«Se fossi in te non ci penserei due volte.»

«Ho ancora qualche perplessita. Che fine fara la mia privacy?»

«Io non la vedrei sotto quel punto di vista. Un conduttore televisivo e una persona che lavora come tutte le altre. Soltanto piu celebre. Sei sempre stata brava di fronte al pubblico: anche agli esami, sembrava che recitassi.»

«A proposito, Pat, non mi hai mai detto di che cosa ti occupi.»

«Affari, intermediazioni, consulenze.»

«A giudicare dai locali che frequenti, pare che te la stia cavando piuttosto bene.»

«Non mi lamento. Tu, piuttosto: a parte il successo come sensitiva, come va la vita matrimoniale?»

«Non mi lamento nemmeno io.» Ma Maggie non riusci a trattenersi dal gettare un’occhiata a Timothy, seduto in poltrona, ed ebbe la netta sensazione che la stesse ascoltando, per cui decise di chiudere li la conversazione.

I due vecchi amici si salutarono, promettendosi che si sarebbero tenuti in contatto, anche se sapevano entrambi che era una promessa difficile da mantenere.

Non appena Maggie poso la cornetta, Timothy piego il giornale e chiese: «Chi era?»

«Patrick Silver, quel mio vecchio compagno di universita che abbiamo incontrato al ristorante. Ricordi?»

«Ah, si, Patrick Silver. Accidenti, gli hai fatto un sacco di feste. Mi sa che tra voi, ai tempi dell’universita, c’e stato qualcosa.»

«Stai diventando geloso, Timothy? No, non c’e mai stato niente.» Se avesse potuto essere sincera sino in fondo, Maggie avrebbe aggiunto «purtroppo», ma si limito a sfiorare con un bacio le labbra del marito.

Ekaterinburg. 4 gennaio 1987

Iosif prese il primo autobus per Koptijakj, uscendo di casa ancora a notte fonda. Portava con se, in una borsa, una pala pieghevole e un grosso rotolo di filo.

Nadja rimase in dubbio se alzarsi o no, finche non decise che le faccende di casa potevano aspettare e ricadde in un sonno leggero. Dopo un po’, tuttavia, fu svegliata dal campanello della porta. Si mise addosso una vestaglia e, ancora assonnata, ando ad aprire.

Si trovo davanti un uomo massiccio, con un sorriso inquietante. Il lato destro del viso era sfigurato. Nadja rimase un attimo incerta, prima che la diffidenza le suggerisse di riaccostare la porta, ma il piede dell’uomo s’infilo tra stipite e battente. Kaplan non dovette fare molta fatica per aprire di nuovo l’uscio ed entrare.

Aveva una pistola nella destra. Le ingiunse di stare zitta.

«Vedo che Drostin si tratta bene», commento sardonicamente, mettendo in mostra la difficolta che aveva nel parlare.

«Chi e lei?» chiese Nadja, impaurita dalla pistola.

«Un amico di Iosif. Ho un debito con lui e sono qui per saldarlo.»

«Se ne vada, Iosif tornera a minuti e se la trova qui…», cerco di mentire Nadja.

«Il tuo bello e molto lontano, cara puttanella. Ha preso un autobus ed e andato nella zona dei Quattro Fratelli. L’ho seguito, come avevo gia fatto domenica scorsa. E adesso tu, da brava, mi dici che cosa va a cercare in quella miniera abbandonata.»

«Non saprei proprio. Penso che vada a fare un po’ di moto, per respirare aria buona. Adesso, pero, la prego di andarsene.»

La mano aperta di Kaplan la colpi in faccia come una mazza. Nadja barcollo e si precipito verso la cucina. Ma sapeva di non avere scampo.

Le mani dell’uomo l’afferrarono per i capelli, provocandole un intenso dolore.

Kaplan la butto a terra e, sempre puntandole addosso l’arma, continuo il suo interrogatorio.

«Che cosa va a fare il tuo uomo ai Quattro Fratelli?»

«Le ho detto che non lo so», ripete Nadja, sentendo in bocca un brutto sapore di sangue.

Kaplan le sferro un calcio sul fianco destro, che la lascio senza respiro.

