era una bizzarra novita. Non appena Perez fu uscito, venne preso dall'ansia, impaurito all'idea che qualcosa potesse accadere dentro la sua testa. Non si fidava piu delle sue reazioni. Si sentiva come un vecchio che avesse notato i primi segni di demenza senile: momenti di confusione, assenze della memoria, incapacita di riconoscere cose semplici; e avverti imminente la caduta libera verso il totale allontanamento dalla vita. Gli altri lo aiutavano a ritrovare un contesto, gli ricordavano la sua antica fiducia in se stesso. Non riusci a concentrarsi sul rapporto della Policia Cientifica. Avverti un'ondata di panico serrargli il petto e fu costretto a muoversi, camminando per la stanza a lungo per ricacciarla indietro.
Il pensiero della solitudine che lo attendeva dopo il lavoro, del problema di sopravvivere a un'intera notte prima di poter parlare con il suo medico, lo terrorizzo al punto da indurlo a telefonare al British Institute, per iscriversi di nuovo al corso di conversazione che l'anno precedente non era mai riuscito a frequentare. Si ritrovo cosi in una classe ad ascoltare affascinato l'insegnante scozzese parlare agli studenti di un recente trattamento laser che aveva subito agli occhi. Laser nell'occhio? Non riusciva nemmeno a pensare a una cosa simile.
Dopo la lezione ando a bere e a mangiare
Rientro all'una, stanchissimo. Uno sfinimento che non aveva mai sperimentato prima, un affaticamento strutturale, profondo, come di un antico ponte che avesse resistito a intere epoche di traffico e lottato contro incessanti valanghe d'acqua. Gli tremavano le gambe, le articolazioni scricchiolavano eppure, dentro la testa, la cosa che era nascosta nel cervello stava all'erta come un animale notturno. Si isso con uno sforzo tremendo fino alla camera da letto, come un garzone di macellaio con una carcassa di manzo sulle spalle.
Sulla pelle le lenzuola erano fredde come una lozione mentre si coricava nudo, per la prima volta da quando era ragazzo. Le palpebre si abbassarono, pesanti come macigni.
E il sonno non venne.
Affiorarono immagini agghiaccianti, facce orribili che non era possibile concepire e che tuttavia erano li, nella sua mente. Ogni volta che il cervello sbandava nel buio come una barca, si ripresentavano e lo facevano sobbalzare. Si contorse per un po' sotto le lenzuola, poi accese la luce e si premette i pugni contro gli occhi. Non gli sarebbe importato strapparseli, se cio avesse voluto dire accecare anche gli occhi della mente. Gli occhi della mente. Odiava quell'espressione. L'aveva odiata anche suo padre. Per questo la odiava
Gettate via le coperte, usci barcollando dalla stanza, accecato dalle lacrime. Nella galleria tento di riprendersi, di ritrovare la calma camminando avanti e indietro. Afferro la ringhiera, guardo in basso nel patio, vide la pupilla nera che lo fissava dal centro della fontana e penso che avrebbe potuto scavalcare la balaustra e tuffarsi sulle lastre di marmo, far schizzare via il cervello in un ultimo ruggito cacofonico e poi il silenzio. Finalmente la pace.
Un'idea troppo attraente. Si costrinse a forza a staccarsi dalla ringhiera e a procedere incespicando giu per le scale fino a raggiungere lo studio. Apri l'armadietto dei liquori, pieno di bottiglie di whisky, la bevanda preferita di suo padre. Stappo la prima che gli venne a tiro e bevve a lungo, a collo. Sapore di carbone bagnato, ma il calore di una brace sotto la cenere.
Lo specchio lungo lo aggiorno sul suo aspetto orrido: nudo, tremante, i genitali raggrinziti, la faccia rigata di lacrime, entrambe le mani intorno alla bottiglia, come se questa potesse farlo arrivare a riva, perche cosi si sentiva, sperduto su un mare dalle onde alte come montagne, senza speranza di un approdo. Bevve ancora una sorsata di quell'asfalto liquido e si lascio cadere in ginocchio, piangendo, se cosi poteva essere definito quell'enorme sussulto che lo torceva, quasi il suo corpo cercasse di vomitare qualcosa di piu grosso di lui. Bevve di nuovo il catrame liquido, lo scolo, poi cadde all'indietro e la bottiglia rotolo sul pavimento, l'etichetta sgargiante si allontano dalla sua vista. Un rutto di bitume, poi un buio rilucente dal quale si lascio spalmare come se egli stesso fosse nero asfalto appena gettato su un tratto di strada.
