un effetto di luminosita, come di un chiaro di luna offuscato da nuvole. Le arrotolo di nuovo.
Era ormai buio e Falcon si lascio cadere sul pavimento, rendendosi conto di aver dimenticato di mangiare e di andare al funerale di Salgado. Sedette con la schiena appoggiata alla parete, le mani ciondolanti tra le ginocchia. Il suo comportamento cominciava a essere ossessivo; la massa di oggetti accumulati nello studio di suo padre gli stava ingombrando il cervello, un gomitolo impossibile da dipanare, come una lenza aggrovigliata. Telefono ad Alicia, ma trovo la segreteria. Non lascio nessun messaggio.
Tiro fuori un libro da uno scaffale e si accorse che rimaneva molto spazio tra i volumi e la parete. La sua ossessione riprese il sopravvento e cerco in tutti gli scaffali finche, dietro i libri d'arte, non ebbe trovato una scatola di legno che ricordava di aver visto sulla toletta di sua madre. Rammento perfino di aver frugato con le piccole dita tra i gioielli in quello scrigno del tesoro da libro di avventure.
La scatola aveva un disegno geometrico moresco sul coperchio e sui lati. Non riusci ad aprirla e non c'era traccia di serratura, ma, dopo aver provato e riprovato per piu di un'ora, mosse un piccolo pezzetto di legno a forma di piramide e la molla scatto.
Davanti ai gioielli che le erano appartenuti, la figura di sua madre balzo davanti a lui con tale vivezza che Javier accosto la faccia allo scrigno, quasi sperando che, dopo tutti quegli anni, vi fosse ancora conservata una traccia del suo odore. Non trovo niente. Il metallo era freddo sotto le dita. Sparse i gioielli sul tavolo, gli orecchini, grappoli d'argento annerito, una spilla a forma di scimitarra con un'ametista, un grosso cubo di agata montato su una fascetta d'argento. Proprio come aveva detto Manuela, l'oro mancava. La fede era stata probabilmente sepolta con lei.
Fisso i gioielli e attese che il ricordo sacro riaffiorasse, come era stato sul punto di fare davanti alla galleria di Salgado, ma affioro soltanto la conchiglia piena di anelli in una visione sobbalzante di se stesso nell'acqua del bagno, mentre la mano insaponata della mamma gli accarezzava il minuscolo torace.
ESTRATTI DAI DIARI DI FRANCISCO FALCON
2 luglio 1948, Tangeri
Spremo i colori a olio sulla tavolozza. Li pugnalo col pennello. Li induco a mescolarsi. P. e distesa sul divano. E nuda, le braccia appoggiate al cuscino, le caviglie incrociate, il corpo pieno per la gravidanza. Le ho messo una collana, stringendogliela intorno al collo (questo non le piace), e lasciandola ricadere sulla schiena morbida. Premo il colore sulla tela. Scivola via dolcemente, muove il pennello, sono vicino, sono molto vicino. C'e forma.
17 novembre 1948, Tangeri
P. e enorme, il ventre tesissimo, i seni, con i loro grossi capezzoli scuri, sono divaricati e poggiano sui fianchi come due fagotti. Ha un odore diverso. Di latte. Mi da la nausea. Non ho mai piu assaggiato latte da quando ero piccolo, basta il ricordo di quel liquido grasso sulla lingua e sul palato e dei suoi vapori bovini che riempiono le cavita della mia testa a darmi un senso di soffocamento. P. beve un bicchiere di latte caldo prima di andare a letto, la calma e l'aiuta a prendere sonno. Io non riesco nemmeno a dormire se c'e il bicchiere vuoto nella stanza. Non dipingo nulla dal mese di agosto.
12 gennaio 1949, Tangeri
Ho un figlio di tre chili e ottocentocinquanta grammi. Guardo la faccia rossa e schiacciata, il ciuffo di capelli neri e sono sicuro che ci hanno dato per sbaglio un bambino cinese. I vagiti del piccolo mi sfondano i timpani e trasalisco al pensiero di questa presenza massiccia nella casa. P. vuole chiamarlo Francisco, io penso che possa creare confusione. Lei dice che lo chiameremo Paco da subito.
