«Esatto. Ci puo portare la?»

«Certamente. Perche ci volete andare?»

«Questo non posso dirglielo. Mi dispiace, non posso proprio.»

«Non importa. Ha diritto ai suoi piccoli segreti.» Aveva un’aria assorta e Lilo era preoccupata. Sentiva di essere di fronte a una persona astuta, forse anche molto vecchia. Non ne aveva la certezza, ma provava sempre una strana sensazione davanti a qualcuno di piu di trecento anni.

«Da dove viene? E come si chiamano gli altri due?»

«Dalla Luna. Vaffa e Cathay. Quanti anni ha?» Non aveva avuto l’intenzione di domandarlo.

«Se non mi dispiace che me lo chieda?» fece un lieve sorriso. «Sono abbastanza vecchia da essere il ramo mancante del suo albero genealogico, Lilo. Sono nata nel 1979, Vecchia Numerazione. Allora mi chiamavo Mary Lisa Bailey. Sono stata la prima donna a mettere piede su Marte, se le interessa. E stata la mia sola comparsa sui libri di storia.»

Lilo non era sicura che le avesse detto la verita. Aveva gia incontrato persone che pretendevano di avere un’eta strana, e generalmente non le aveva credute. Per quanto ne sapeva, non c’era nessuno che fosse nato sulla Terra e fosse ancora vivo. Dopo tutto l’invasione era avvenuta cinque secoli e mezzo prima, quando la scienza biologica stava muovendo i primi passi. Tuttavia…

«Quindi sarebbe…»

«L’essere umano piu vecchio. Non lo dica in giro. L’ultima cosa che desidero e diventare un’altra volta oggetto di interesse. Per inciso, portero lei e i suoi amici. Quando sarete pronti per partire?»

«Ha… eh, mi lasci pensare. Sta andando un po’ troppo in fretta, per me.» Non credeva che avrebbe mai detto una cosa del genere a un cercatore.

«Non avrete bisogno ne di vaccini ne di passaporti per dove dobbiamo andare. Potete portare trenta chili di bagaglio ciascuno. Quando potete essere pronti?»

«Va bene domani?»

«Allora partiremo fra ottantamila secondi standard. Preparate le carte d’imbarco. Vi cucinerete e vi accudirete da voi. Dovro fare alcuni cambiamenti strutturali per permettervi di spostarvi sulla nave. Pareti da abbattere, cose di questo genere. Portate dello champagne, d’accordo?»

Lo schermo si oscuro.

«Non so perche abbia accettato cosi velocemente,» disse Lilo. «Forse ce lo dira.» I tre stavano dirigendosi verso la grande massa della Cavorite con uno scooter piu grande del precedente, nel quale potevano indossare i caschi. Ognuno di loro aveva una tuta e una valigetta.

Lilo aveva ripetuto per tutto il giorno la sua conversazione con Javelin. Aveva detto a Vaffa che non c’era niente che la preoccupasse, che Javelin era solo un’eccentrica e che probabilmente li trasportava solo per divertimento.

In realta c’erano diverse cose che la disturbavano, ma erano tutte cosi vaghe che riusciva appena a definirle. Prima di tutto, perche Javelin aveva acconsentito? Piu ci pensava e piu si convinceva che il fattore decisivo era stato aver detto che venivano dalla Luna e aver nominato Vaffa. A sentire quei nomi, dietro la faccia impassibile di Javelin era cambiato qualcosa.

Poi gli accenni alla Linea Calda. Perche era stata cosi precisa sulla destinazione? Doveva essere stato il suo strano senso dell’umorismo a farle suggerire che potessero considerare la possibilita di andare su 70 Ophiucus. La maggiore penetrazione umana nello spazio interstellare non era superiore a mezzo anno luce; 70 Ophiucus era a diciassette. Ma aveva fatto una pausa — non era vero? — prima di citare la stella.

Dalla sua prima visita la stanza d’ingresso era cambiata. La parete antistante la camera stagna era stata abbattuta e le poltrone non erano piu fissate al suolo. Adesso la stanza era ingombra di strani mobili antichi, tanto che non capivano come sarebbero riusciti ad arrivare dall’altra parte.

Al di la di quella confusione comparve Javelin. Era la prima volta che la vedevano, anche se c’erano troppe cose in mezzo.

«Salve, laggiu!» grido, guardandoli attraverso i mobili. «Dovrete aiutarmi a caricare questa roba sullo scooter prima di sistemarvi. Non ce la farei a decollare con tutto questo carico.» Poi, piu veloce dell’occhio umano, fu accanto a loro.

