Fili di luminescenza, di saliva o di vento vivente che soffiava in striature orizzontali…

Il bisogno… il bisogno d’integrita… il bisogno di completamento…

La visione si sfilaccio attorno a lui. Era seduto ai comandi del Pianto volante, e sentiva sempre il bisogno come una sete inestinguibile, un desiderio di rimodellare la struttura dei suoi occhi o il modo in cui le percezioni gli giungevano al cervello… Emise un suono, una protesta contro la sua incapacita di rispondere. Michelle sollevo lo sguardo dall’analizzatore.

Il viso di lei continuava a sembrargli poco familiare; pallido, sempre controllato, rivelava tutto il suo turbamento e il suo stupore. — Magico Capo — disse lei con gentilezza. — Sei tornato in te?

— Si.

— Cosa… cosa vedi? Tu, e Terra? Magico Capo… — Si interruppe. Lui scosse leggermente la testa, leggendole negli occhi.

— Non e lei. Lei non e responsabile.

— Ha ucciso tutte quelle persone. L’ha fatto lei. Per che cosa? Che cosa l’ha costretta a farlo? E cosa avrebbe potuto… come avrebbe potuto… qualunque cosa vedi, come posso perdonarglielo? Nessuno potrebbe. E un fatto che resta, qualunque sia il sogno che tutt’e due sognate.

— Non e un sogno. Almeno non nel senso che dopo ci si sveglia, e si sa di aver sognato. E… una visione — disse disperatamente. E lei sorrise, ridiventando per un attimo quella che lui conosceva.

— Una visione — ripete piano. — Voi due adoperate persino le medesime parole.

— Non significano molto, in questo contesto. Ma e l’unico linguaggio che possiedo.

Di colpo gli occhi di lei si riempirono di lacrime, si abbassarono a fissare le luci del pannello. Il Mago le sfioro la spalla. — Perche — sussurro lei — non poteva avere una visione quando era tranquillamente seduta a casa a far colazione, anziche in quel maledetto deserto, con un fucile fra le mani? Tu non hai ancora ucciso nessuno, Magico Capo. Stai per cominciare anche tu? — Lo guardo, perche era rimasto in silenzio. — E l’unica differenza fra voi due, per il momento. E lei ha di nuovo un fucile.

Il Mago allungo la mano a toccare il pulsante dell’intercom. Si sentiva raggelato. — La visione e davvero irresistibile — ammise, e parlo nell’intercom. — Direttore Klyos? — Rimase in attesa, fissando i vividi puntini luminosi sparpagliati sullo schermo stellare. Sembravano troppo lontani, incredibilmente remoti, come se all’uomo fossero toccate in eredita solo le tenebre infinite fra i soli, e il prepotente desiderio di raggiungerli. Il silenzio della lancia comincio ad allarmarlo. — Terra?

— Si — rispose la donna, e il Mago sospiro in silenzio.

— Siete tutti vivi?

— Io sono cosi stanca…

Sapeva a quale “io” si riferiva. L’“io” che aveva visioni, che ritrasmetteva messaggi accanto al lento mare tenebroso, provava solo bisogno. Anche lui sentiva l’identica stanchezza: la tensione costante provocata dal pericolo, dalla situazione, quando invece voleva solo lasciarsi assorbire dall’immagine.

— Stanno bene? Aaron e il direttore Klyos?

— Non parlano.

Si senti impallidire. — Sono vivi?

— Si — disse lei con indifferenza. Poi aggiunse, terrorizzandolo: — Ci sono momenti in cui non li vedo.

— Signor Restak? — intervenne cautamente Klyos.

— State bene?

— Cosa vuol dire con quella frase? Che non puo vederci?

Il Mago impreco fra se. — Non ci conterei molto — disse infine, sforzandosi di tener calma la voce.

— Le visioni. Si tratta di questo? Quando ne ha una, non e cosciente dell’ambiente? Signor Restak?

— Io non sono cosciente di dove mi trovo — disse infine il Mago. — Ma non so cosa succede a lei.

— Ve l’ha appena detto.

