«Se lo scordi, signor Thorne. Non ho nessuna intenzione di mangiare zampe d’anatra.»

Il fatto che Dennis Bethell fosse grasso come un maiale e avesse una voce da ragazzina del coro, faceva sembrare un po’ ridicola ogni cosa che diceva.

Il ristorante era stata un’idea di Thorne. L’ultima volta si erano visti in un pub e la voce di Dennis, come spesso accadeva, aveva attirato non poco l’attenzione. Un pranzo in un posto tranquillo era sembrato a Thorne un’idea migliore, anche perche quel ristorante nel cuore di Chinatown era la sua passione. Si chiamava New Moon e serviva il miglior dim sum della citta. Thorne amava il rituale quasi piu del cibo. Si divertiva a vedere quelle vecchie donne dall’aspetto scontroso che spingevano carrelli avanti e indietro e gli piaceva fermarle, chiedere loro di sollevare il coperchio dei vassoi e poi scegliere cosa mangiare.

Thorne aveva dovuto spiegare questo sistema a Bethell, il quale, quando lui era arrivato nel locale con venti minuti di ritardo, se ne stava seduto in un angolo con lo sguardo confuso. Non aveva certo faticato a riconoscerlo. Bethell era alto un metro e novanta e aveva un fisico da lottatore, i capelli ossigenati e induriti dal gel e una quantita di gioielli d’oro. In un ristorante in cui la clientela era quasi tutta cinese saltava decisamente all’occhio. Quel giorno indossava pantaloni mimetici e una maglietta blu con la scritta «Bitch».

«Vada per la zuppa di pinna di pescecane e tutto il resto. Ma le zampe d’anatra, no. Che orrore…»

«Rilassati, Kodak» disse Thorne, sorridendo alla vecchia cinese che stava sollevando un altro coperchio di bambu. «Ordino io per te.»

Mentre mangiavano, chiacchierarono per un po’ del piu e del meno. Thorne voleva mettere il suo uomo a proprio agio, ma anche godersi il viavai del ristorante.

A un certo punto, dopo essersi infilato in bocca un gambero pastellato, spinse attraverso il tavolo la foto di Jane Foley. Bethell si puli le dita dalla salsa di soia e la prese in mano.

«Notevole» disse. «Davvero notevole.»

Thorne sapeva che si riferiva alla qualita della foto e non alla modella. Da pornografo incallito qual era, le donne nude non gli facevano piu un grande effetto.

«Sapevo che ti sarebbe piaciuta» disse Thorne.

«Gia, davvero ben fatta. Chi l’ha scattata?»

«A dire il vero, Kodak, pensavo che se c’e qualcuno in grado di scoprirlo, quello sei tu.»

Continuarono a chiacchierare. Bethell racconto che gli affari andavano a meraviglia. All’inizio si era sentito minacciato dalla pornografia via Internet, ma ora la sua attivita prosperava come non mai. Le foto delle sue serie intitolate Barnyard, del 1983, venivano scaricate continuamente. Il nome di Bethell era diventato quasi leggendario tra gli appassionati di pornografia in Rete.

Le riviste porno di alta qualita di Dennis Bethell facevano arrapare gli uomini fin dagli anni in cui Thorne era appena entrato in polizia. Dal soft all’hard piu spinto, Bethell esprimeva il suo genio in tutto cio che implicava obiettivi e capezzoli. Era innocuo e si era rivelato una fonte affidabile per anni. A Thorne sembrava un eccentrico da vaudeville, con quel fisico da lottatore, l’assurdo taglio di capelli e lo slogan “Niente bambini!”.

Bethell fisso con attenzione la foto, la sposto sotto la luce per esaminarla meglio e disse: «Si, forse…».

«“Si, forse” non e abbastanza, Kodak.» Thorne alzo un dito per attirare l’attenzione della donna dietro il bancone del bar, poi sollevo la bottiglia vuota di Tsing Tao, ordinandone un’altra.

«Non e tanto semplice» disse Bethell. «Oggi c’e un gran mercato di roba professionale fatta in modo da sembrare opera di dilettanti. Come se uno avesse scattato una foto erotica alla sua ragazza, capisce cosa voglio dire? E cio vale soprattutto per roba come questa.»

«Come questa in che senso?»

«Sadomaso. Manette, fruste e catene. Feticismo.»

Bethell sollevo di nuovo la foto che Thorne aveva fissato ormai centinaia di volte. Era stata scattata dall’alto. La donna aveva le mani legate dietro la schiena e il cappuccio stretto intorno al collo.

«Tu fai mai roba del genere?» chiese Thorne.

Bethell stava masticando una polpetta di granchio. Inghiotti il boccone e rispose con diffidenza, come se la domanda mirasse a fregarlo. «Si… ne ho fatta parecchia. La mia e meglio di questa, pero.»