«Santa Madre Terra, non lo faccia piu!» Vaffa sembrava sinceramente scossa. Anche Lilo era sconcertata. Il modo in cui Javelin si era fatta strada in quel labirinto apparentemente impenetrabile era stato sorprendente, incredibile.

Lilo guardo Javelin e vide un sottile cilindro di due metri, che si ingrossava gradatamente al centro e aveva una mano a ciascuna estremita. Il cilindro era flessibile in quattro punti, che rappresentavano il ginocchio, il fianco, la spalla e il gomito. Dalla «spalla», con un leggero angolo rispetto al resto del cilindro, spuntava la testa, con capelli castani tagliati corti. Indossava un semplice tubo azzurro di tessuto che le lasciava scoperti il braccio e la gamba.

Era Javelin, con il braccio alzato. Quando lo abbassava su un fianco, sembrava un grosso temperino.

Non si era semplicemente liberata del braccio destro e della gamba sinistra. Per gli spaziali era una cosa comune togliersi due arti, di solito le gambe. Javelin aveva raggiunto il culmine estetico della magrezza. La cassa toracica, la spalla destra e il fianco sinistro erano stati sostituiti da strutture plastiche. Si era liberata del rene sinistro, del polmone destro e di gran parte dell’intestino. Si era fatta ricostruire il gomito e il ginocchio con giunture a cuscinetto.

Era sinuosa come un serpente. Cio che restava di lei poteva passare attraverso un foro di venti centimetri di diametro.

«Fare cosa?» chiese innocentemente Javelin.

«…quello. Quello che ha fatto. Non mi piacciono le persone che mi vengono vicino cosi velocemente.»

«Lo terro presente. Adesso volete darmi una mano?»

Trasportarono i mobili sullo scooter. Avrebbero potuto essere piu rapidi, ma erano tutti e tre affascinati dai movimenti di Javelin. Con una mano afferrava una maniglia accanto alla camera stagna, si allungava con la gamba e prendeva un mobile che tirava, piegandosi come un’anguilla, per farlo passare dal portello.

«Da questa parte,» disse quando ebbero finito. La seguirono al di la della porta, muovendosi tutti goffamente in assenza di gravita. C’era un lungo corridoio, con due pareti rivestite di tappeti e due di pannelli di quercia; questi ultimi erano adorni di ringhiere d’ottone.

«Qui c’e l’equipaggiamento vitale,» spiego, indicando le pareti. «Le cabine sono davanti.» Vi si avvio, tirandosi con le mani (il che, nel suo caso, significava afferrare la ringhiera e compiere un arco con il corpo finche la mano che aveva in fondo alla caviglia non faceva presa). Dopo tre di quei movimenti era gia al centro del corridoio, a gamba in avanti, e girava verso di loro con un ampio sorriso. Arrivo in fondo, acquisto movimento con la gamba e scomparve dietro l’angolo.

«Che altro inventera la scienza?» esclamo Cathay.

«Non la disprezzare,» disse Lilo. «Sembra che funzioni piuttosto bene. Mi fa quasi sentire… superata.»

«Si. Ma la vorrei vedere in un campo gravitazionale.»

«Immagino che non scenda mai. Mai.»

Javelin li aspettava davanti alla prima di due camere stagne. Li fece passare, illustrando le procedure per conservare l’aria della nave. Si aspettava che la seguissero senza fare sciocchezze. Quindi arrivarono alle cabine.

«Mi scuso per le dimensioni,» disse Javelin, aprendo le porte di due piccole stanze. «Questa non e la Queen Mary. Ho dovuto persino spostare la mia collezione di francobolli. Due di voi dovranno stare insieme, a meno che uno non preferisca il divano del solarium. Avanti, lasciate qui i bagagli e seguitemi.»

Lilo era attonita. Non sapeva fino a che punto Javelin stesse fingendo, se davvero le dispiacesse che ci fossero solo due «stanze per gli ospiti». Le cabine erano piccole, ma lussuosamente ammobiliate, rivestite e fornite di tappeti, come tutto il resto che aveva visto. Oltrepassarono altre due porte, quella di un’officina e quella di un laboratorio medico. Lilo riusci a lanciarvi solo un’occhiata.

Il solarium occupava la maggior parte della zona abitata. Javelin li fece entrare e continuo ad andare avanti.

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