Senti il sudore solleticargli l’attaccatura dei capelli. — Quando comincerete a capire? — chiese bruscamente. — Lei mi legge la mente. Legge la mente di Aaron. Non ha intenzione di farvi del male. Lei e io stiamo captando i pensieri di un alieno. Vi sorprende? O per voi e normale?

— Signor Restak, non c’e piu stato niente di normale da quando siete entrato nella mia vita. In questo momento mi sento come se avessi sulla schiena una bomba a orologeria. Se volete parlare di alieni, fate marcia indietro e tornate ad Averno. Vi ascoltero.

— Direttore Klyos, lei non vuole fare del male…

— Avete visto cos’ha fatto su Averno! E un’assassina.

Il Mago chiuse gli occhi. — Ha ucciso. Si. Ma non cercate di uccidere lei mentre e immersa nelle visioni aliene. E sempre troppo pericolosa.

— Quali alieni? Di cosa parlate? Non siete nemmeno sulla stessa nave, come fate a sapere cosa pensa?

— Lo so — disse il Mago, alzando la voce senza volerlo — perche sono intrappolato nella stessa maledetta visione! Ho cercato di dirvi…

— Non capisco una parola di cio che dite.

Il Mago inspiro e trattenne il fiato, sforzandosi di non perdere la pazienza. Vide che gli altri membri del complesso erano attorno a lui, seduti su cuccette e sedili, mentre lui era assorto nel suo bisogno, nient’affatto impaurito, perche fino a quel momento era stato troppo preso dalla meraviglia per lasciar posto alla paura.

Il suo silenzio si prolungo, si annebbio…

Oh, Dio, no, penso, terrorizzato per Terra, per Aaron. Non adesso.

— Signor Restak — udi confusamente. — Signor Restak.

Terra…

Una ragnatela di fili lattei, pulsante dall’interno… Si costruiva da sola angolo dopo angolo, in sezioni irregolari e nodi voluminosi, come delicate osse allungate. Lo schema sembrava casuale, ma era rigoroso, intui il Mago, complesso come la matematica, e la scelta della lunghezza di ogni filo, di ogni posizione, era importante e impegnativa come la scelta di una serie di note musicali sotto le sue dita. Si senti sedotto da sottili implicazioni, trascinato nello schema…

Le luci del quadro comandi sciamarono nella visione. Il Mago si senti il corpo irrigidito, piu vecchio di un giorno o di un minuto. Il silenzio attorno a lui era cambiato, come un’angolazione di luce. Erano state pronunciate parole che non aveva udito.

Poi senti una mano sulla spalla, e il silenzio che era anch’esso parte della visione si infranse. Michelle era accanto a lui, e si passava la mano fra i capelli. Le ultime forcine a forma di cuore caddero ai piedi del Mago. Aveva gli occhi gonfi. La voce aspra, precisa, arrochita dall’angoscia, lo ipnotizzo.

— Aaron?

— Si.

— Direttore Klyos? Siete in ascolto? Voglio sentire la vostra voce.

— Vi ascolto — rispose Jase, brusco.

— Se la toccate, il Mago lo sapra, e io urlero cosi forte nell’intercom che mi sentiranno fino alla Stella Polare, e Terra Viridian con un fucile in mano e proprio l’argomento che va bene per i film dell’orrore. Mi sentite? Dite il vostro nome. Ditelo.

— Klyos.

— Aaron?

— Ti ascolto.

— Forse credete che non gliene importi niente di me dopo tutti questi anni, dopo sette anni dentro una cella dell’Anello Scuro, senza vedere niente tranne le visioni. Ma lei mi conosce. L’avete visto, direttore Klyos, nell’infermeria. Lei mi conosce. Sapeva che sarei venuta su Averno prima ancora del mio arrivo. Questo come lo spiegate, direttore Klyos?

— Non lo spiego.

— E tu, Aaron?

— Non lo so.

— Potreste chiedere, visto che non avete altro da fare che inseguire il Pianto volante. Potreste chiedere. Lei sapeva che sarei arrivata perche sono l’unica persona ancora in vita fra quelle che amava. Lei e la mia gemella, il mio viso, il mio cuore, e finche non impugno quel fucile nel Settore Deserto non

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