Carol non aveva detto nulla del genere. «Mi dispiace, temo che ci sia stato un malinteso. Io sto riesaminando il caso, che sara riaperto solo se troveremo elementi validi per farlo.»
«Capisco.»
«Per quanto tempo lei e suo marito siete stati sposati?»
La vedova di Alan Franklin era una donna alta e magra che dimostrava solo qualche anno piu di Carol, aveva i capelli tirati all’indietro e due occhi verdi che non si fissavano mai su nulla per piu di qualche secondo. Disse di aver conosciuto Franklin nel 1983. Lui aveva dieci anni piu di lei e, all’epoca, era prossimo alla cinquantina. Pochi anni prima aveva lasciato la moglie e un’attivita a Colchester, trasferendosi ad Hastings per iniziare una nuova vita. Si erano conosciuti sul lavoro e si erano sposati nel giro di pochi mesi.
«Alan era uno che non perdeva tempo» disse ridendo. «Ma e anche vero che io non ho opposto molta resistenza.»
Come sempre, Carol aveva fatto le sue ricerche e conosceva i particolari. «Come reagirono i figli di Alan? All’epoca dovevano avere sedici o diciassette anni, giusto?»
Sheila fece un sorriso un po’ forzato. «Si, piu o meno, ma non ne sono sicura. In tutti gli anni del nostro matrimonio, credo di averli visti una volta sola. E soltanto uno di loro e venuto al funerale di Alan.»
Carol annui, come se fosse una cosa perfettamente normale. «E cosa puo dirmi della prima moglie?»
«Celia? Non l’ho mai conosciuta. Non abbiamo neppure mai parlato al telefono. E Alan non mi ha mai detto nulla di lei.»
«Capisco…»
Sheila si chino in avanti, appoggiando tazza e piattino sul tavolino. «So che puo sembrare strano, ma e la verita. Per Alan, Celia era il passato…»
Carol cercava di non giudicare, ma era difficile. Lei e Jack si erano sposati abbastanza tardi e i rapporti con l’ex moglie di lui erano sempre stati un po’ tesi, ma civili. Inoltre la figlia di Jack aveva sempre avuto una parte importante nella loro vita.
«Ho fatto qualche tentativo, con i ragazzi» disse Sheila. «All’inizio dicevo ad Alan che doveva vederli, che dovevamo cercare di costruire un ponte… Ma lui e sempre stato un po’ strano al riguardo.»
«Forse pensava che Celia glieli avesse messi contro.»
«Puo darsi, ma non l’ha mai detto. I ragazzi comunque erano gia quasi adulti. Abbiamo anche fatto qualche tentativo di avere dei figli nostri, per un certo periodo.» Sheila rimise tazze e teiera sul vassoio con il quale le aveva portate nel soggiorno, poi si alzo in piedi. «Ma io avevo gia quarant’anni e non ce l’abbiamo fatta.»
Carol la segui in cucina. «Alan ha mai parlato del motivo del suo divorzio?»
«No. Credo che sia stato piuttosto spiacevole.»
Da quello che Carol sapeva, “spiacevole” era un eufemismo. «Ma doveva comunque pagare gli alimenti alla moglie, no? Dovevano comunicare in qualche modo, se non altro attraverso i rispettivi avvocati…»
«Negli ultimi anni non sapevamo neppure dove abitassero. Il figlio che e venuto al funerale ha saputo della morte di Alan dal telegiornale.»
«Ah.»
Sheila si era messa a lavare tazze e piattini. Quando si volto, probabilmente lesse sul volto di Carol quel giudizio che lei aveva cercato di non lasciar trapelare, perche disse: «Senta, esistevamo solo Alan e io. Tutto quello che c’era stato prima non importava. Non frequentavamo quasi neppure la mia famiglia. Bastavamo a noi stessi.» Fece un passo verso Carol, che era rimasta sulla soglia della cucina. «Alan diceva sempre che io ero la sua vita. La vita di prima non aveva funzionato e quindi non voleva pensarci piu. Stava cercando di allontanarsene…»
Carol annui. «Posso usare il bagno?»
Si appoggio al lavandino, lasciando scorrere l’acqua.
Non si era mai molto affidata all’istinto nel lavoro, ma in trent’anni aveva imparato a lasciare comunque un po’ di spazio alle intuizioni. Nel 1996, l’omicidio di Alan Franklin era rimasto insoluto. In gran parte perche sembrava che mancasse un movente.
