Flake.

«Va bene», ribatte l’altro, «andiamo avanti ancora un po’.»

Chris cerco di portarsi la mano alla fronte dolorante. Per un momento sembro che l’interno della macchina fosse immerso nella nebbia. Poi tutto torno orribilmente a fuoco.

«Mio Dio, no…»

«Fallo tacere, per favore», sbotto Flake.

«No, aspettate. Ascoltate», diceva Chris, tenendosi la testa. «C’e una cosa… dovete ascoltarmi.»

«Su, non prendertela», disse Goldmunsen in tono cordiale. «Sara finita in un paio di minuti.»

«Ma voi dovete ascoltarmi… dovete.» Chris si teneva la testa, cercando di pensare a che cosa doveva dire, sfruttando l’ultimo momento disponibile. Ma le tempie gli pulsavano e il dolore e la paura non lo lasciavano riflettere. «Ascoltate, vi prego.»

«Non servira a molto, amico. Abbiamo degli ordini», disse Goldmunsen. «Sai come vanno queste cose. Cerca di stare calmo e noi renderemo tutto piu facile.»

Chris fisso sbattendo gli occhi la faccia sorridente del gorilla. «Goldmunsen, ascoltami», disse. «Ti prego.»

«Ehi», si intromise Flake con un tono duro, guardando Chris nello specchietto retrovisore. «Non hai sentito che cosa ti ha appena detto? Chiudi quella bocca.»

Goldmunsen si strinse nelle spalle. «Lo senti? Non vorrai fare arrabbiare Flake… Sai che cosa succede quando si arrabbia. Inizia con il coltello, e viene fuori un casino.»

«Oddio, per favore…»

«Dico davvero, non ti piacerebbe, credimi. Dunque, sii uomo e ci pensero io a te. Non sentirai niente.»

Una nuova ondata di paura e debolezza attraverso il corpo di Chris. Degluti per cercare di non pensarci. «Voi non capite», disse.

Goldmunsen rise. «Oh, si che capiamo.»

«No, no, e che… Mio Dio, dovete ascoltarmi, non voglio morire!»

«Mi dispiace, ma non vedo alternative», disse Flake. «Percio comportati da uomo e taci una volta per tutte.» Poi rivolgendosi a Goldmunsen borbotto: «Dagli un altro pugno e fallo tacere, sbrigati».

«Si, cosi poi dobbiamo trascinarlo per tutta la strada. Non ci penso neanche.»

L’auto si fermo e Chris sgrano gli occhi. Guardo disperatamente intorno, nell’oscurita. Poi quello che doveva dire gli torno tutto in mente, come frammenti di un puzzle che si ricomponeva lentamente dentro di lui. «Aspettate, vi prego», piagnucolo. «E stato Kennedy. Ecco che cosa dovevo dirvi. E tutta colpa di Kennedy.»

«Adesso lo taglio davvero. Fa’ qualcosa!» disse Flake.

«D’accordo, d’accordo», rispose Goldmunsen. «Cerchiamo di stare tutti calmi e di procedere in modo professionale. Sblocca la portiera dietro, forza.»

Flake fece scattare il blocco delle serrature e Goldmunsen fece segno a Chris con la pistola.

«Scendi dalla mia parte», gli disse.

«E stato Kennedy, lo giuro!»

Ma il gorilla lo ignorava. Apri lo sportello e scese senza smettere di puntare la pistola sul prigioniero. Anche Flake scese.

«Ascoltate», insisteva Chris. «Kennedy, e lui che ha combinato tutto. E lui che…» Si teneva la testa fra le mani, cercando di rimettere insieme i pezzi di quel rompicapo.

Goldmunsen gli indico l’uscita con la pistola. «Forza, vieni giu.»

«Porta le chiappe fuori di li. Non costringermi a venire a prenderti», lo incalzo Flake. «Dico sul serio, sbrigati!»

Chris fissava angosciato la canna della pistola. La paura gli impediva qualsiasi movimento; non riusciva neanche piu a parlare. Quasi senza accorgersene, inizio a scivolare sul sedile verso la pistola, come un serpente incantato dal flauto.

All’esterno, l’aria fresca della montagna lo fece tremare ancora di piu. Si sentiva debole, perduto.

