Avrei dovuto scrivere la notte scorsa, quando la perfezione della serata era ancora fresca nella mia mente. Sono rientrato cosi ubriaco e in un tale stato di eccitazione che ho dovuto fumare parecchie pipe di hashish per riuscire ad addormentarmi. Un sonno irrequieto dal quale mi sono svegliato intontito, con ricordi a sprazzi anziche ancorati ai fatti.

Arrivo al cancello del palazzo di Sidi Hosni, mostro l'invito e un Tanjawi in livrea, con i pantaloni bianchi, mi fa entrare. Immediatamente mi trovo in un mondo di sogno dove vengo passato da un servitore all'altro attraverso una serie di sale e di cortili per i quali non sono state risparmiate spese dal precedente proprietario di cui mi sfugge il nome. Blake? O era Maxwell? O forse tutti e due.

Il palazzo e formato da parecchie case diverse tutte collegate a una struttura centrale verso la quale sono condotto. L'effetto e disorientante, magico e misterioso. E un microcosmo dell'animo marocchino. Il servitore mi lascia in una stanza dove alcuni ospiti si comportano come se fossero a un cocktail party e altri come se si trovassero in un museo. Hanno tutti ragione. Indosso un completo, ma sono molto scuro di pelle per via della vita all'aria aperta e questo mi distingue tra gli invitati, in predominanza dalla carnagione chiara. Una signora sta quasi per chiedermi un drink, ma si accorge all'ultimo momento che non porto i guanti, ne il fez. Mi domanda allora di che legno sia fatto il pavimento. C.B. viene in mio soccorso e mi fa fare il giro della stanza presentandomi agli altri. A ogni presentazione si leva un brusio che sale fino ai lampadari (che saranno sostituiti da altri in vetro di Murano) come uno stormo di colombe. Mi rendo conto che la cena e stata organizzata per me, per presentarmi in societa, per adularmi. Mi mettono in mano un bicchiere. Il tasso alcolico e feroce. Il colossale C.B. mi tiene una mano sulla spalla come se fossi la sua statua formato minore e, se mi si versasse dentro un altro po' di bronzo, sento che potrei dominare una piazza grande come la sua. ha padrona di casa non compare ancora. Sono male attrezzato per l'occasione, non per mancanza di qualcosa da dire, ma per mancanza di maniere adatte al bel mondo. Si parla di New York, di Londra, di Parigi, si parla di cavalli, di moda, di yacht, di proprieta, di soldi. Mi vengono dette cose sulla nostra ospite, che ha donato la sua casa di Londra allo stato americano, che l'arazzo alla parete e un Qom, che i mobili intarsiati sono di Fez, la testa di bronzo del Benin. Sanno tutto del mondo di B.H., ma nessuno di loro e mai penetrato sotto il carapace della sua grande ricchezza. Ma io si. E per questo sono qui. C.B. III ha detto a tutti, anche se non proprio con queste parole, che io ho sfondato il guscio e l'ho fatto con il piu semplice e nel contempo il piu seducente disegno a carboncino, un disegno che con la sua forza rivela piu dell'intero palazzo di Sidi Hosni ristrutturato all'infinito, realizzato con tanto impegno, cosi massicciamente sovraccarico. Mentre giro per la sala raccolgo inviti per altre occasioni mondane e una quantita di approcci sessuali da parte delle donne. La stessa depravazione che cola spessa e tenebrosa nei vicoli di Soco Chico e presente anche qui dietro le mura dorate della dimora principesca del vecchio santo musulmano, Sidi Hosni.

B.H. viene subito da me, la mano tesa. Gliela bacio. Siamo al centro dell'attenzione. Dice: «Ho qualcosa da farle vedere». Usciamo dalla stanza. Lei si dirige a una porta davanti alla quale sta di guardia un nubiano alto, nerissimo, in pantaloni bianchi ma nudo fino alla cintola. B.H. gira la chiave, il battente e aperto dal nubiano e noi entriamo nella sua galleria privata. Alle pareti un Fragonard, un Braque, perfino un El Greco. Un quadro di quel tremendo imbroglione di Salvador Dali, un Manet, un Kandinsky. Sono stordito. Vedo anche disegni, uno di Picasso e altri che, mi viene detto, sono di Hassan el Glaoui, il figlio del pascia di Marrakech. Poi arriviamo al momento clou dell'intera serata. B.H. mi porta verso uno spazio vuoto sulla parete. «Qui», dice, «voglio mettere qualcosa che riassuma i miei sentimenti verso il Marocco. Deve essere sfuggente, concreto eppure intoccabile, deve rivelare se stesso eppure essere incomprensibile, accessibile eppure proibito. Deve allettare come la verita che, quando si crede di poterla toccare, fugge via.» Non erano tutte parole sue, qualcuna era di C.B. e mi sembra che altre siano state inserite da me. Finisce con le parole: «Voglio che il suo disegno faccia parte di questa collezione». E un attacco programmato. So che devo cedere, resistere ancora rischierebbe di irritare i miei assalitori. Faccio segno di si. Acconsento. Lei mi afferra il braccio al bicipite. Fissiamo incantati lo spazio sulla parete. «Parlera con Charles per i particolari. Voglio che lei sappia che mi ha reso felice.»

