con la chiarezza di un'idea creativa: il piccolo baule sotto il letto di Marta.

XXXII

Domenica 29 aprile 2001, casa di Falcon, calle Bailen, Siviglia

Ahmed non gli aveva detto che cosa contenesse quel baule. Falcon controllo l'ora: le dieci di sera. Scese nello studio, prese il taccuino, sfoglio le pagine finche trovo il nome del medico di Marta, la dottoressa Azucena Cuevas. Telefono all'ospedale a Ciempozuelos: la dottoressa era tornata dalle ferie e sarebbe stata reperibile l'indomani mattina. L'ispettore capo parlo con l'infermiera di notte del reparto di Marta, spiego il suo problema e cio che desiderava vedere. L'infermiera gli disse che l'unico momento in cui Marta si lasciava togliere la catenina con la chiave era durante la doccia quotidiana e che la mattina seguente avrebbe riferito alla dottoressa Cuevas la sua richiesta.

Avendo preso una pillola di troppo, Falcon dormi piu a lungo del solito e fece appena in tempo a salire sul treno AVE di mezzogiorno per Madrid, sempre affollato di lunedi. Era come al solito in giacca e cravatta, l'impermeabile sul braccio e il revolver carico nella fondina. Dal treno telefono alla dottoressa Cuevas, che accetto di rimandare la doccia di Marta al pomeriggio.

Dalla estacion de Atocha prese un taxi direttamente per Ciempozuelos e alle tre e mezzo del pomeriggio era seduto nello studio del medico in attesa che l'inserviente addetta alle pulizie portasse il bauletto di Marta.

«Che cosa sa dell'infermiere, di Ahmed?» domando Falcon.

«Della sua vita privata, niente. Per quanto riguarda il lavoro e bravissimo, di una pazienza infinita, nessuno lo ha mai sentito alzare la voce con questi poveri infelici.»

Il bauletto arrivo e qualche minuto dopo un'infermiera porto la chiave e il medaglione attaccati alla catenina di Marta. Falcon apri il baule, che era in realta un vero e proprio altarino dedicato ad Arturo. L'interno del coperchio era coperto di fotografie che Marta era riuscita in qualche modo a conservare. Un biglietto di auguri di compleanno fatto a mano mostrava una donna stilizzata con gli occhi che sporgevano dalla testa, i capelli rigidi come stecchi e «Marta» scarabocchiato sotto. Dentro il bauletto macchinine di metallo, un calzino grigio da bambino, un vecchio quaderno, matite mordicchiate. Sul fondo due rulli di pellicola da 8 mm, uguali a quelli trovati nel magazzino delle Mudanzas Triana. Falcon mise un pezzo di pellicola davanti alla luce e vide Arturo in braccio alla sorella. Rimise tutto a posto, abbasso il coperchio e chiuse il baule. Apri il medaglione: conteneva un unico ricciolo di capelli castani. Restitui la catena all'infermiera mentre l'inserviente portava via il bauletto.

«Dov'e Ahmed in questo momento?»

«Nel parco, sta facendo passeggiare due pazienti.»

«Non voglio che sappia di questa mia visita.»

«Potrebbe essere difficile», obietto la dottoressa Cuevas, «la gente parla, non c'e altro da fare qui.»

«C'e mai stato uno studente d'arte che abbia lavorato nel reparto di Marta?»

«Qualche tempo fa abbiamo sperimentato per tre mesi una terapia artistica», rispose la dottoressa Cuevas.

«Quale specie di terapia?» domando Falcon. «Chi erano i terapeuti?»

«Erano tutti volontari, si trattava di una cosa che facevamo il sabato e la domenica. Volevamo vedere se i pazienti avrebbero reagito positivamente a un'attivita creativa che potesse far loro rivivere l'infanzia.»

«Da dove venivano gli artisti?»

«Uno dei membri del consiglio di amministrazione dell'ospedale e un regista. Aveva reclutato quelli della sua troupe che avessero avuto una formazione artistica. Tutti giovani.»

«I loro nomi sono stati registrati?»

«Si, per forza, abbiamo provveduto noi alle loro spese di viaggio.»

«Come venivano pagati?»

«Per quel che so io, con un assegno mensile. Se vuole avere i particolari, deve rivolgersi in amministrazione.»

«Non ricorda nessun nome dei giovani di sesso maschile che hanno collaborato nell'esperimento?»

«Solo i nomi di battesimo: Pedro, Antonio e Julio.»

