dal frutto tropicale, ma il suo sapore si distingueva da ogni altro. Era qualcosa di diverso, e i tentativi di dire che sapeva di pollo o di selvaggina erano sempre inadeguati.

Lilo non lo diceva, ma la carne che aveva il sapore piu simile al bananacarne era quella umana. La sua prima azione criticabile, compiuta innocentemente e per spirito di ricerca, era stata di includere una coltura di tessuti presi dal suo corpo nei campioni che stava analizzando; la sua prima azione illegale era stata di introdurre dei mutamenti nella coltura e trapiantare parti di DNA nei geni della banana.

Il bananacarne la rese ricca. Non in modo fantastico, ma tanto da darle il tempo e i mezzi perche fosse tentata di tornare al suo primo amore: il corpo umano.

Ricordava i giorni felici trascorsi gingillandosi con la struttura esterna del proprio corpo e di quello di altri. Sebbene continuasse a considerarla una fase della propria crescita — e ormai disprezzava la maggior parte delle variazioni cosmetiche del corpo — continuava a esserne affascinata.

Pensava agli eventi genetici incredibilmente casuali che avevano plasmato e plasmavano la vita sua e di tutti gli esseri umani. Le piaceva leggere; a molti altri non piaceva. La spiegazione sociale prevalente dell’analfabetismo era che alcune persone, per carattere, non erano adatte a leggere (e in realta, in un mondo computerizzato e saturato dagli schermi, c’erano poche professioni per le quali fosse necessario saperlo fare). Lilo accettava il fatto, ma aveva sempre avuto la sensazione che la maggior parte della gente non imparasse a leggere semplicemente perche non era abbastanza intelligente.

Cio non la faceva sentire superiore. Anzi, era un caso, e quindi la disturbava. La sua intelligenza non era opera sua, ma era stata predeterminata allorche due gameti erano finiti l’uno addosso all’altro in un placentario.

Irritata per dover subire le restrizioni delle leggi genetiche, si dedico a studiarne le origini; rimase esterrefatta nello scoprire che la messa al bando per cinquecento anni degli esperimenti sugli esseri umani doveva essere solo una moratoria. Per allora era stata una decisione ragionevole, con la razza umana in una situazione fluttuale, davanti a un futuro incerto. Ma quando era il momento di smettere? La situazione attuale dell’umanita esauriva tutte le permutazioni che potevano essere effettuate sul limitato patrimonio genetico dei sopravvissuti all’Invasione. Le malattie e i difetti genetici erano gia stati tutti eliminati, prima della messa al bando della ricerca. La razza umana era sufficientemente sana. Ma stava progredendo?

La sua sorpresa aumento quando venne a conoscenza degli aspetti riproduttivi della genetica. Lilo non era una genetista o un’allevatrice, nello stesso senso in cui chi costruisce una macchina puo sapere poco della metallurgia che ne ha fabbricato le parti. Lilo si rendeva solo vagamente conto dell’esistenza delle leggi dell’ereditarieta. Il suo lavoro era quello di prendere qualcosa che esisteva gia e di piegarlo al proprio volere manipolandolo direttamente con le tecniche apprese tramite la Linea Calda Ophiucus. Adesso era immersa nel mondo dei caratteri recessivi e degli incroci. Comincio a domandarsi se fosse possibile che gli esseri umani si stessero trasformando in idioti, in mancanza di un punto di riferimento che indicasse il cambiamento.

Tento di stimolare l’interesse degli altri ingegneri genetici, ma non ci riusci. Non c’era nessun gruppo politico disposto ad appoggiarla nel tentativo di far abrogare le leggi genetiche. Se nella societa umana un tabu aveva sostituito quello del sesso, era la genetica umana. Nessuno voleva esaminare il problema semplicemente perche nessuno lo considerava tale. Lo accettavano come un dato di fatto della vita, nell’ordine naturale delle cose: il DNA umano era inviolabile.

Per un anno Lilo penso alle alternative che aveva di fronte.

Poteva lasciar perdere tutto. Era una possibilita concreta, e anche adesso non sapeva bene perche avesse continuato. C’erano giorni in cui sentiva l’inerzia della societa come una vera e propria droga dentro le vene, che la calmava e le diceva di lasciare le cose come stavano. Se andava bene a tua nonna, perche non va bene a te?

Oppure avrebbe potuto indagare, con cautela. Alla fine fece cosi. Ma non con sufficiente cautela.

La sua guida fu la Linea Calda Ophiucus. Del gran volume di trasmissioni in codice che giungevano lungo la Linea, almeno il novantacinque per cento rimaneva indecifrato. Ma sembrava che si fosse scoperto quale parte di esse — forse la maggiore — avesse in qualche modo a che fare con il DNA umano. Fece esaminare da un computer parte dei dati di dominio pubblico. Si trattava di un lavoro alla cieca; non aveva un’idea precisa di che cosa stesse cercando. Il campo era cosi inesplorato che dovette risalire a materiale precedente l’Invasione per trovare qualche opera significativa sull’argomento. Sapeva che un tale lavoro avrebbe richiesto centinaia di ricercatori, scienziati come quelli che esistevano al tempo della ricerca di base e che sospettava ormai introvabili. Era giunta alla conclusione di non possedere un’educazione da scienziata; era un ingegnere, o piuttosto un meccanico.

