18 giugno 1959, Tangeri

Il primo caldo estivo e brutale. Il mio cervello e un ribollire di niente. Resto sdraiato sulle stuoie nel mio studio a bere te e a fumare, dormo tutto il pomeriggio e mi sveglio alle otto di sera per trovare una temperatura appena sopportabile. All'improvviso mi viene in mente che e il compleanno di P. e che ho dimenticato di comprarle un regalo. Frugo in tutti i cassetti e trovo un cubo di agata montato su una modesta fascetta d'argento, probabilmente scartato da M. Gli sistemo intorno un po' di carta colorata in modo che l'agata faccia l'effetto del pistillo di un fiore. Comprimo tutto quanto in una scatoletta in modo che quando si toglie il coperchio il fiore salti su. Lego la scatola con una striscia di stoffa rossa e vado a casa.

Finiamo di mangiare a mezzanotte. I bambini stanno per andare a letto quando mi ricordo del regalo. Mando Javier da lei all'altro capo del tavolo con la mia scatolina. P. la scarta con grandi cerimonie, il fiore salta su e il coperchio colpisce il naso di Javier. Tutti sono divertiti e contenti, compresa P., finche all'improvviso assume un'espressione di assoluto imbarazzo. Per un attimo sono preso dal panico al pensiero che sia un anello che le avevo gia regalato; ma sono sicuro che non e cosi, me ne sarei accorto. Il momento passa. Lei si infila l'anello, io la bacio e noto che non ne porta altri, a parte la fede nuziale. Questo mi sorprende perche ne aveva sempre avuto uno che non si toglieva mai, una fascetta d'argento con un piccolo zaffiro che le avevano regalato i suoi genitori quando era diventata donna. Sto per chiederle se lo abbia perduto, ma l'espressione sul suo viso quando ha visto l'agata mi ha messo a disagio.

XXX

Sabato 28 aprile 2001, Tetuan, Marocco

Falcon si alzo presto per prendere un grand taxi prima dell'alba e imbarcarsi su un aliscafo per Algeciras. Le ultime righe del diario erano impresse a fuoco nella sua mente. L'anello d'argento con quell'unico zaffiro era l'anello di sua madre, l'assassino aveva portato al dito l'anello di sua madre e per questa ragione aveva cercato di riprenderlo, perche ora Falcon sapeva che la chiave di tutto era nei diari. Quell'uomo era riuscito a entrare in casa di suo padre, aveva letto i diari e ne aveva portato via la parte cruciale; poi si era gettato nella sua orgia di vendetta. Ma come aveva potuto impadronirsi di un anello che sua madre non si toglieva mai? Verita imbarazzanti gli scivolarono nella mente insieme con il ricordo di essere sollevato in alto, sulla riva del mare nella baia di Tangeri, le piccole gambe che si agitavano in aria, al di sopra di una faccia di cui non riusciva a ritrovare la memoria.

Alle due del pomeriggio era di nuovo a Siviglia. Sulla segreteria trovo un messaggio del Comisario Lobo: questi, furioso, aveva consumato gran parte del nastro per dirgli come non fosse una coincidenza che il lacche del Comisario Leon, Ramirez, avesse ufficialmente depennato Consuelo Jimenez dalla lista dei sospettati non appena aveva assunto il controllo delle indagini. A Javier non importava. Ando dritto nello studio di suo padre. La scatola dei gioielli era ancora aperta sul tavolo dove l'aveva lasciata. Afferro l'anello di agata e lo strinse nel pugno, come se, imprimendovi la sua geometria, potesse far scattare il chiavistello della memoria. Cammino avanti e indietro, prendendo a calci una pila di riviste sotto il tavolo e facendola franare ai suoi piedi.

Una copertina era completamente nera, con un titolo inglese: Bound. L'apri con un piede e indietreggio di colpo. Le due fotografie che aveva visto erano visioni d'inferno, due donne con gli occhi bendati torturate da due uomini coperti da tatuaggi. Allontano la rivista con un calcio.

Suo padre era stato trascinato sino a tal punto? Ossessionato dalla perdita del suo genio, era stato spinto, avendo dipinto il sublime senza piu riuscire a ritrovarlo, verso le immagini piu orride… per fare che? Per ritrovare la grandezza, sconvolgendosi la mente? Per seppellirsi nella speranza filosofica che la bellezza potesse esistere solo se accompagnata dal suo contrario? Falcon senti di doversi liberare prima possibile di quelle immagini agghiaccianti e mentre allontanava le riviste a calci si accorse che tutta la pila consisteva di pornografia, spinta all'eccesso, bestiale, depravata al di la di ogni immaginazione.

