— Signor Restak, siete impazzito? Come siete arrivato fin qui?
— Mi ha fatto entrare Terra.
— Quando?
— Appena prima di saldare la porta del tunnel di trasporto.
— Perche?
Il Mago non rispose. Dal suo viso scomparve lentamente ogni traccia d’espressione. Spalanco gli occhi; sembro vulnerabile, assorto, come se sognasse a occhi aperti. Il delicato color viola che Jase aveva scorto nella visione di Terra lo avviluppo come una nebbiolina rada, e Jase ricordo in quel momento che il Mago era rimasto immobile nell’infermeria a fissare Terra per tutto il tempo, mentre ogni altro guardava la Macchina dei Sogni.
Si senti rizzare i capelli per la sorpresa. Gli parve che la sua stessa voce arrivasse da molto lontano. — Signor Restak, se non vi togliete dalla soglia vi uccidero. Sto per attivare lo schermo.
— Che mi uccidiate — disse il Mago — non e nella visione.
La scarica dello storditore, sparata senza mirare da sotto la scrivania, spinse via il Mago dalla soglia come una manata. — Dio del cielo — disse Jase, incredulo. E attivo lo schermo.
Lo schermo esplose in un bagliore lucente. Jase si butto all’indietro, momentaneamente accecato. La soffice massa della sedia ad aria gli cadde addosso, intralciandogli i movimenti, come un goffo abbraccio d’amante. Poi gli peso addosso, rifiutandosi di muoversi. Jase si ribello a quella costrizione, meravigliato, imprecando. Poi la vista gli si schiari. Si ritrovo a fissare la bocca di un fucile laser. Terra Viridian era acquattata accanto alla sedia, e i suoi occhi lo inchiodavano quanto il fucile. Il Mago, seduto sulla sedia rovesciata, si asciugava il sangue che gli colava da un occhio, e teneva intrappolato Jase. Con le dita sfiorava la tastiera.
— Magnifico — disse, senza piu l’aria sognante. — Adesso ci serve solo un po’ di Bach.
Pochi minuti piu tardi il Mago barcollo lungo il tunnel di trasporto in una nebbia onirica di ametista e sangue. Lungo la pista erano disseminati come bambole rotte i corpi fusi della squadra robot. Le telecamere di sicurezza, una decina di occhi del computer del Mozzo, il guardiano dai cento occhi, erano state accecate da Terra. Il Mago non aveva idea di dove fosse la donna. Lei l’aveva trovato; lei non gli aveva lasciato scelta. Lei gli aveva mostrato la strada attraverso il labirinto di Averno: la sua mente era stata il filo che lui aveva seguito. Adesso era scomparsa di nuovo, si muoveva di nascosto davanti a lui o dietro di lui, da qualche parte lungo il percorso che avrebbe dovuto portarlo al
— Una Scala Matta — mormoro. La testa gli pulsava, il sangue continuava a colargli nell’occhio. La gola gli bruciava di sete. Poi vide il sole rosso, che proiettava una luce sanguigna su un mondo alieno. La visione e luce. “Dio”, penso in un febbrile slancio filosofico, “beviamo la luce come aria. Come muteremmo, che sete svilupperemmo sotto un sole morente?”
I suoi passi risuonavano sordamente nel tunnel. Aveva lasciato il direttore Klyos legato e imbavagliato, ma per quanto tempo sarebbe rimasto in quelle condizioni? Una volta che fosse riuscito a liberarsi, o fosse stato liberato, cosa avrebbe fatto?
Avrebbe avvertito i moli.
Il Mago allungo il passo. Il raggio che univa gli Anelli al Mozzo sembrava non finire mai. Si mise a correre, aspettandosi di essere ucciso a ogni passo, aspettandosi che un robot morto si muovesse, si girasse verso di lui ed emettesse un lampo di luce, l’ultimo respiro. Ma il passaggio era una zona desolata, un deserto inaridito di cavi liquefatti, di circuiti fusi; la sua presenza era completamente inosservata. Fraseggi della musica che aveva suonato dopo aver scovato tutti i toni e i mezzi toni che l’enorme computer conteneva gli fornivano il ritmo su cui misurare la corsa.
