconobbi che aveva ragione, ma le dissi che la crisi era superata e sapevo con certezza che sarebbe ritornata non prima di un mese. Cionondimeno non voleva saperne di liberarmi anzitempo. Non inveii contro di lei per questo. Le manifestai la mia comprensione, la lodai, anzi, per aver eseguito gli ordini con tale precisione. Le dissi di rimanere li dov’era a parlare con me — in quella prigione sentivo il peso della solitudine. Lei acconsenti e conversammo per quasi un’ora. Ero calmo, coerente nel parlare, accattivante persino, rassegnato ormai alla prospettiva di un’altra notte in quella cella. Fu cosi pacata e razionale la nostra conversazione che la ragazza non tardo a riconoscere che ormai ero tornato in me. Apprezzai il suo senno e la sua comprensione e magnificai i suoi meriti e l’affetto che provavo per lei. Infine le chiesi di sposarmi quando sarei stato nuovamente libero.
«Apri la porta. Sembrava cosi felice, Abner. Cosi felice, e viva. Era piena di vita. Mi venne vicino e mi bacio, ed io la presi tra braccia e l’attrassi a me. Ci baciammo a lungo. Poi le mie labbra scivolarono lascivamente lungo il suo collo, e trovai l’arteria, e l’aprii. Bevvi… bevvi a lungo. Ero cosi terribilmente assetato e la vita che suggevo da lei era cor si dolce. Ma quando la lasciai andare ed essa si allontano da me vacillando penosamente, un ultimo alito di vita era ancora in lei, esangue e morente ma ancor lucida e padrona della sua coscienza. Quello sguardo, Abner. L’espressione di quegli occhi.
«Di tutte le turpi azioni che avevo compiuto fino a quel momento, quella fu la piu orribile. Quella fanciulla sara sempre con me, Abner. Quello sguardo non mi abbandonera mai.
«Una disperazione senza confine mi sopraffece di li a poco. Tentai il suicidio. Comprai un pugnale d’argento con l’impugnatura foggiata a croce — mi lasciavo ancora suggestionare dalle superstizioni, capisci. E mi tagliai le vene dei polsi, adagiandomi in una vasca piena d’acqua calda per facilitare l’emorragia. Volevo morire dissanguato. Guarii. Mi gettai di peso sulla lama di una spada alla maniera degli antichi Romani. Guarii. Ogni volta scoprivo qualcosa di piu sulle stupefacenti possibilita della mia natura. Guarivo con una rapidita eccezionale, soffrendo soltanto di un breve dolore. Il mio sangue si coagulava praticamente all’istante, indipendentemente dalla grandezza e dalla profondita della ferita che infliggevo a me stesso. Qualunque cosa fossi, un dato era certo, ero qualcosa di portentoso.
«Poi finalmente, dopo tanti vani tentativi, trovai la soluzione. Fissai due massicce catene di ferro sul muro esterno della casa. Infilai i polsi nelle forti manette, feci scattare la chiusura e gettai la chiave il piu lontano possibile. Cosi, impastoiato, attesi l’alba. Il sole aveva su di me un effetto peggiore di quello che rammentavo. Bruciava e mi accecava. Ogni cosa intorno a me si sfoco in una visione confusa ed amorfa. Fiamme ardevano la mia pelle. Forse gridai. Di certo chiusi gli occhi. Rimasi esposto al flagello per ore, approssimandomi di momento in momento alla soglia della morte. Nulla era in me oltre alla colpa.
«Ed allora, chissa come fu, all’apice di quel delirio mortale, scelsi di vivere. Come cio avvenne, o perche, non so dirlo. Ma in quell’attimo ebbi come la consapevolezza di aver sempre amato la vita, la vita ch’era in me e negli altri. Capii in quell’istante perche la gioventu, la bellezza, il vigore avessero sempre esercitato su di me una irresistibile attrazione. Aborrivo me stesso perche cagionavo la morte altrui, perche seminavo morte, ed ecco che ora ricadevo nel medesimo fallo, uccidevo ancora, distruggevo, seppur stavolta la vittima ero io stesso. Capii allora che non era quello il modo per espiare la mia colpa, non avrei lavato dal peccato la mia coscienza con altro sangue, altra morte. Per riparare alle mie colpe dovevo vivere, restituire al mondo la vita, la bellezza e la speranza che avevo ferocemente rubato. Ricordai improvvisamente i servitori di mio padre spariti senza lasciar tracce. Altri membri della mia razza abitavano questo mondo. Vampiri, licantropi, stregoni, qualunque cosa fossero, popolavano il mondo della notte. E come saziavano costoro la Sete Rossa? Esplose in me questo quesito. Se solo fossi riuscito a trovarli. Dei miei consimili potevo fidarmi, almeno di loro. Avremmo potuto aiutarci reciprocamente a sconfiggere il male che ci consumava. Avrei imparato da loro.
«Decisi che non sarei morto.
«Le catene erano terribilmente robuste. Me ne ero assicurato di proposito, temendo che avrei ceduto alla tentazione di sfuggire al dolore e alla morte. Ma ora avevo scoperto dentro di me una forza piu potente di qualsiasi altra cosa avessi mai conosciuto, piu forte ancora del parossismo nel quale ineluttabilmente la sete mi scaraventava. Dovevo spezzare quelle catene, le avrei divelte dalla pietra nella quale io stesso le avevo infitte. Tirai, strappai, in uno sforzo immane. Non volevano cedere. Erano possenti, ostinate, quelle catene. Ed io, dopo essere stato esposto al sole per tante ore, ero allo stremo delle forze. Ancora mi stupisco che la mia coscienza fosse desta. La pelle era nera per le ustioni. Il dolore era giunto ad un grado di intensita tale che ormai non lo avvertivo quasi piu. Tutto cio non mi impediva, tuttavia, di continuare a sfidare la potenza delle solide pastoie.
«Finalmente una di esse si spezzo. La sinistra. L’anello infisso nel muro venne fuori in uno sgretolio di mattoni. Ero libero a meta. Ma sempre piu vicino alla morte. Strane visioni mi ottenebravano la mente, di li a poco avrei perso i sensi, e una volta crollato non vi sarebbe piu stato alcun modo di risollevarmi, non mi sarei alzato da li, mai piu. E la catena destra sembrava altrettanto forte e salda di quando avevo iniziato la mia strenua lotta, un tempo che pareva essersi dilatato in ere infinite.
«Quella catena non cedeva mai, Abner. Eppur cedette. La vinsi, e conquistai la mia liberta. Poi la salvezza,