Annuso il sapone e comincio a lavarsi le mani.
Era possibile che la vita da cui Alan Franklin aveva cercato di scappare, cambiando citta, moglie e lavoro, lo avesse raggiunto in quel parcheggio deserto…
Sheila Franklin l’aspettava ai piedi delle scale.
«Ha conservato le cose di Alan?» chiese Carol.
«Ci sono un paio di scatole in soffitta. Carte e poco altro, credo. E stato Alan a metterle li, quando abbiamo traslocato in questa casa.»
«Le dispiacerebbe lasciarmele esaminare?»
«No, anzi. Mi faccia un favore, se le porti via.» Sheila lancio un’occhiata in direzione delle scale e un’ombra passo nei suoi occhi. «E tempo di fare un po’ d’ordine…»
Non era un identikit perfetto, ma era gia qualcosa.
Thorne aveva tirato fuori il disegno dalla borsa mentre il treno usciva dalla stazione di King’s Cross, lo aveva appoggiato sul tavolino davanti a se e lo fissava da dieci minuti buoni.
Il cameriere della caffetteria di fronte allo studio di Dodd aveva rilasciato la sua deposizione il giorno dopo il ritrovamento del cadavere di Dodd. Aveva visto un uomo in moto aggirarsi in zona alcuni giorni prima. Era vestito di pelle nera e indossava un casco scuro. No, non lo aveva visto salire da Dodd, ma era un pomeriggio caldo e lui era occupato a servire ai tavoli.
Era accaduto un mercoledi, cinque giorni prima che il cadavere di Dodd fosse ritrovato. Da quel giorno erano passate quasi due settimane.
Quindi Charles Dodd non aveva mentito su tutto. L’uomo a cui aveva noleggiato lo studio indossava davvero un casco. La menzogna probabilmente era che non se lo fosse mai tolto. Una menzogna che Dodd aveva pagato cara.
Udendo il rumore del carrello del servizio ristorazione che avanzava lungo la carrozza, Thorne alzo gli occhi. La colazione che le ferrovie proponevano non era il massimo, ma lui aveva fame. Si tasto le tasche alla ricerca di spiccioli.
Dodd probabilmente non aveva sospettato nulla quando l’uomo in tuta di pelle era salito nel suo studio, quel pomeriggio. Anzi, probabilmente credeva di essere lui a controllare la situazione e si apprestava a spremere al pollo tutto il denaro possibile. Non sapeva con chi aveva a che fare.
I testimoni interrogati per gli omicidi di Welch e Remfry non avevano mai parlato di un uomo in tuta da motociclista, ma bisognava controllare. Ogni giorno a Soho giravano decine di fattorini in moto e in bici, a consegnare sceneggiature, video, sandwich e
«Desidera qualcosa?»
Il carrello era arrivato accanto a lui. Thorne scelse un te e un Kit-Kat. Prese il bicchiere di carta, asciugo con il tovagliolo le gocce che erano cadute sul tavolino e mise la bustina a mollo nell’acqua calda.
Fisso di nuovo il disegno che stava tracciando da alcuni giorni. Un uomo in casco da moto era un’immagine troppo generica per giustificare l’intervento di un disegnatore ufficiale, percio Thorne si era messo a tracciare schizzi su un foglio di carta mentre era seduto alla sua scrivania o sulla metropolitana. Il suo talento per il disegno era piu o meno pari a quello che poteva avere come ballerino di danze medievali, e tuttavia lui riusciva a vedere qualcosa nei suoi scarabocchi. I tratti di penna che si incrociavano fittamente suggerivano un’oscurita dietro la visiera. Piu nera e piu fitta di quella prodotta dalla plastica polarizzata.
Alzo lo sguardo a fissare il paesaggio. La campagna diventava piu verde e le case piu grandi, a mano a mano che il treno avanzava nello Hertfordshire.
Bevve il te e mangio la cioccolata, mentre il tizio seduto davanti a lui era ancora indeciso su cosa ordinare. Una delle due donne addette al carrello alzo gli occhi al cielo e un adolescente in tuta, bloccato nel corridoio, si mise a sbuffare, impaziente di poter tornare al proprio posto.
Zia Eileen aveva chiamato da Brighton un paio di sere prima. La donna che si occupava del padre di Thorne
