Il cortile era poco piu grande della cella, tre metri e mezzo per tre; era come una scatola di cemento armato con un coperchio di rete metallica, da cui filtrava abbastanza luce solare per trasformarlo in un forno. L’uomo chiamato Ben Fry camminava lungo il perimetro, eseguiva flessioni sulle braccia, salti e altri esercizi, poi rientrava. Gli era permesso uscire dalla cella altre tre volte alla settimana, per la doccia.

Ma per la maggior parte del tempo — ventitre ore al giorno — il suo orizzonte era la cella. La cella e il tempo, la pianura di tempo vuoto che si stendeva all’infinito davanti a lui. Per ventitre ore al giorno, l’uomo chiamato Ben Fry stava sdraiato sul giaciglio di cemento. Da li saliva sulla torre e osservava dall’alto la distesa del tempo, senza piu preoccupazioni. In alcuni di quei bianchi momenti senza fine, la torre sembrava talmente reale da fargli temere di essere sul punto di impazzire. Ma questa sensazione era meglio di cio che provava quando era giu, nel mondo, senza pensare, a osservare il vuoto davanti a se. Ed era meglio del mondo rosso, strisciante e beffardo dei suoi sogni.

Trascorse una settimana cosi. Poi, un giorno, due guardie entrarono in cella, lo ammanettarono, lo fecero inginocchiare e gli bloccarono le caviglie. Tirandolo poi insieme per le braccia, lo trascinarono lungo il corridoio fino alla cabina di controllo.

Fu un momento importante per lui, perche per circa venticinque secondi, mentre lo trascinavano, pote scorgere due dei monitor attraverso i vetri della postazione. Vide l’immagine di una cella e conto per quanto tempo rimaneva sullo schermo. Dieci secondi. Poi le guardie lo condussero via lungo un altro corridoio.

Lo portarono in una stanza dove c’era una sedia di metallo fissata al pavimento e rivolta verso una parete trasparente antiproiettile. Le guardie lo fecero sedere sulla sedia e gli legarono le caviglie ad anelli infissi al suolo. Poi lo ammanettarono ai braccioli e attesero alle sue spalle.

Dall’altra parte della parete trasparente si apri una porta e un uomo entro. Era magro e indossava un abito costoso, grigio scuro. Arriccio il naso guardandosi in giro, tenendo i gomiti stretti ai fianchi e le mani chiuse una nell’altra. Sembrava una persona pignola e sprezzante.

L’uomo magro si sedette davanti all’uomo chiamato Ben Fry e parlo. La voce, alta e nasale, venne trasformata dal microfono in un suono intermittente, simile a quello emesso da un robot.

«Come va oggi, signor Fry?» chiese.

L’uomo chiamato Ben Fry annui mantenendo uno sguardo assente, un’espressione ebete.

«Ho saputo che era qui, e volevo essere sicuro, prima di procedere come stabilito. Ma ora lo faro.»

L’uomo chiamato Ben Fry annui nuovamente.

«Sono contento di vedere che sta bene», aggiunse l’altro. «Allora…» concluse, e si alzo per andarsene.

Le guardie slegarono dalla sedia l’uomo chiamato Ben Fry e gli fecero ripercorrere il corridoio. Pote vedere di nuovo i monitor nella cabina delle guardie e riconobbe la sua cella dalla posizione in cui aveva messo la coperta. Quando la vide apparire, lancio uno sguardo all’orologio appeso alla parete.

In cella, le guardie gli tolsero le manette e i blocchi delle caviglie e gli ordinarono di togliersi i vestiti. Quando fu nudo, lo ispezionarono, dentro e fuori.

Poi, ci fu di nuovo e soltanto la cella. La cella e il tempo. I secondi, i minuti, le ore. In silenzio, isolato, osservato.

Sapeva che sarebbe durata ancora per un po’. Poche distrazioni, nessun piacere. Niente liberta, niente gentilezza. Giorni in gabbia, notti in gabbia. La cella, il tempo e la torre.

Esattamente come aveva previsto.

18

L’uomo che Weiss chiamava il Topo giaceva morto sull’asfalto, a pancia in giu, con il braccio destro allungato in avanti e quello sinistro piegato in modo innaturale contro il fianco. La testa era girata e si vedevano il profilo, l’orecchio a sventola, il naso affilato, un occhio aperto, fisso e vitreo, con lo sguardo spaventato che aveva avuto in vita. Era stato colpito alla pancia e il sangue aveva formato una pozza all’altezza della vita.

