famiglia, del regno del primo Vlad Tsepesh, delle vittorie sui Turchi e dei molti importanti membri della famiglia Tsepesh sparsi in tutta l’Europa orientale.
Fu piuttosto colpito, e annoto attentamente tutti i dettagli. Sono fiducioso che l’articolo sara preciso e avvincente, e gli ho chiesto se sarebbe stato cosi gentile da mandarmi una copia del lavoro finito, cosi che io potessi tradurlo in rumeno per farlo conoscere ai miei compatrioti transilvani, anche se, sfortunatamente, coloro che hanno bisogno in modo particolare di leggere l’articolo, sono proprio quelli che non sanno leggere. Lui ha acconsentito a farlo.
Cominciammo, allora, a parlare di nuovo dei contadini e delle loro superstizioni. Jeffries mi confesso che, immediatamente dopo il suo arrivo, una delle cameriere — “una donna bionda, tarchiata, di mezz’eta”, ed io compresi che intendeva Masika Ivanovna — si era tolta il crocifisso dal collo e glielo aveva dato, supplicandolo perche lo indossasse. Lui l’aveva accontentata e lo aveva messo ma, quando lei aveva lasciato la camera, se l’era tolto.
«Io appartengo alla Chiesa d’Inghilterra e questa non sarebbe una cosa buona», disse, sebbene chiarisse che era praticante solo per tradizione e per rispetto alla famiglia, non per fede. Terminammo la discussione circa la gente del luogo, trovandoci d’accordo che l’istruzione pubblica era l’unica soluzione per la loro condizione.
La sua compagnia era cosi piacevole che io insistetti perche venisse a casa mia per cenare presto (attirandolo con la promessa di una visita alla cappella e alla tomba di famiglia). In funzione di questo fatto, lasciai un biglietto nello studio dello zio e promisi che avrei rimandato l’ospite per le nove.
Cosi e venuto con me a casa, e Mary ed io abbiamo passato una gradevole serata in sua compagnia, con il risultato che non l’ho riaccompagnato al castello se non molto tardi.
Ma e quasi l’alba: ho passato delle ore a scrivere, e sono esausto. Ora, a letto. Il resto a dopo.
Dopo essere stata testimone dell’appuntamento tra Zsuzsanna e Vlad, ieri notte, sono rimasta estremamente turbata ma ancora non ho detto nulla ad Arkady, poiche lui mi e sembrato piu turbato di me. Ho deciso di affrontare prima l’argomento con Zsuzsanna, con delicatezza, poiche temo che, essendo innocente, sia stata portata fuori strada dal suo piu navigato prozio e, forse, non capisce nemmeno che quello che sta facendo e sbagliato. Vlad e piu grande e piu saggio, e percio e lui il colpevole.
Ma Zsuzsanna non si e presentata a colazione ne a pranzo. Arkady era cosi turbato da qualche segreta pena che non l’ha nemmeno notato ma, dopo quello che avevo visto, io mi sono preoccupata, e cosi ho bussato alla porta della camera di mia cognata nel primo pomeriggio.
Lei ha risposto debolmente, dicendomi di entrare, ed io ho aperto la porta e l’ho trovata ancora in camicia da notte a letto, seduta con i lunghi e neri capelli sparsi sui cuscini. I suoi occhi sono grandi come quelli di Arkady ma, diversamente da quelli di lui, sono molto scuri, e oggi erano sottolineati da un’ombra che enfatizzava il suo pallore. Infatti, sembrava penosamente pallida e tirata; le sue labbra e le guance avevano perduto la loro solita traccia rosea.
«Zsuzsanna, cara», dissi, portandomi al suo fianco. «Oggi mi e mancata la tua compagnia, e sono venuta a vedere come stavi. Non stai bene?»
«Mia dolce Mary! Sono solo stanca. Non ho dormito bene la notte scorsa».
La sua risposta mi ha fatto arrossire, ma non penso che lei l’abbia notato. Ha sorriso al vedermi e mi ha afferrato la mano; la sua era fredda. Ho supposto che il suo pallore fosse causato da qualche disturbo femminile, e cosi non ho insistito per saperne la causa, ma temo che sia anche — almeno in parte — dovuto al mal d’amore e al senso di colpa. Sembrava cosi piccola e fragile, li contro i cuscini, che era impossibile pensare a lei come a un adulto responsabile; persino la sua voce e la sua espressione erano quelle di un bambino.
«Hai mangiato?», le ho chiesto. «Ti posso portare qualcosa?»
