Lo rassicurai che non era proprio un miglio, e gli spiegai come il castello fosse stato costruito circondato da tre lati da un precipizio (ad est, sud e ovest) in modo da poter essere piu facilmente difendibile dagli invasori: principalmente i Turchi provenienti dal sud.
Lui ascolto con estremo interesse e comincio persino a prendere degli appunti su un piccolo blocco ma, dal momento che quella vista vertiginosa lo metteva a disagio, lo condussi giu nel piano nobile dell’ala centrale, in quel soggiorno cupo dove, nei secoli precedenti, i miei antenati avevano intrattenuto altri nobili.
Lui si stupi molto per le eccellenti condizioni dell’antico mobilio e per lo splendore degli arazzi di broccato, alcuni intessuti con l’oro. Quando ci voltammo verso il ritratto — piu grande del naturale — che dominava l’ampia parete sopra il caminetto, trattenne il respiro e si volto verso di me per la sorpresa…
«Ma… siete voi!», esclamo.
Sorrisi appena quando le sue parole echeggiarono contro il soffitto dall’alta volta.
«E difficile. Questo e stato dipinto nel quindicesimo secolo».
«Ma guardate», insistette Jeffries con entusiasmo. «Ha il vostro naso», e qui indico il tratto lungo e aquilino del soggetto, «i vostri baffi, le vostre labbra», e indico i neri baffi spioventi (in tutta onesta, molto piu folti dei miei) sopra un generoso e rosso labbro inferiore, «i vostri capelli scuri…».
A questo punto si fece silenzioso, poiche era arrivato agli occhi.
«Come potete vedere», dissi, ancora sorridendo, «i suoi capelli erano ricci e lunghi fino alle spalle, mentre i miei sono tagliati piuttosto corti, secondo lo stile moderno».
Rise.
«Si, ma con un taglio appropriato…».
«E c’e la questione degli occhi. I suoi sono verde scuro; i miei sono nocciola».
Mi lancio un’occhiata per verificarlo e concesse:
«Si, avete ragione. Gli occhi sono del tutto diversi; i suoi sono piuttosto vendicativi e freddi, non trovate? Ma, per quanto riguarda il colore, i vostri hanno un po’ di verde in loro e la rassomiglianza e ancora notevole».
«Non e nulla se paragonata alla rassomiglianza con lo zio. Naturalmente, gli occhi dello zio sono simili a quelli».
«Allora devo memorizzare ogni tratto di questo visto!», esclamo Jeffries. «E, quando incontrero vostro zio, me lo ricordero a memoria e li confrontero!». Alzo la penna dal suo block-notes e lesse socchiudendo gli occhi la placca di ottone sotto al ritratto. «Vlad Tepes?».
Lo pronuncio «Te-pes».
«Tsepesh», lo corressi. «Non vedete quella piccola cediglia, li sotto alla t e alla s? Cambia la pronuncia».
«Tsepesh», ripete Jeffries, scrivendo sul suo blocco. «Sembra una persona importante».
Mi raddrizzai pieno di orgoglio.
«E il Principe Vlad Tsepesh. Nato nel dicembre del 1431, prese il potere per la prima volta nel 1456, e mori nel 1476. E omonimo di mio zio».
«Omonimo?».
Lo scrivere con foga cesso; la penna si fermo sopra la carta. Jeffries mi guardo battendo le palpebre, confuso.
«Forse… forse c’e qualcosa che non capisco circa i nomi rumeni».
«Che cos’e che costituisce una difficolta per voi? La scrittura…?»
«No, no, quella la capisco, ma…». Tiro fuori un altro pezzo di carta della tasca, lo spiego e me lo mostro. «Come lo dovro chiamare correttamente?».
Il biglietto che avevo tradotto era stato firmato con l’attenta e delicata mano dello zio; quando vidi la firma, rimasi tanto colpito da rimanere senza parole. Non so se Jeffries noto la mia sorpresa, poiche mi ripresi rapidamente e gli restituii il biglietto con un sorriso forzato.
«Lo zio ha una predisposizione per i tiri mancini», mentii, «e cosi lui, scherzosamente, ha usato quel soprannome datogli dai contadini».
In verita, era un soprannome, sebbene non inventato dallo zio. Era stato dato da paurosi
«Se questo soprannome piace al mio generoso ospite», disse Jeffries, «allora lo chiamero cosi ma, per favore, spiegatemi…».
«Dracula», pronunciai l’odiato nome con disgusto, poi indicai qualcosa. «Vedete il drago in basso, sulla destra del ritratto?».
Jeffries osservo piu da vicino lo stemma di Vlad, dov’era raffigurato un drago alato con la coda biforcuta, che si attorcigliava intorno alla figura di una doppia croce.
«Il padre di Vlad, Vlad Secondo, fu un governatore indotto dall’imperatore ungherese a far parte di una setta cavalleresca segreta, conosciuta come l’Ordine del Drago», continuai. «Lui usava questo emblema sui suoi scudi e sulle monete. E questa la ragione per cui i
Sfortunatamente, in rumeno, la parola
«Le mie piu profonde scuse se vi ho offeso», disse Jeffries, con un tono malinconicamente sincero, continuando, pero, sempre a scrivere. «Capisco che questo atteggiamento abbia causato alla vostra famiglia non poco dolore. Vostro zio pero ha mantenuto un ammirevole senso dello humour riguardo alla faccenda, per essere capace di firmarsi per scherzo con questo nome, considerando la natura dell’articolo che sto scrivendo».
Le sue maniere erano cosi gentili che riuscii a fare un piccolo e mesto sorriso.
«Temo di non condividere il senso dello humour dello zio riguardo a queste questioni».
Non gli dissi l’intera verita: che il cognome usato per l’intera famiglia era Dracul, senza la
«Potrei chiedervi circa l’altro simbolo… la, a sinistra in basso, quello che si trova all’opposto dello stemma del drago?».
Indico con un gesto la testa di un lupo sopra al corpo arrotolato di un serpente.
«Quello e lo stemma della nostra famiglia. E molto antico. Il drago era il simbolo del regno di Vlad, ma il lupo rappresenta la nostra discendenza. I Daci, che abitavano questo paese prima che lo conquistassero i Romani, si riferivano a se stessi come a degli “uomini-lupo”».
«Ah, si…». I suoi occhi chiari si illuminarono di interesse mentre continuava a scribacchiare. «Gli antichi Daci… ma c’erano delle leggende, non e vero, sulla loro abilita di trasformarsi veramente in altre creature, come il lupo…?»
«Tutte ridicole superstizioni, naturalmente».
«Naturalmente». Il sorriso di Jeffries era luminoso. «E tutta superstizione, ma e affascinante, non e vero, vedere come le leggende si sviluppino dalla realta…?».
Dovetti acconsentire.
«E il serpente…?», insistette. «Pensate forse che i contadini lo abbiano visto e siano portati a credere ancora al Diavolo?»
«Forse, ma solo una persona ignorante farebbe cosi. Nei tempi pre-cristiani, i serpenti erano riveriti come creature che possedevano il segreto dell’immortalita poiche, quando cambiavano la loro vecchia pelle, “morivano” e “nascevano” di nuovo. L’ho sempre considerato come il simbolo del fervente desiderio che la discendenza familiare continui ininterrotta per sempre».
Il giro continuo, e la nostra conversazione si rivolse ad altri argomenti. Gli raccontai la storia della nostra