17 marzo 1949, Tangeri
… ora mi occupo dei progetti edili di R., lavoro con l'architetto, un galiziano malinconico di Santiago di cui cerco di rallegrare le idee cupe. Verso luce nelle sue strutture solide e lui si ritrae come un vampiro. L'americano per il quale stiamo costruendo l'albergo ha l'aria di volermi baciare.
20 giugno 1949, Tangeri
R. ha sposato oggi la sua moglie bambina. Gumersinda (il nome di una nonna) ha il viso e la natura dolce di un cherubino… R. e una persona diversa quando e con lei, tranquillo, rispettoso, premuroso e, cosi penso io, totalmente innamorato dell'idea di lei. Io non riesco a tirarle fuori nemmeno uno squittio, mi spremo le meningi per trovare un argomento di conversazione — bambole, balletto, nastri — e mi sento «giovesco» in sua presenza.
1o gennaio 1950, Tangeri
L'albergo e stato inaugurato prima di Natale e abbiamo festeggiato il nuovo anno con una mostra di miei paesaggi astratti alla quale e intervenuto «le tout Tangeri». Il primo giorno avevo gia venduto tutto. C.B. ha comprato due lavori e mi ha preso da parte per dirmi: «E grande pittura, Francisco, davvero grande. Ma, sa, stiamo ancora aspettando». Insisto perche mi spieghi e lui dice: «La vera opera. Ritorni al corpo, Francisco, alla forma femminile, solo lei puo farlo».
Quel pomeriggio tiro fuori uno dei disegni di P. e le riferisco quello che ha detto C.B. Lei accetta di posare per me. Si spoglia e io mi sento come un cliente con una prostituta. Torno al disegno, la cui semplicita e ancora magnifica. P. dice: «Pronta». Proprio come lo direbbe una prostituta. Mi giro. Le spalle e le braccia sono appesantite, i seni guardano uno di qua e uno di la, la pancia pende sopra il triangolo del pube, le cosce sono grosse, le ginocchia infossate, ha un callo sul piede sinistro. Il verde dei suoi occhi viene verso di me liquido, come un'onda di olio di oliva. Guarda il vecchio disegno alle mie spalle. «Non sono piu quella», dice. La faccio rivestire, lei se ne va e io osservo il disegno come un uomo che abbia scoperto di non poter avere un rapporto sessuale normale con una prostituta. Lo metto via insieme con gli altri.
20 marzo 1950, Tangeri
R. mi fa andare a casa sua per dirmi che G. ha dato alla luce un maschio. Il bambino e grosso e il parto e stato lungo e laborioso. R. e molto scosso.
17 giugno 1950, Tangeri
P. e incinta. Sposto lo studio fuori di casa, per lasciare piu spazio. Ho trovato un posto sulla baia con la luce da nord e che guarda verso la Spagna. Vi ho messo un letto singolo e una zanzariera. Ho appeso una tela alla parete, ma non so pensare a nessun colore.
20 luglio 1950, Tangeri
C. arriva furioso con un ragazzo marocchino a rimorchio. Non lo vedo (non e un caso) dalla mia vergognosa notte di nozze. Vuole sapere perche non gli abbia parlato del mio nuovo studio. Il ragazzo prepara il te. Fumiamo. C. e intontito e si addormenta. Il ragazzo e io ci scambiamo occhiate e finiamo sotto la zanzariera. Piu tardi, quando mi sveglio, trovo C. ancora piu furioso, mentre il ragazzo si palpa la guancia dove C. lo ha colpito. Sembra che C. sia invaghito sul serio di quel giovanetto e si sia inferocito nel vedere che si comportava come una puttana da quattro soldi. Non si lascia ammansire e se ne va con il ragazzo che si preme il naso con tutte e due le mani e ha spruzzi di sangue sulla veste bianca. La porta si chiude. Io guardo la tela e decido che il colore e il rosso.
15 febbraio 1951, Tangeri
Ho una bambina rosea e placida che e un sollievo gradito dopo Paco, i cui primi vagiti erano stati solo l'inizio di una lunga campagna di richieste incessanti. Manuela (nome della mamma di P.) dorme sempre e si sveglia soltanto per fare bollicine con le labbra e succhiare un pochino di latte.