«Ti ho chiesto una cosa e voglio una risposta.»

«Non lo so, glielo giuro.»

«Allora cambiero tecnica.»

Nadja era talmente atterrita che non sarebbe nemmeno riuscita a urlare. Senti le sue mani afferrarle la camicia da notte e strapparla via, si trovo nuda sul pavimento. Le mani di Kaplan immobilizzarono le sue come due morse. Se lo senti sopra. Le gambe dell’uomo premettero contro le sue, divaricandole. Avverti un dolore atroce. Lo sconosciuto la stava violentando.

Iosif raggiunse il primo pino, individuo subito quello abbattuto e, guardandosi attorno, comincio a cercare tracce degli altri due. Non era facile. Servendosi soltanto di un ramo secco doveva aprirsi un varco tra la vegetazione in cerca di un grosso ceppo reciso o di una buca profonda, dove una volta potevano essere state alloggiate le radici dell’albero.

Ma aveva lo spirito leggero, sentiva che qualcosa nella sua vita stava cambiando, che la fortuna si era finalmente messa dalla sua parte, e tenne duro. Dopo circa un’ora inciampo quasi in un grosso ceppo, tagliato da chissa quanti anni ma ancora solidamente ancorato al terreno. Si trattenne a stento dall’esplodere in un urlo di trionfo. Adesso disponeva di tre punti cardinali. Trovare il quarto, supponendo che i quattro alberi fossero stati piantati a formare un rombo o un quadrato, sarebbe stato piu facile.

Dopo quasi quattro ore senti aprirsi sotto i piedi una grossa buca. Il tempo e le piogge avevano rimarginato la ferita, addolcendone i contorni, ma era evidente che in quel punto un tempo doveva esserci stato un grosso albero.

La supplica usci dalle labbra di Nadja come un rantolo soffocato. «Basta. Per pieta.»

«Basta, certo. Basta che tu mi dica che cosa va a fare Iosif ai Quattro Fratelli», incalzo Kaplan con il respiro affannoso.

Nadja provo ribrezzo nel sentire il suo alito sul viso. Si sentiva violata e umiliata in ogni parte del corpo, della mente. Ma perche? Perche?

«Non te lo diro mai, maledetto. Mai.» E cerco per l’ennesima volta di divincolarsi, ma l’uomo steso sopra di lei le impediva ogni movimento. Come in un incubo orribile lo senti irrigidirsi, il respiro di Kaplan divenne un rantolo.

La sua smorfia di piacere si trasformo in un ghigno sadico, mentre le stringeva entrambe le mani sulla gola come una morsa. Raggiunse il piacere accasciandosi su un corpo ormai senza vita.

Iosif lego un capo dello spago al pino, poi lo stese con cura finche non raggiunse il ceppo, quindi ripete la stessa operazione tra la buca delle radici e la base dell’albero abbattuto. A quel punto aveva formato una croce, al cui centro era convinto si trovasse il tesoro di nonno Igor. Quando, servendosi della pala e delle mani, comincio a estirpare la vegetazione alla convergenza delle diagonali tra i quattro alberi, non sentiva piu ne freddo ne fatica.

Sgombro dagli sterpi tutta la zona e stava per cominciare a vangare nel quadrato di terra brulla, quando l’istinto lo paralizzo.

Gli sembro di essere tornato indietro nel tempo, alle battute di caccia in Siberia. Cerco riparo, acquattandosi tra la vegetazione bassa, ma il rumore si ripete: uno scricchiolio smorzato. Non un rumore di rami spezzati, ma un altro suono che conosceva bene e che gli fece paura.

Kaplan sbuco dalla boscaglia puntando la pistola.

«Puoi smettere di cercare, Drostin. Continuero io.»

Iosif non tento nessuna reazione, rialzandosi.

«Ti troveranno qui con una pistola, suicida dopo il terribile reato di cui ti sei macchiato.»

«Che cosa stai dicendo, Kaplan? Quale reato?» replico Iosif, tentando di prendere tempo. Ma la luce di follia negli occhi di Kaplan faceva chiaramente intendere che presto avrebbe premuto il grilletto.

«Te lo avevo detto che ti avrei presentato il conto, Drostin.»

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