Il resto della serata e trascorso in un azzurro cristallino quale potrebbe trasparire attraverso un torrente di vetro veneziano. Un effetto in gran parte dovuto alla furia dell'alcol nelle bevande. Quando me ne sono andato, B.H. si era gia ritirata da tempo. C.B. mi ha preso da parte e mi ha detto che avevo reso molto generosa la signora Hutton. «Sa ricompensare il genio. Ho ricevuto istruzioni di non mercanteggiare, ma semplicemente di darle questo.» Era un assegno di mille dollari. Verra domani mattina a prendere il disegno. Ora valgo un decimo di un orologio di Van Cleef Arpels.

23 dicembre 1946, Tangeri

Ancora nessuna notizia di Pilar. Sono disperato. Cerco di lavorare, cerco di tradurre in pittura cio che ho visto quel lontano pomeriggio, ma non riesco. Fra semplice ed e divenuto complicato. Ho bisogno che P. ritorni e mi ricordi quello che ho visto quel giorno. Ho rinunciato alla mondanita, mi annoiano le sue buone maniere. Sono stato molto ricercato dopo il mio trionfo con B.H., ma ora la bestia affamata si e spostata altrove. Sono sollevato ma ancora travolto.

7 marzo 1947, Tangeri

Ho smesso di lavorare. Siedo davanti ai sette disegni rimasti di P. senza una sola idea in testa. Ho perfino provato a lavorare sotto l'effetto del majoun. Dopo una seduta di lavoro torno alla realta per scoprire che ho dipinto sette tele nere. Le appendo in una stanza imbiancata a calce e sto li in piedi tra di esse in uno stato di totale desolazione.

25 giugno 1947, Tangeri

Sono disgustato dalla mia stessa rapacita. L'incapacita di creare ha suscitato in me il bisogno di un cambiamento senza fine. Faccio il giro dei bordelli e do la caccia a nuovi ragazzi, stancandomi di loro immediatamente. Fumo hashish potente e trascorro giornate intere a sventolare come una bandiera nello snervante cherqi che bussa incessantemente alle porte. Ho le braccia deboli, il pene flaccido, passo la notte nel bar Mar La Chica circondato da ubriachi, reprobi, idioti e puttane. Ho smesso col majoun, sotto la sua influenza riesco solo a rivisitare gli antichi orrori: pareti insozzate di sangue, rampe fatte di cadaveri, fango e sangue, carne e ossa imbiancate si agitano dentro la mia testa.

1o luglio 1947, Tangeri

Sono finito, ubriaco, davanti alla porta di casa di R. che mi ha rispedito a lavorare sulle barche.

1o gennaio 1948, Tangeri

Un nuovo anno. «Deve» essere migliore del vecchio. Non riesco ancora ad affrontare la tela vuota. Sono le prime parole che scrivo da luglio. Fisicamente sto meglio, non sono piu grasso, ma non ho potuto liberarmi da quel senso di desolazione. Ho cercato di ritrovare P., sono perfino andato a Granada solo per scoprire che la casa era stata venduta e che la famiglia si era trasferita a Madrid, ma nessuno sapeva dove.

Non ho niente da segnalare. Le chabolas spazzate dal vento ai bordi della citta non contengono tutta l'infelicita racchiusa nel mio corpo privilegiato. Ho sparso i disegni di P. davanti a me nella speranza di riacquistare lo slancio, ma ho ottenuto l'effetto contrario.

Mi e stato concesso di innalzarmi, mi e stato donato l'immenso privilegio di mettere l'occhio nella fessura e di scorgere la vera natura delle cose e di portarla giu con me, per mostrarla ai comuni mortali. Ma P. ne faceva parte, era la mia musa e io l'ho perduta. Non dipingero e non disegnero piu, sono destinato al truogolo su cui tutti chinano il capo ogni giorno: mangiare, lavorare, dormire.

25 marzo 1948, Tangeri

Sono cosi disperato da aggrapparmi anche alle ombre? Vado da tutti i medici della citta per vedere se per caso P. stia lavorando per qualcuno di loro. Niente. R. vuole rimandarmi in mare, pur di non vedermi precipitare come un uccello abbattuto da un colpo di sole.

3 aprile 1948, Tangeri

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