quale avevano mormorato qualcosa i bis-bisnonni. C’era chi diceva che fossi un Cavaliere Teutonico. Altri mi indicarono la via dell’est, la via degli Urali. Non faceva grande differenza, i Cavalieri Teutonici erano morti da secoli, e gli Urali erano sconfinati per chi come me avrebbe dovuto intraprendere una ricerca cieca, senza la guida di una traccia valida.
«Giunto ad un punto morto, decisi di rischiare. Con un grosso anello d’argento ed un crocifisso, che speravo fossero sufficienti a dissipare ogni chiacchiera o superstizione, cominciai ad indagare apertamente sui vampiri, licantropi ed altre simili leggende. Qualcuno rise alle mie domande o si fece beffe di me, altri, pochi in verita, fecero il segno della croce e si allontanarono alla svelta, ed infine un numero soddisfacente di sempliciotti e ingenui inglesi mi snocciolarono ben volentieri tutte le storie popolari che volevo udire in cambio di un bicchiere o di un pasto. Da quelle storie trassi utili indicazioni. Non fu cosa facile. La ricerca duro anni. Imparai a parlare il polacco, il bulgaro ed anche a masticare un po’ di russo. Lessi parecchi giornali in dozzine di lingue, cercando articoli che riguardassero morti strane, attribuibili in qualche modo alla sete rossa. Fui costretto a ritornare in Inghilterra due volte per preparare nuove scorte della mia bevanda e badare ai miei affari.
«Ed infine furono
«Ero sui Carpazi, in una rozza locanda di campagna. Ero andato in giro a far domande e la notizia delle mie curiose indagini era passata di bocca in bocca. Stanco e sconfortato, e prossimo a sentire i primi spasimi della sete, ero ritornato nella mia stanza piu presto del solito, molto prima dello spuntar dell’alba. Ero seduto davanti al fuoco crepitante a sorseggiare la mia bevanda, quando sentii dei colpi che sulle prime interpretai come lo sferzare del vento sulle finestre ammantate di brina. Mi volsi a guardare — la stanza era immersa nell’oscurita che solo il bagliore della fiamma nel focolare rendeva meno fitta — e la finestra era aperta dall’esterno. Li, stagliato contro il buio della notte ed il nitore della neve ed il baluginio delle stelle, c’era un uomo, in piedi sul davanzale. Entro nella stanza con l’agilita di un gatto, atterrando sul pavimento senza il minimo rumore. Una folata di vento gelido entro con lui sferzando l’aria intorno e recando nella stanza un alito di quel feroce inverno che ululava fuori. L’uomo era avvolto dalla penombra ma i suoi occhi ardevano, Abner,
«Fu un momento di profondo terrore, Abner. Fu forse il gelo penetrato nella stanza a farmi tremare, ma ne dubito. Quell’uomo mi apparve cosi com’io ero apparso a tanti uomini della tua razza prima che li facessi miei e mi cibassi del loro sangue, della loro vita; una sagoma oscura, gli occhi di fuoco, terribili, un’ombra dai denti aguzzi e mobili che si muovevano con sicura grazia e parlavano in un sinistro bisbiglio. Quando feci per alzarmi dalla sedia, egli avanzo verso la luce della fiamma. Scorsi le sue unghie. Erano veri e propri artigli, lunghi piu di dieci centimetri, le estremita nere ed acuminate. Poi alzai gli occhi e scorsi il suo volto.
Ed era un volto che avevo conosciuto nella mia infanzia. Lo guardai ancora ed anche il nome affioro dai ricordi. «Simon,» dissi.
«Egli s’arresto. I nostri occhi si incontrarono.
«Tu hai guardato nei miei occhi, Abner. Hai visto la potenza che c’e in essi, credo, e forse vi hai scorto altre cose ancora, cose oscure. E cosi con tutti coloro che appartengono alla mia razza. Mesmer scrisse del magnetismo animale, di una strana forza che risiede in tutte le creature viventi, in alcune piu fortemente che in altre. Io ho visto questa forza negli umani. Durante la guerra due ufficiali possono ordinare ai loro uomini la medesima avventata manovra. Uno sara ucciso dalle sue stesse truppe per l’assurdita della sua condotta. Il secondo, usando le stesse parole nella stessa situazione, obblighera i suoi uomini a seguirlo volentieri verso la morte. Credo che Bonaparte possedesse questa capacita in grande misura. Ma quelli della nostra razza, la maggioranza di essi, la possiedono. E nella nostra voce, e specialmente negli occhi. Siamo cacciatori, e con gli occhi sappiamo incantare e calmare la nostra preda naturale, piegarla alla nostra volonta, talvolta persino obbligarla a collaborare alla sua stessa uccisione.