«Oh, si! Sono davvero affamata. Pensa che Dunya mi ha portato due vassoi pieni, e ho mangiato tutto». Diede un colpetto al cane, che giaceva soddisfatto ai piedi del letto e che batte la coda al suono del suo nome. «E tutta colpa di Bruto! Ha abbaiato per tutta la notte, e non mi ha permesso di dormire. Ho dovuto metterlo in cucina, e ci stara anche stanotte!».
«Forse e piu saggio permettergli di restare». La guardai intensamente in cerca di una reazione. «Abbaia solo per proteggerti».
Rise. I suoi occhi erano grandi e innocenti.
«Proteggermi? Da cosa? Dai topi di campagna?»
«Dai lupi», dissi, tetramente. «Ho pensato di averne visto uno vicino alla tua finestra la notte scorsa. Devi fare attenzione».
Allora segui una pausa imbarazzata; socchiuse gli occhi e mi getto un veloce sguardo espressivo prima di voltarsi e fingere di prestare attenzione al cane ai suoi piedi. Lo accarezzo per parecchi secondi, in silenzio.
All’improvviso scoppio in lacrime e alzo il viso contorto verso di me mentre mi stringeva il braccio con entrambe le mani.
«Per favore… non dovete tornare in Inghilterra! Diteglielo… per favore! Se mi lasciate tutti, io moriro! Nessuno di voi deve lasciarmi…!».
Piangeva con la disperazione di un bambino.
Io rimasi sorpresa piu di quanto possa dire da quell’inattesa reazione emotiva, ma la presi come una chiara ammissione di colpa e una confessione d’amore. Non le sarebbe importato tanto se fossimo stati io e Arkady a partire, ma sarebbe morta se a partire fosse stato il suo prozio.
«Mia cara», la blandii, «noi non ti lasceremmo mai. Non devi nemmeno pensare una tale cosa».
«Diglielo! Diglielo!», ripeteva con voce soffocata, e mi stringeva il braccio cosi disperatamente che glielo dovetti promettere immediatamente:
«Si, si, glielo diro e molto presto».
So che non si riferiva a suo fratello. So di chi si trattava, anche troppo bene.
Dalla sua reazione, temo che il senso di colpa l’abbia condotta a un esaurimento nervoso. Rimasi seduta un po’ li con lei e la calmai, non dicendole nient’altro di quello che avevo visto, per timore di provocarle un’altra crisi. Aveva sofferto abbastanza, povera cara, e io non posso fare altro che affrontare l’argomento con mio marito… o con lo stesso Vlad.
Pero io sono appena arrivata nella famiglia; non spetta certo a me mettere al suo posto il patriarca. So che devo parlare ad Arkady e presto. Ma, sebbene mio marito non sia andato al castello che a pomeriggio inoltrato, non sono riuscita a parlargli: non ho saputo trovare le parole.
Allo stesso tempo, non riesco a sopportare che qualcuno approfitti ulteriormente della povera e confusa Zsuzsanna. Cosi decisi che avrei atteso il ritorno di Arkady a casa quella sera per parlargli, e passai il pomeriggio scegliendo con cura le frasi che avrebbero sicuramente fatto breccia nel suo cuore.
Con mio sgomento e sollievo, mio marito e tornato a casa solo dopo alcune ore, con un inglese che era in visita al castello, un certo signor Jeffries. Arkady era cosi contento di avere un ospite — e devo ammettere, nonostante la tristezza, che anch’io ho goduto della sua compagnia e l’ho trovato una piacevole distrazione dalle mie preoccupazioni — che non me la sono sentita di rovinare il suo buon umore.
Abbiamo cenato presto, con il nostro ospite. Come mi aspettavo, Zsuzsanna non e scesa per la cena, e ha mandato un messaggio tramite Dunya, dicendo che era ancora indisposta.
Il signor Jeffries, a quanto pare, e un giornalista, recentemente ritornato nel continente dopo un viaggio in cerca di notizie in America. Durante tutta la cena ha parlato animatamente della situazione in quel Paese; hanno eletto un nuovo Presidente — James Polk — e potrebbero presto annettersi un nuovo Stato dall’esotico nome di Texas.
Nel Texas e permessa la schiavitu, e cio ha creato molte controversie nel Paese. Non solo i Nordisti sono abolizionisti e i padroni delle piantagioni del Sud non lo approvano, ma uno Stato vicino rivendica contemporaneamente la proprieta del territorio. Secondo il signor Jeffries, e imminente una guerra tra gli Stati