Sul tavolo, sopra la pila di riviste, il rotolo delle cinque tele che non aveva riconosciuto. Le stese di nuovo e le fisso sulla parete di lavoro, notando che la tela era vecchia ma la pittura era acrilica, un tipo di colore che suo padre aveva cominciato a usare soltanto verso la fine degli anni 70. Era anche certo che non fossero opera di suo padre e rimpianse che Salgado non fosse li per parlargli di quei dipinti.

Poi ricordo l'autore di falsi, il mezzo zingaro che abitava da qualche parte nell'Alameda, quello che a lui non piaceva, l'uomo che, in mutande nere, si era grattato i genitali mentre parlava con suo padre. Come si chiamava? Era qualcosa di strano, non un vero nome. Gli torno in mente qualche altro particolare del suo laboratorio: tutti i dipinti erano capovolti sui cavalletti, quell'uomo li copiava alla rovescia. El Zurdo, ecco come si chiamava. Il mancino. Per imitare le pennellate eseguite con la destra metteva i quadri a testa in giu. Falcon trovo un indirizzo nella vecchia rubrica di suo padre, alla zeta, ma non un numero di telefono.

Sali su un taxi davanti all'hotel Colon e si fece portare in calle Parras, non lontano dall'Alameda. Nessuna risposta dall'appartamento di El Zurdo, ma il vicino gli disse che era andato a pranzo nel suo solito locale, un bar in calle Escuderos che si chiamava La Cubista.

Sei uomini soli seduti ai tavoli mangiavano guardando la televisione. Non ne riconobbe nessuno.

«Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo», disse una voce mentre Falcon si avvicinava al bancone del bar.

Il tintinnio delle posate cesso, ma la telenovela sullo schermo continuava e l'uomo che aveva parlato, un tipo scuro di pelle, dai denti lunghi, si alzo, i capelli grigi appena visibili sotto un cappello nero sulla cui fascia erano appuntati distintivi e spille. Era vestito di nero da capo a piedi.

«Tu devi essere Javier Falcon», disse.

«Che cosa glielo fa pensare?»

«Perche sei entrato con un rotolo di tele sotto il braccio e con l'aria di un bambino sperduto.»

«El Zurdo?»

L'uomo gli indico la sedia di fronte a lui.

«Hai gia mangiato?»

«Si stava chiedendo quanto tempo…»

«… Javier Falcon avrebbe impiegato a venire da me», disse, voltandosi per guardare il menu sulla lavagna. «Allora, cordero en salsa, escalopinas de cerdo o atun en salsa?»

«Cordero», rispose Falcon.

El Zurdo grido l'ordinazione e Falcon appoggio il rotolo di tele al tavolo vicino. Il suo bicchiere fu riempito di vino rosso.

«Ci siamo visti soltanto una volta», disse Falcon.

«E tu non hai voluto darmi la mano.»

«L'aveva appena usata per grattarsi.»

El Zurdo scoppio in una risata. Una donna poso un piatto di stufato d'agnello davanti all'ispettore capo.

«Che cos'hai la?» domando El Zurdo accennando alle tele.

«Cinque dipinti. Non li riconosco, non sono di mio padre. Volevo sapere se fossero copie fatte da lei.»

El Zurdo scosto il piatto vuoto e prese uno stuzzicadenti da un vasetto sul tavolo. Falcon comincio a mangiare.

«Perche ti interessano questi dipinti? Sei un poliziotto, no? Me l'ha detto tuo padre.»

«Non sono in servizio, se e questo che pensa», rispose Falcon. «Sono in permesso.»

«Vuoi venderli?»

«Voglio sapere che cosa sono prima di bruciarli.»

El Zurdo si accese una sigaretta, si alzo, avvicino i due tavoli e srotolo le tele, osservandole l'una dopo l'altra con aria sicura.

«Sono tutte mie», disse alla fine, «sono copie che avevo fatto per tuo padre, ma non sono lavori suoi. Mi aveva chiesto il favore di copiarli per un pittore svizzero che li aveva appena venduti alla galleria di Salgado e voleva evitare di pagare le tasse. Naturalmente lo svizzero avrebbe portato con se le copie da mostrare alla

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