«Allora non sapevo nulla di tutto cio. La sola cosa di cui ero consapevole in quel momento furono gli occhi di Simon, il tocco rovente di quello sguardo, la furia e il sospetto che ne promanavano. Sentii l’ardore della sete che lo dilaniava e la mia brama di sangue, da lungo tempo sopita, sembro lambirmi i sensi. Sentii il richiamo di quel nostro comune istinto, finche non ne ebbi paura. Fui incapace, pero, di distogliere lo sguardo da quegli occhi. Ne pote farlo lui. Ci fronteggiammo silenziosamente, muovendoci quasi impercettibilmente in un circospetto moto circolare, gli occhi dell’uno indivisibilmente serrati su quelli dell’altro. Il bicchiere mi cadde di mano e si frantumo sul pavimento.
«Non saprei dire quanto tempo fossimo rimasti prigionieri del nostro reciproco magnetismo, poi, finalmente fu Simon ad abbassare lo sguardo, e l’incantesimo si spezzo. A quel punto accadde una cosa strana e sconcertante. Egli si inginocchio davanti a me ed apertasi una vena del polso cosi che il sangue potesse defluirne copiosamente, mi porse il braccio in segno di sottomissione. “Signore del Sangue,” disse in francese.
«Quel sangue che sgorgava cosi vicino a me, cosi facile da prendere, genero nella mia gola un’improvvisa arsura. Tremando, afferrai quel braccio e cominciai a chinarmi su di esso. Ma in quel preciso istante ricordai. Lo allontani da me con uno schiaffo e mi volsi di scatto. La bottiglia era sul tavolo vicino al caminetto. Riempii due bicchieri, ne vuotai subito uno e misi l’altro tra le mani di Simon che frattanto era rimasto a guardarmi con aria confusa. “Bevi,” comandai, e quello non esito un solo istante. Ero un Signore del Sangue e la mia parola era legge.
«Fu l’inizio, lassu, sui Carpazi nel 1826.
«Simon, come sapevo, era stato uno dei due servitori e discepoli di mio padre, il quale era egli stesso un Signore del Sangue. Con la sua morte era stato Simon a prendere in mano le redini del comando essendo piu forte dell’altro. La notte seguente mi condusse sul luogo in cui viveva, una comoda stanza sepolta tra le rovine di una vecchia forteza montana. Li conobbi gli altri; una donna, nella quale riconobbi l’altra domestica della mia infanzia, ed altri due membri della mia razza, coloro che tu chiami Smith e Brown. Simon era stato il loro Signore. Adesso quel ruolo era mio. Per di piu io portavo con me la liberta dalla Sete Rossa.
«E cosi bevemmo, e trascorremmo insieme molte notti, ed in esse, dalle loro labbra, cominciai a conoscere la storia e i costumi del popolo della notte. Siamo un
«Poi dal sud giunse la tua razza ed invase il nostro mondo. Il popolo del giorno, cosi simile a noi eppur cosi diverso. Deboli, eravate immensamente deboli. Non faticavamo ad uccidervi, e ne provavamo gioia, perche in voi scoprivamo la bellezza, e da sempre il mio popolo e stato attratto verso la bellezza. Forse era proprio l’affinita delle nostre due razze a risultare per noi cosi irresistibilmente accattivante. Per secoli non foste altro che le nostre prede.
«Ma col passare del tempo le cose mutarono. La mia razza era longeva ma esigua nel numero. L’istinto all’accoppiamento e stranamente assente in noi, mentre tra voi umani esso e altrettanto possente quanto in noi lo e la Sete Rossa. Simon mi disse — allorche gli domandai di mia madre — che i maschi della mia razza provano desiderio di accoppiarsi solo quando la femmina entra in calore, e cio accade raramente — per lo piu quando maschio e femmina hanno ucciso insieme. Anche in tal caso, tuttavia, le donne sono raramente fertili, della qual cosa sono grate visto che di solito il concepimento significa la morte per le femmine della nostra razza. Io uccisi mia madre, fu Simon a dirmelo. Per uscire dal suo grembo, le dilaniai l’utero, provocando danni tali che neppure i nostri poteri rigenerativi valsero a salvarla. E cio accade quasi sempre quando individui della mia razza vengono alla luce. Sangue e morte segnano l’inizio della nostra vita.
«In fondo vi e un certo equilibrio in cio. Dio, se credi in lui, o la Natura, se non sei credente, da e prende. Noi possiamo vivere mille anni e piu. Se possedessimo la vostra stessa fertilita, allora avremmo gia riempito questo mondo. La vostra razza si riproduce incessantemente, mette al mondo figli su figli, greggi infiniti, sciami di mosche, ma come le mosche facilmente nascete e facilmente morite. Una piccola ferita, una banale malattia vi e