che di qualcosa aveva un dannato bisogno. Ma si accorse che gli occhi di lei guardavano oltre il giardino; poi udi il rumore del motore che si avvicinava e vide il furgone di Chris avanzare nella via in un modo che non lasciava dubbi: l’uomo era ubriaco.

Senza fretta, con movimenti sicuri, Bishop si allontano da Kathleen e rimase con lei a guardare il veicolo che entrava nel giardino.

«Che succede! Che cazzo succede! Che cosa mi tocca vedere?» Chris parlava a voce alta, cercando di scendere dall’auto. Avanzo verso di loro con passo incerto, lasciando intuire che era davvero molto, molto ubriaco. «Me ne vado per un paio d’ore e quando torno a casa che cosa trovo…» Colpi la palma di una mano con il pugno dell’altra per cinque volte, per indicare che sua moglie si faceva fottere. «Ti sembra che un uomo debba trovare questo, quando torna a casa?»

«Va’ all’inferno, Chris», disse Kathleen voltandogli le spalle disgustata, provando vergogna per lui.

Chris sali i gradini barcollando e, una volta sotto il portico, sovrasto con la sua mole le altre due figure. «Non hai perso tempo, eh, amico?»

Bishop gli rispose in tono amichevole ma distaccato. «Stavo solo scambiando due parole da buon vicino.»

«Buon vicino!» sbraito Chris. Ondeggio pericolosamente verso la moglie. «E un buon vicino, tutto qui. Merda, e chiaro come il sole. E tu, Kathleen, sei anche tu una buona vicina?»

«Vaffanculo, Chris. Chiudi quella boccaccia!»

Gli stava ancora dando le spalle, quando lui l’afferro con violenza e le strinse la mascella con l’enorme mano, obbligandola a guardarlo in faccia. Le dita premevano con forza la dove Bishop aveva fatto scivolare le sue.

«Ti ho fatto una domanda», disse. «Sei una buona vicina o no?»

«Lasciami stare!» Kathleen cercava di allontanare il braccio del marito, che pero non lasciava la presa. «L’hai voluto tu», disse e gli affondo le unghie nel polso.

«Ah…» urlo Chris, che scosto la mano ma colpi con indifferenza la moglie sopra l’orecchio. Lo schiaffo fu cosi forte da rivoltare la faccia di Kathleen. Ancora girata per nascondere le lacrime, la donna ripete: «Vaffanculo, Chris!»

L’uomo sorrise. Ora che l’aveva fatta piangere, era soddisfatto. «Buona vicina», insistette, guardandola, malfermo sulle gambe. Poi si mosse con passo incerto in cerca di Bishop.

Questi aveva osservato la scena immobile da un angolo del portico, con i pollici infilati dietro la fibbia della cintura.

Chris sibilo con una smorfia: «Hai detto qualcosa?»

La domanda fu seguita da pesanti attimi di silenzio. Bishop restava zitto, con un lieve sorriso sulle labbra e gli occhi inespressivi. Il gigante avanzo verso di lui, accompagnato da un evidente odore di birra.

«Ti ho fatto una domanda, amico. Hai detto qualcosa?»

Bishop scosse la testa.

Chris si avvicino. «Hai forse pensato qualcosa?»

Il caldo era diventato opprimente. Nell’oscurita si senti il rumore di un bidone dei rifiuti che veniva chiuso e di una porta che sbatteva.

«Be’, in effetti, una cosa si», rispose Bishop in modo tranquillo. «Penso che tu debba smettere di picchiare le donne.»

Kathleen si infilo velocemente fra i due. La lampada del portico le fece brillare le lacrime sulle guance.

«Dai, Chris, lascia stare. D’accordo? Smettila, basta. Non stava facendo niente; ti giuro che stavamo solo parlando.» Mise le mani sul petto. «Te lo giuro su Dio. Per favore.»

Chris e Bishop continuavano a fissarsi sopra la testa della donna. Il primo non riusciva piu a tenere gli occhi aperti, tanto era ubriaco, e le gambe non sembravano piu in grado di reggerlo. Aveva uno stupido sorriso sul volto.

«Sei fortunato che lei… fortunato… che c’e lei», disse.

