— Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Suonate l’allarme molo. Allarme molo. — La comunicazione era ancora ostacolata, pareva, dalla massa di Averno. — Nessun decollo. Ripeto: Klyos a Scalo Uno. Identificazione. Nessun decollo…
— Annullato — disse Scalo Uno con la voce stessa di Jase. Il direttore trattenne il respiro, poi lo lascio uscire con furia e impreco.
— Via.
La lancia acquisto velocita. Rimasero in silenzio, sentendo la voce del Mago.
— Permesso di lasciare Averno.
Ancora la voce del direttore di Averno.
— Parola d’ordine.
Silenzio. Poi un delicato brano di musica antica.
— Parola d’ordine.
Un altro fraseggio, breve, in chiave minore.
— Parola d’ordine.
Un terzo brano, dolce e completamente sconosciuto. La lancia del Mozzo supero la curva di Averno appena in tempo per scorgere la vasta cupola dello scalo che cominciava ad aprirsi, schiudendo le stelle.
—
PARTE TERZA
La visione
1
L’ovale si incrino.
Il Mago, avvertito da un commento musicale del
Erano configurazioni cristalline delicate e multiformi come fiocchi di neve. Di tanto in tanto il Mago riconobbe colori: cristallo rosso dentro un bozzolo di luce gialla, nero dentro verde, bianco dentro arancione. Si librarono come coriandoli nell’aria immota, quasi a caso, senza direzione precisa. Ma ognuna era un messaggio, e il Mago, non piu cosciente delle azioni del suo stesso corpo, ne senti la forza. Ogni messaggio era preciso e assoluto. Questo era la visione. Questo era vita. Questo era indispensabile come le ossa e l’aria. Se avesse potuto reagire a quei messaggi, forse avrebbe mutato la struttura delle cellule del proprio corpo, o la forma dei polmoni, perche il tono d’urgenza era assoluto. Ma che cos’erano? si chiese affascinato. Messaggi biologici o chimici? Un linguaggio alieno?
A quale creatura, sotto una stella remota e morente, erano realmente destinati quei messaggi?
Il Mago comincio a vedere attraverso l’esile nebbiolina. La foschia si assottiglio; i cristalli divennero indistinti, un minuscolo, vivido sciame, poi svanirono. Il Mago inspiro, sentendosi perduto, come se, privato della visione, fosse giunto alla fine del tempo. Poi vide di nuovo il puntino luminoso sull’analizzatore, e ricordo che lui era Roger Restak, che fuggiva nello spazio, inseguito da un puntino luminoso, dopo essersi lasciato alle spalle Averno tramutato in un nido di Furie.
Fu costretto ad ammettere che, all’interno del suo schema temporale, quella situazione era incalzante quasi quanto la visione aliena.
Poi udi l’assoluto silenzio dentro il
Ruoto la poltrona. Quasar, con le unghie parzialmente smaltate di verde, reggeva una sigaretta ancora intatta a un palmo dalle labbra. Gli occhi le brillavano sotto lo sguardo del Mago, ma a parte questo avrebbe potuto essere una statua. Il Professore era seduto contro il portello di prua, e respirava in fretta, troppo stupito per parlare. Nebraska, circondato dagli strumenti, era ancora abbrancato a due custodie di canne tenendole dritte per proteggerle dalle vibrazioni del decollo. Il suo viso era privo d’espressione; persino i baffi sembravano irrigiditi.
Alla vista della ragazza sul sediolo del navigatore il Mago sussulto; si rese conto che sul suo viso c’era un’espressione umana, al posto della solita vernice d’oro. — Magico Capo — disse lei, e anche la voce gli sembro poco familiare. — Cos’hai combinato?
— Una cosa abbastanza semplice — rispose con calma, anche se cominciava a essere turbato per la fortuna sfacciata che continuava a favorirlo. — Ho ordinato secondo uno schema di scale tutte le frequenze musicali del computer di Averno, quelle usate per i cercapersone e le chiamate intercom, e poi le ho messe in codice. Ho suonato Bach con i numeri. Per 48 ore le parole d’ordine d’atterraggio saranno diverse. Se vorranno uscire, dovranno suonare Bach sulle loro spaziomobili.
Ancora nessuno si mosse. Il Professore mormoro: — Sant’Iddio! — D’un tratto il suo viso scuro luccico di sudore. Nebraska emise un suono smorzato, come se tutta l’aria gli fosse uscita dai polmoni. Il Mago torno a girarsi verso il pannello, preoccupato dal puntino luminoso.
— Allacciate le cinture. Stiamo per accelerare.
— Dove? — Per qualche motivo sembrava che tutti parlassero sottovoce.
— Come?
— Dove siamo diretti? — chiari sottovoce il Professore.
— Ah. Non lo so. Signora dei Cuori, qual e la colonia piu vicina sugli asteroidi? — Medito sul puntino luminoso. — Deve trattarsi di una spaziomobile in arrivo, ma non ho udito… Signora dei Cuori, hanno modificato di nuovo la ricevente?
— Si — rispose lei con un filo di voce.
— Be’, rimettila a posto, d’accordo? Voglio sapere se qualcuno ci segue.
— Magico Capo.
— Hai trovato…
— La colonia piu vicina e Finisterre, Magico Capo! — Le mani le ricaddero inerti sui pulsanti di comando. Il
— Non e pazza. E io nemmeno. Hai calcolato la rotta?
Lei mosse le mani; continuo a guardarlo, Regina di Cuori senza parole. — Non…
— Non e pazza. Ma ci attende una corsa disperata. Pronti? — Aziono i reattori d’inseguimento della spaziomobile e tese l’orecchio ai messaggi musicali. La spinta potente lo schiaccio contro lo schienale. Udi il caos alle sue spalle e impreco, ricordando solo allora gli astucci degli strumenti. Si giro e vide Nebraska a gambe levate in mezzo alle custodie.
— Tutto a posto?
Nebraska scosto alcuni scatoloni sforzandosi di mettersi a sedere. — Mi sanguina il naso.
— Ti avevo detto di allacciarti la cintura. Perche eri in piedi?
— Perche — grido Nebraska senza smettere di toccarsi il naso — volevo venire a strapparti la testa! Che cosa vuoi combinare? Siamo musicisti! Un complesso in tournee! Ci hai messo l’intero Averno alle calcagna, e non facevamo nient’altro che caricare attrezzature! — Si tolse la camicia e la uso per tamponarsi il naso. — Me ne vado.
— Oh, andiamo, Nebraska, cerca di calmarti. Averno non ci insegue. Ti ho detto che l’ho chiuso per 48 ore.
— Hai chiuso Averno — disse cupamente Nebraska, seduto sulle ginocchia. — Ci bastava fare solo quel concerto a Helios. Tutti gli studi televisivi del mondo avrebbero supplicato per avere i Nova. Eravamo cosi vicini alla fama da poterne sentire l’alito sul collo. E ci sorrideva. Ci bastava ancora un concerto. Solo uno. Tutti questi anni a suonare nei club, e non dovevamo far altro che suonare ancora una volta. Adesso diventeremo famosi, d’accordo.