Le indicazioni erano buone. Non si preoccupo di chiedersi come facessero gli Ophiuciti a sapere tante cose sulla genetica umana; sembrava che conoscessero quasi tutto, ed erano secoli che la razza umana si basava su quel flusso di informazioni. Mise a punto un laboratorio su Janus e comincio il primo esperimento di arresto sulle proprie cellule ovulari. Non aveva intenzione di produrre esseri umani vivi. Introduceva variazioni e sviluppava il risultato fino a uno stadio fatale, poi si serviva di cio che aveva appreso per il passo successivo.

Non sapeva nemmeno perche la stesse facendo, quella ricerca. Nei momenti peggiori sospettava di stare semplicemente realizzando i desideri di una bambina a cui piaceva giocare al dottore.

Ma altre volte era confortata da una visione. Non sapeva da dove venisse, ma le sembrava che non facesse davvero parte di se, che non fosse un prodotto della propria mente. Era una visione indefinita e irresistibile: una razza umana sparsa fra le stelle, diversa, trasformata.

La visione era accompagnata da un’immagine vivida. La vedeva tutte le notti quando si addormentava. Correva fra l’erba alta e gli alberi sotto un sole blu. Era un bel blu, che penetrava dentro la sua pelle e dentro i fiori ondeggianti a una brezza delicata. C’era qualcuno che correva insieme a lei.

Lilo abitava a Terra Natale, la disneyland tascabile di Tweed, e dormiva in una capanna di paglia che era stata costretta a costruirsi da sola.

La prima persona che veniva a trovarla tutte le mattine era Mari. Lilo non sapeva uscire da Terra Natale senza qualcuno che l’accompagnasse. Aveva tentato di farlo piu volte, ma non era riuscita a trovare il ruscello d’accesso. Un trucco delle olografie rendeva il passaggio a senso unico. Cosi ogni mattina Mari veniva a bendarla e le faceva strada attraverso l’acqua.

Ma questa volta le due arrivarono all’argine del ruscello e Mari non prese la fascia di cotone.

«Questa settimana tocca all’Himalaya, vero?» fece Lilo.

«No,» rispose Mari. «Parti oggi.»

«Oggi?» Ma era logico. Se avesse saputo quando sarebbe partita, avrebbe fissato una scadenza per il suo piano di fuga.

«Si. Prendimi la mano e stringila contro lo stomaco. Non e una cosa molto piacevole finche non ci si abitua.» Porto Lilo a un albero della riva opposta. Lilo era sicura di averlo gia esaminato. Cominciarono a girare intorno all’albero…

Tutto sembro piegarsi sotto di lei e Lilo ebbe un attacco di vertigini. Si fermo. La scena era deformata, come se la stesse guardando attraverso una bottiglia. Mari la tiro.

«Sali,» disse. «Tre gradini. Non cadrai.» Lilo degluti e fece tre passi nell’aria. Sentiva che c’era del cemento sotto. Stava salendo, ma aveva la sensazione di scendere lungo un pendio verticale. «Gira a sinistra, poi di nuovo a sinistra. Chiudi gli occhi, sara piu facile.» Ma Lilo li tenne aperti. Aveva visto olografie ingannevoli come quelle nei luna-park, ma nessuna era cosi perfetta. Emersero nel corridoio pieno d’acqua.

«Mi puoi dire dove sto andando?» chiese Lilo. «Cosi sapro cosa mettere in valigia.»

Mari rise. «No. Sinceramente non lo so.»

Si fermarono al laboratorio di Mari. Un’ora dopo Lilo ne usci senza il polmone sinistro. Al suo posto c’era un generatore a tuta-nulla, una cosa che non aveva mai usato prima. Con ogni probabilita doveva andare su Mercurio o su Venere, poiche quelli erano i soli posti dove le tute-nulle fossero necessarie. Tocco con curiosita il piccolo fiore metallico che aveva sotto la clavicola — era la valvola di uscita e l’unita di controllo della tuta — mentre Mari le spiegava come farla funzionare. Aveva il collo leggermente indolenzito nel punto in cui Mari aveva installato la radio biauricolare e il microfono uniti alla tuta.

Quando le venne presentato Iphis, Lilo fu sicura di star per abbandonare la Luna. Si trattava certamente di uno spaziale, poiche non aveva gambe. Era chiaramente in una licenza troppo breve per giustificare la spesa di un trapianto di gambe. Era seduto su un cesto imbottito sopra un camminatore a forma di ragno.

Vaffa, come sua abitudine, comparve accanto al gomito di Lilo.

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