Barcollo verso la moglie, che gli mise un braccio intorno alla vita per sorreggerlo.

«Forza», disse. «Vediamo di entrare in casa.»

Lo guido verso la porta, facendo segno con la testa a Bishop di andarsene. Bishop annui e si avvio verso casa senza smettere di sorridere.

«Buon vicino… fanculo!» Senti Chris imprecare alle sue spalle, ma non si volto. La porta si chiuse.

Un cane abbaiava in lontananza e le cicale continuavano a frinire.

9

Weiss aspettava davanti alla piccola casa bianca, con le mani nelle tasche dei pantaloni stropicciati e la giacca, anch’essa stropicciata, aperta. Era una giornata grigia, il vento faceva ondeggiare la cravatta sulla camicia bianca. Weiss vedeva la sua sagoma riflessa nella porta d’ingresso; con orgoglio, noto che chiunque lo avrebbe ancora scambiato per un poliziotto.

Quando pero la madre del Topo apri la porta, gli lancio uno sguardo rassegnato ed esclamo: «Oh, no. Mi lasci indovinare, un altro investigatore privato».

«La signora Spender?» chiese Weiss.

«Entri, entri, cerchiamo di sbrigare questa faccenda.»

Era una donna anziana, stanca e acida, dai lineamenti sottili e affilati come quelli di suo figlio, il Topo. I capelli grigi incorniciavano un volto rugoso, altrettanto grigio. Mentre si faceva da parte per lasciarlo entrare i suoi occhi arrossati osservarono con tristezza la figura di Weiss.

Questi riconobbe l’odore della casa non appena varco la soglia. Vecchia, stantia, insopportabilmente rispettabile. Si aspettava stampe floreali alle pareti, tappeti consunti e tende soffocanti; anche qualche immagine di Gesu qua e la. I mobili dovevano essere quelli ereditati dalla casa piu grande in cui la donna aveva vissuto fino alla morte del marito. Weiss era certo di tutto questo prima ancora di superare l’atrio in cui era stato introdotto.

«Devo dedurre che suo figlio ha consultato altri investigatori prima di me», disse.

«Sta scherzando, vero? C’e una lista lunga quanto un poema. E perche no, voglio dire, con tutto il denaro che abbiamo da buttar via! Insomma, signor…»

«Weiss.»

«Venga di sopra, signor Weiss; cerchero di risparmiare a entrambi tempo e denaro.»

La stretta scala era male illuminata, cosi come il pianerottolo del primo piano. Weiss segui la donna fino a una porta chiusa. La signora Spender l’apri con un gesto teatrale.

«Questa e la stanza di mio figlio», annuncio. «Qui e dove elabora tutte le scemenze che le ha raccontato.»

Non si diede pena di accendere la luce, ma quella che entrava dalla finestra permise a Weiss di osservare l’ambiente, una volta entrato.

Sembrava la stanza di un bambino di circa dodici anni. C’erano persino un modellino di astronave sul cassettone e due bandierine dei Giants appese al muro. Il letto singolo sembrava quello di un ospedale, con le coperte tirate e rimboccate sotto il materasso; a una delle pareti era appoggiato uno scaffale che fungeva anche da scrivania. Weiss esamino i libri: volumi di numismatica, libri illustrati sulla Spagna, una lunga fila di romanzi di fantascienza consunti dall’uso.

Improvvisamente ci fu una specie di botto. La signora Spender aveva preso una pila di taccuini dall’armadio di suo figlio e l’aveva lasciata cadere sulla scrivania.

«Io non dovrei neanche sapere che esistono», disse in tono asciutto.

Weiss si avvicino e sparse la pila sulla scrivania. Si trattava di normali taccuini a spirale, ma c’erano anche riviste di ragazze nude, tutte, come Weiss pote notare mentre la signora Spender sbuffava con una smorfia carica d’ironia, chiaramente di origine latinoamericana.

In fondo alla pila vi erano alcuni raccoglitori. Weiss li apri e riconobbe con un sorriso le pagine azzurre, con le buste circolari in cui mettere le monete. Anche la collezione, Weiss noto, era quella di un ragazzino dodicenne,

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