Al suo risveglio fuori albeggiava. Provava la sensazione di essere stato schiacciato da un rullo compressore, tutte le articolazioni dolenti, le ossa rotte, i lineamenti distorti. Giaceva in una pozza di urina, tremante per il freddo, le gambe che pungevano. Puli il pavimento e sali al piano superiore per accasciarsi sotto la doccia, accucciato sulla pedana. Era ancora ubriaco e i denti in bocca parevano ciottoli.
Gocciolante, si trascino fino al letto, si tiro le coperte sopra la testa. Dormi e fece di nuovo il sogno del pesce. Era quasi bello guizzare nell'acqua verdeazzurra, ma la liberta dell'istinto perfetto era impedita dalla torsione improvvisa e violenta, dallo strattone nelle viscere che lo stava rivoltando come un guanto.
La luce selvaggia gli penetro nella testa, punte d'acciaio lampeggiarono, scintillarono nel cranio buio. Si sentiva gli organi delicati come porcellana. Gli si mozzo il fiato per il dolore quasi estatico dell'ubriachezza.
Un'ora e mezzo piu tardi, lavato, sbarbato, vestito e pettinato accuratamente, si sedeva di fronte ai medico, esitante come un uomo afflitto da emorroidi elefantesche.
«Javier…», esclamo il dottore, rimanendo all'istante senza parole.
«Lo so, dottor Fernando, lo so», disse Falcon.
Fernando Valera era figlio del medico di suo padre e aveva dieci anni piu di lui, ma sembrava che le ultime settimane avessero livellato le loro eta. I due uomini si conoscevano bene, tutti e due
«Venerdi ti ho visto in mezzo a una folla di gente alla estacion de Santa Justa e avevi un aspetto del tutto normale», disse il dottor Valera. «Che cosa ti e successo?»
La dolcezza del tono di voce emoziono Falcon, che dovette ricacciare indietro le stupide lacrime affiorate al pensiero di essere finalmente arrivato in un rifugio dove qualcuno si sarebbe preso cura di lui con affetto. Descrisse i sintomi fisici, il senso di ansia, il panico, il battito furioso del cuore, l'insonnia. Il medico gli rivolse qualche domanda sul suo lavoro, fu menzionato il caso Raul Jimenez, che il dottore aveva appreso dai giornali, e Falcon ammise che era stata la vista del volto di quell'uomo a produrre in lui quella specie di reazione chimica.
«Non posso riferire i particolari, ma aveva a che fare con i suoi occhi.»
«Ah, si, tu sei molto sensibile per tutto cio che riguarda gli occhi… come lo era tuo padre.»
«Davvero? Non lo ricordo.»
«Suppongo che sia del tutto naturale per un pittore preoccuparsi della vista, ma negli ultimi dieci anni della sua vita tuo padre aveva sviluppato una vera… si, la parola e questa, una vera ossessione per la cecita.»
«L'idea della cecita?»
«No, no, temeva di diventare cieco, era sicuro che sarebbe diventato cieco.»
«Non lo sapevo.»
«Mio padre aveva cercato di liberarlo da quell'ossessione scherzandoci su, dicendogli che cosi facendo avrebbe rischiato la cecita isterica. Francisco era terrorizzato all'idea», soggiunse il dottore. «Pero, Javier… noi siamo qui per parlare di te. A mio giudizio questi sono i classici sintomi di uno stress acuto.»
«Non sono mai stressato. Faccio questo lavoro da vent'anni e non ho mai sofferto di stress.»
«Hai quarantacinque anni.»
«Questo me lo ricordo.»
«E a quest'eta che l'organismo comincia ad avvertire i primi segni di cedimento. Il corpo e la mente. Le pressioni sulla mente creano i sintomi nel corpo. Ne vedo continuamente di questi casi.»
«Perfino a Siviglia?»
«Forse ancora di piu a