«Non e giusto», mormorava. «Questa cosa… non e giusta. E un errore…»

Erano in una radura di un fitto bosco eppure c’era qualcosa di strano. Alla luce della luna Chris vide qualcosa che lo disoriento ulteriormente. Case. C’era una fila di quelli che sembravano vecchi edifici di mattoni, come in una cittadina del vecchio Far West. La maggior parte delle case era a due piani, con in cima un timpano arrotondato o addirittura un bordo di merli. In realta, delle costruzioni rimaneva solo la facciata: le finestre, buie e scure come i fori degli occhi in uno scheletro, si aprivano direttamente sul bosco. Si trattava dei resti di una citta abbandonata dopo la corsa all’oro di fine Ottocento, conservati per i turisti, ma per Chris era come trovarsi in un paesaggio da incubo, completamente irreale. La stranezza del posto, unita alla confusione mentale e al terrore, gli impediva di riordinare le idee.

«Andiamo», disse Goldmunsen.

«Aspettate», rispose Chris. «Sentite, Kennedy…»

Goldmunsen, indifferente, lo colpi con il calcio della pistola. Chris barcollo, poi cadde sulle ginocchia. Il cielo, gli alberi, le case roteavano intorno a lui e i suoi pensieri si erano nuovamente dispersi in mille direzioni.

«Questo ragazzo», commento Goldmunsen, «non sembra prestare attenzione a quello che gli stiamo dicendo.» Scuotendo bonariamente la testa si avvicino a Chris, lo prese per i capelli e lo tiro in piedi. Poi gli punto la pistola nelle costole intimandogli di muoversi.

Nella mente del pilota erano rimasti solo confusione e terrore. Comincio ad avanzare inciampando verso le case, e insieme ricomincio a supplicare. «Vi prego. Ascoltatemi. State facendo un errore. Dovete ascoltarmi…» La voce era debole, quasi impercettibile. Supplicava e mormorava come se recitasse una preghiera. «E stato Kennedy, e stata tutta colpa sua, di lui e di Kathleen.»

«Che cosa ne pensi?» disse Goldmunsen alle sue spalle. «Riusciremo a ritornare prima che Lucky chiuda?»

«Non lo so», rispose Flake. «Non mi riesce di pensare, con questo che blatera continuamente. Mi da sui nervi. Mi sta venendo voglia di divertirmi un po’ con il coltello, di prendermela comoda.»

«Ci spiava», continuava Chris, con un filo di voce. «Qualcuno deve credermi. Per tutto il tempo, lui e Kathleen. Dobbiamo dirlo al signor Hirschorn.»

«Ma dai, quale coltello? Che cosa dici?» sbotto Goldmunsen. «Lascia perdere quel coltello del cazzo. Io ho fame; vediamo di finire qui e andare da Lucky a farci una bella costata. Lo puoi usare li, il coltello.»

«Dicevo per dire…» si difese Flake.

«So che cosa volevi dire. Sei un sadico. Dovresti farti curare.»

Intanto, un altro pezzo del puzzle riemerse nella mente di Chris. Rammentava tutto — il computer, il messaggio — e trovo le parole per dirlo. «E un investigatore. Ecco che cos’e», disse, con un filo di voce. «Kennedy e un investigatore privato.»

Cerco di guardarsi intorno, ma Goldmunsen lo spinse ancora con la canna della pistola. «Non ti fermare.»

Chris avanzo inciampando. «Non mi fermo, ma ascoltatemi. Goldmunsen, Flake, sentite che cos’ho da dirvi. Kennedy e un investigatore privato, e questo che stavo cercando di dire.»

«Per Dio, che qualcuno gli chiuda definitivamente la bocca», disse Flake.

«Dai, lascialo stare», gli rispose Goldmunsen. «Cerca di metterti nei suoi panni.»

«Non e proprio possibile. Che cosa sta dicendo adesso?»

«Sta dicendo che Kennedy e un investigatore privato.»

«Perfetto. Per chi ci ha preso, per degli idioti?»

«Deve pur dire qualcosa, lascialo perdere.»

Le facciate delle case fantasma si chiusero intorno a loro. Una civetta emetteva il suo richiamo. I grilli e le cicale frinivano con insistenza, la stessa insistenza con cui Chris aveva ripreso a lamentarsi.

«E la verita, vi dico! Kennedy e un investigatore privato. Per favore. E uno dell’agenzia… Weiss. La Weiss Investigations di San Francisco. L’ho visto sul suo coso, il portatile… il computer. C’era un’e-mail per questa agenzia.»

Avevano raggiunto un’apertura nella fila di edifici finti, una breccia irregolare tra i mattoni: Chris vi si infilo, spinto dalla pressione della pistola sulla spina dorsale, e i due scagnozzi lo seguirono.

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