«Naturalmente. Senti, se questo e un lavoro professionale, tu saresti in grado di scoprire chi ne e l’autore?»

«Potrei chiedere in giro, suppongo, ma…»

«Vale la pena di cercare il posto dove e stata sviluppata la pellicola?»

«No, e una perdita di tempo. Se non e un perfetto idiota, il tizio ha fatto tutto da solo. Macchina digitale, foto scaricata direttamente sul computer. Facilissimo…»

«Scopri quello che puoi, allora. Voglio sapere chi e la modella e chi ha pagato per la foto.»

Bethell fece una faccia sofferente. «Oh, cerchi di capire, signor Thorne. Qualche informazione va bene, ma quel che mi chiede significa mettersi a fare il poliziotto al posto suo.»

La cameriera che stava portando la birra di Thorne fece un sorriso sprezzante all’udire lo squittio lamentoso di Bethell e si allontano in fretta. Per fortuna lui non se ne accorse.

«Che cosa c’e di male, Kodak? Un giorno potresti voler cambiare lavoro. La polizia e sempre alla ricerca di giovani brillanti come te…»

«Lei a volte riesce a essere un vero stronzo, signor Thorne.»

Thorne si chino verso di lui, puntandogli contro le bacchette. «Gia, e tanto per dartene una prova, se non farai un lavoro come si deve con questa foto, faro irruzione nel tuo laboratorio, prendero l’obiettivo piu grosso che hai e te lo ficchero su per il culo, cosi potrai fotografarti l’intestino. Ora passami i gamberi, per favore.»

Bethell rimase in silenzio per alcuni minuti, imbronciato. Poi prese la foto e se la infilo in una tasca dei pantaloni.

«Dovresti provare una di queste zampe d’anatra, Kodak» disse Thorne. «Sai che aiutano a nuotare piu veloci?»

Bethell spalanco gli occhi. «Vuole prendermi in giro, signor Thorne?»

Welch era in attesa sulla soglia, quando Caldicott apparve dalla parte opposta del pianerottolo con il carrello della posta. Mentre si avvicinava lentamente, fermandosi davanti a ogni porta, Welch vide che il suo viso non era guarito bene. Un lato, dalla bocca alla fronte, era lucido come se fosse sudato e aveva un colore lattiginoso. Un reticolo di rughe bianche risaltava contro il rosso vivo di cio che restava delle sue labbra.

Il carrello si fece un po’ piu vicino. Caldicott sorrideva. La consegna della posta era un momento piacevole per lui, soprattutto dopo le settimane trascorse in ospedale. Un paio di stronzi dell’ala B lo avevano beccato nella lavanderia. Non avrebbero dovuto trovarsi li, ma qualcuno aveva chiuso un occhio, lasciando una porta aperta.

Una delle donne di Caldicott era una ragazzina di quattordici anni. Caldicott aveva giurato a Welch che pensava che fosse piu grande e che la carne tenera non gli piaceva. Di sicuro Welch poteva capirlo, aveva detto con voce lamentosa. Anche lui doveva essersi trovato in una situazione analoga. Insomma, certe adolescenti, di questi tempi, sembravano tutto tranne che ragazzine. Welch aveva detto che infatti lo capiva. Anche lui si era trovato in situazioni analoghe e ringraziava la sua buona stella che la ragazza per cui era finito in galera avesse gia compiuto sedici anni, anche se da poco. Caldicott doveva aver detto la stessa cosa a quegli animali della lavanderia. Sicuramente li aveva supplicati, ma quelli erano uomini che badavano solo ai fatti concreti, senza curarsi di cio che uno come Caldicott credeva o pensava.

Uno di loro l’aveva preso per i coglioni, mentre l’altro aveva vuotato l’asciugatrice, sistemando il bucato nel secchio di plastica rossa. Poi, mentre Caldicott gridava e nessuno lo sentiva, gli avevano infilato la testa nel cestello, premendogli la faccia contro il metallo bollente…

Caldicott consegno a Welch una lettera, con un sorriso che gli tendeva la pelle sopra gli incisivi giallastri. Welch la prese, pensando che quel poveretto sembrava un fantasma, e si ritiro rapidamente dietro la porta.

La busta era stata aperta, ovviamente, ma a lui ormai della privacy non importava piu nulla da un pezzo. Aveva solo pochi minuti per leggere la lettera in pace, da solo. L’ultima lettera che sarebbe stato costretto a leggere in una cella soffocante, ammorbata dalla puzza di merda del suo compagno.

C’era un’altra foto. Era la prima cosa che aveva cercato e aveva quasi lanciato un grido, quando ne aveva sentito lo spessore tra le pagine della lettera.

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