«Non c'era un Sergio?»

«No.»

«Andro a parlare con il personale amministrativo.»

La dottoressa Cuevas aveva ragione, un Pedro e un Antonio avevano fatto parte dei volontari, entrambi con cognomi assolutamente spagnoli. Il terzo nominativo fornito dalla segretaria del servizio amministrativo colpi tuttavia l'attenzione di Falcon, perche si trattava di un certo Julio Menendez Chefchaouni.

Alle nove di sera era di nuovo in calle Bailen e, aprendo la porta, inciampo in un altro pacchetto, anche questo senza indirizzo e con il numero 3 scritto sull'involucro.

Era esausto. Porto il pacchetto nel suo studio, dove la spia della segreteria stava lampeggiando: un messaggio del Comisario Lobo che lasciava il suo numero di casa, ma Javier non ebbe la forza di richiamarlo e s'infilo direttamente sotto la doccia.

In cucina lo aspettavano pane e chorizo che annaffio con vino rosso, poi si porto qualche cubetto di ghiaccio nello studio dove, nel mobile bar, trovo una bottiglia di whisky. Verso due dita di liquore. Si stiro i muscoli prima di sedersi, soddisfatto al pensiero che, per la prima volta, aveva preceduto le mosse di Sergio: non lo stava piu inseguendo, ma gli girava intorno. Apri il pacchetto. Conteneva altre fotocopie dei diari di suo padre.

1° luglio 1959, Tangeri

Ho un nuovo giocattolo, cioe un binocolo. Seduto sulla veranda guardo la gente sulla spiaggia e disegno i corpi dei bagnanti, ignare nature morte. Piu che dalle flessuose figure dei giovani, scopro di essere attratto dalla geografia cadente dei corpi dei vecchi e dei malmessi. Li disegno come paesaggi: scarpate, contrafforti tra loro connessi, crinali, pianure e l'inevitabile frana fangosa. Mentre addestro i miei nuovi potenti occhi mettendo a fuoco la spiaggia, il binocolo incontra P. e i bambini. La mia famiglia che gioca. Paco e Manuela stanno costruendo un castello alla Gaudi, Javier tormenta P. che finisce per accompagnarlo fino al mare. P. cammina e Javier salta nell'acqua bassa, la mano in quella della mamma. Sono affascinato da cio che vedo, dalla quotidianita ancor piu meravigliosa perche inconsapevole, finche P. si ferma e Javier si mette a correre e viene afferrato da uno sconosciuto che lo lancia in aria e lo depone di nuovo sulla sabbia. Esigente, Javier batte i piedi e lo sconosciuto lo accontenta, lo afferra di nuovo e lo solleva in alto. E un marocchino sui trentacinque anni. P. gli si avvicina, vedo che lo conosce. Parlano per qualche minuto mentre Javier fa monticelli di sabbia ai piedi dell'uomo. Poi P. si allontana, prendendo per mano Javier che si gira per salutare lo sconosciuto. Rimetto a fuoco il marocchino, ancora fermo in piedi a testa alta nel sole. Segue con lo sguardo P. e il bambino finche non si confondono con la folla dei bagnanti. Noto ammirazione sul suo viso.

1° novembre 1959, Tangeri

Sono arrivate le prime piogge e la spiaggia e deserta. C'e poca gente in citta, il porto e vuoto. Il mese scorso il decreto di Mohammed V che concedeva a Tangeri uno statuto speciale e stato abrogato. Il Cafe de Paris e frequentato solo da pochi clienti lamentosi che danno la colpa della crisi al recente spostamento degli affari a Casablanca, da sempre invidiosa dei vantaggi di cui ha goduto Tangeri. Vado nella medina e siedo a un tavolino del Cafe Central, sotto le terrazze gocciolanti, dove ora servono soltanto caffe scadente e te alla menta. Mi rendo conto di essere osservato, il che e insolito, in genere sono io a osservare gli altri. Lascio vagare lo sguardo sulle teste inturbantate, sui burnus tirati su fino al mento, sulle babouches che battono contro i calcagni induriti, finche mi imbatto nella faccia dell'uomo che aveva parlato con P. sulla spiaggia. Ha una matita in mano. I nostri sguardi si incontrano e intuisco che mi ha riconosciuto. Poco dopo se ne va. Chiedo al cameriere se lo conosce, ma sembra che quell'uomo non sia mai stato nel locale prima d'ora.

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