Weiss e l’ispettore Ketchum del dipartimento di polizia di San Francisco, in piedi alle sue spalle, lo osservavano, uno accanto all’altro, le mani in tasca.

«Okay», esordi Ketchum. «Mi stai dicendo che un assassino immaginario ha accoltellato questo disgraziato per vendicarsi di uno stupro creato dalla sua fantasia nei confronti di una donna che non e mai esistita.»

Weiss annui. «Proprio cosi.»

«Ma questo poveraccio e dannatamente morto, mi sembra.»

Weiss inclino il capo con aria incerta.

Ketchum impreco. «Gesu.»

Era un uomo di colore piccolo e magro, dalla voce profonda, sempre carico di tensione. L’espressione generalmente accigliata cambiava solo quando si tramutava in aperta rabbia. Per quel che ne so, odiava tutto e tutti. Tranne Weiss. Weiss gli era simpatico. Almeno credo.

Fece un segno all’uomo dell’ufficio del coroner che aspettava poco distante, e questi inizio a infilare il corpo di Wally Spender in un sacco di plastica. Weiss e Ketchum si allontanarono. L’ispettore scosse la testa per sottolineare il suo disgusto.

«Questo piccolo bastardo dalla faccia di topo non e stato neanche derubato», disse.

«In ogni caso e stato assassinato», lo incalzo Weiss. «E questo e un fatto. Non e fantasia, voglio dire: qualcuno deve pur essere stato.»

«Grazie per avermelo fatto notare», replico ironico Ketchum mentre arrivavano in fondo al vicolo. «Meno male che aveva il tuo biglietto da visita in tasca, altrimenti non ti avrei chiamato, tu non saresti venuto e io non avrei avuto questa brillante spiegazione: ‘Qualcuno deve pur essere stato’. Come ho fatto a non pensarci?»

Uscirono dal vicolo buio in Mission Street, alla luce del sole. Camminavano insieme, un uomo grande e uno piccolo, con i vestiti stropicciati e le mani in tasca. Superarono una serie di vetrine sprangate con le assi. Su queste erano attaccati volantini sbiaditi, strappati e incomprensibili.

«Chi e il tuo testimone?» chiese Weiss.

«Non ci crederai. Uno dei piu onesti e affidabili vagabondi che abbiano mai raccattato lattine su queste strade. Giura di aver visto il colpevole uscire di corsa dal vicolo. E giura di avergli visto il coltello in mano.»

«Te l’ha descritto?»

«Certo. Ha detto che era latinoamericano, sulla ventina, con la pelle chiara e la camicia nera.»

«Be’, e proprio lui, sicuro. Si tratta del fratello immaginario della ragazza immaginaria. E un’identificazione sicura.»

«Salvo che e immaginaria.»

«Non si puo avere tutto dalla vita.»

Erano seduti in un bar della Settima, a un tavolino vicino alla vetrina. Weiss guardava la strada. Una donnetta anziana era piegata sotto una borsa della spesa che sembrava pesare una tonnellata.

«Ho qualcos’altro per le mani», stava dicendo Weiss.

«Se si tratta di fatti veri, non posso aiutarti», sibilo Ketchum. «Attualmente mi occupo solo di omicidi immaginari.»

«Bishop sta lavorando a un caso, su al Nord.»

«Questa e una buona notizia. Quando quel figlio di puttana e fuori citta, San Francisco diventa migliore.»

Weiss lo ignoro. «Il mio cliente possiede il cinquanta per cento di una piccola compagnia di volo, con base fissa, che offre servizi charter, trasporto merci e via dicendo. E convinto che gli aeroplani siano usati dal suo socio per combinare qualcosa di illegale, ma ha paura a rivolgersi alla polizia perche il partner e un poco di buono, che potrebbe anche farlo ammazzare. Ha provato con un’agenzia locale, ma c’era bisogno di un pilota per le indagini e hanno fatto il mio nome.»

«Perfetto», replico Ketchum. «E qual e il piano di Bishop? Fottersi tutte le donne del posto finche una non gli spiffera qualcosa?»

Weiss riusci a ignorare anche questa uscita, per quanto decisamente vicina alla verita. «Siamo riusciti ad

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