“Funzionera”, penso meravigliandosi per il proprio genio. “Funzionera. Se solo non mi uccidono prima. O se non uccidono Terra. Se solo…”
Vivide scintille tranciavano le ombre dietro i carrelli da trasporto vuoti. Poi, alzando le spalle al destino, il Mago avanzo, mentre l’aura si dissipava, finche fu semplicemente un ferito, sopravvissuto a un carnaio meccanico, alla ricerca disperata della propria razza.
La porta del tunnel si apri con uno stridio di metallo. Il Mago continuo ostinatamente in quella direzione. La squadra di tecnici, con il viso schermato contro il riflesso del metallo incandescente, lo fisso senza espressione. Un piccolo esercito di guardie lo supero di corsa nei carrelli da trasporto.
Altre guardie cercarono di afferrarlo, senza brutalita ma con decisione. Si senti puntare un fucile alla tempia. Qualcuno gli sfioro il viso.
— E uno dei musicisti.
“Non sparate sul pianista”, penso follemente. Un dito gli tasto l’occhio, facendolo sobbalzare.
— Cos’e capitato? Cosa combinano, la dentro?
— Qualcuno mi sparava addosso. Mi sono tuffato in uno squarcio della parete.
— Klyos e vivo?
— Era vivo quando l’ho visto.
— Cosa fate qui?
— Aveva chiesto di vedermi; non ho fatto in tempo a scoprire perche. — D’un tratto comincio a tremare in modo molto convincente. — Dov’e un pronto soccorso? Non sopporto il sangue.
— Andiamo! — grido una voce dai carrelli da trasporto, e lui rimase improvvisamente solo, fuori dal tunnel, mentre i carrelli sciamavano via e la squadra di tecnici raccoglieva gli attrezzi senza badargli. Mosse un passo. Una figura incappucciata si giro verso di lui.
— Mago! — Indico con la mano. — C’e un pronto soccorso in fondo a quel corridoio. Vi suggerisco di restare nei vostri quartieri.
Lui continuo a camminare finche fu fuori vista. Poi si mise a correre.
Jase, sepolto sotto la sedia ad aria, la bocca piena di stoffa, lotto per liberarsi le mani dai neurocavi del Mago. “Bach”, penso con furia. “Bach. Maledetti musicisti…”
Con la coda dell’occhio scorse uno stivale e smise di agitarsi.
Smise di respirare. Udi un’imprecazione sommessa. Poi senti che gli toglievano di dosso la sedia ad aria, che qualcuno scioglieva il cavo che gli legava i polsi. Giro dolorosamente la testa e vide un’uniforme grigia con il sottile cordoncino d’oro lungo la cucitura: un’uniforme terrestre.
Aaron. Emise una protesta soffocata. Aaron gli libero i piedi, gli tolse il cavo e il bavaglio. Per un istante lo tasto.
— Siete ferito?
— No — disse Jase acidamente. Si mise a sedere. — Che diavolo siete tornato a fare? Avreste potuto venir ucciso.
— Ho corso il rischio. Non siete ferito?
— No. — Si alzo in piedi, si chino sulla scrivania, ma dell’intercom rimaneva ben poco. Aaron continuava a fissarlo.
— Terra non vi ha ucciso.
— Vi sembro un cadavere?
Ma Aaron aveva spostato bruscamente l’attenzione. Fissava il sottile cavo colorato che reggeva in mano. Fece per dire qualcosa, ma non emise suono. Jase premette a casaccio i pulsanti luminosi; non ottenne risposta.
— Forse sono ancora nel Mozzo, nascosti. Sbrighiamoci a…
— Sono? — disse bruscamente Aaron.
— Quel musicista pazzo…
— Michelle?
— No, il Mago. Restak. Possiamo ancora raggiungere Scalo Uno. Potrei mettere il Mozzo in stato di difesa, ma… — Si massaggio una caviglia, pensando furiosamente. Aaron poso il cavo sulla scrivania.
— Il Mago.
— Ha programmato lui le nuove parole d’ordine d’atterraggio. Ha usato la mia impronta vocale: non c’e possibilita di annullarle.
— E stato il Mago.
— Sta portando via Terra. Ma non potra piu farlo, se riusciremo a precederlo a Scalo Uno. Diro a Nils di