Corse a perdifiato per molto tempo, finche non svolto in una stradina buia e senza uscita. Doveva prendere i soldi e disfarsi della borsetta.

Una Mercedes nera piombo nel vicolo con uno stridio di gomme. I tre uomini che ne scesero erano armati, e lui troppo debole per tentare una reazione. Lo presero. Mentre due lo tenevano da dietro, il terzo gli rovescio una gragnola di pugni allo stomaco, finche uno di loro disse: «Basta, facciamolo fuori. Questi miserabili devono imparare che le nostre ragazze non si toccano». E gli punto la pistola alla tempia, facendo scattare la molla del percussore.

Iosif si preparo a morire.

«Aspetta», disse un altro. «Sai che il capo non vuole che prendiamo certe iniziative.»

«Gia, il diritto di condannare a morte lo vuole tutto per se.»

«Insomma, sai com’e fatto, non vorrei che s’incazzasse.»

Iosif fu caricato sull’auto, ridotto a una maschera di sangue.

Alcuni minuti piu tardi, in una zona a nord-est di Mosca, la Mercedes nera s’infilo in un pesante cancello automatizzato e imbocco il vialetto di una villa.

Due uomini sorressero per le ascelle Iosif, che nel corso del breve tragitto aveva perso i sensi diverse volte e ciondolava in avanti, trascinandolo in una cantina scarsamente illuminata. La voce che senti gli sembro lontana, ovattata.

«Sarebbe questo il bastardo che ha scippato una delle nostre ragazze? C’era bisogno di portarlo qui? Fatelo fuori.»

Iosif alzo la testa, farfugliando un tentativo di scusa. Il capo dei malviventi lo vide per la prima volta in faccia ed ebbe un attimo di esitazione. Poi si avvicino e lo guardo meglio, con un’espressione indecifrabile.

«Drostin! Iosif Drostin! Fratello!» sbraito finalmente. E gli getto le braccia al collo.

Con la vista ancora annebbiata, Iosif cerco confusamente di capire che cosa stesse succedendo. Ma abbinare quel viso a Chalva Tanzic, il suo vecchio compagno di lavoro, fu un’operazione che richiese alcuni secondi.

«Liberatelo, imbecilli!» urlo Tanzic ai suoi, allibiti. «Iosif Drostin e un vecchio amico.»

Una donna si prese cura di lui, gli puli e medico le ferite e lo fece stendere su un letto al piano superiore.

Iosif dormi a lungo, finalmente con la testa su un guanciale. Quando si sveglio, trovandosi nudo tra le lenzuola, doveva essere sera. Su un attaccapanni in un angolo vide degli abiti. Si alzo ancora dolorante e punto verso il bagno, attiguo alla camera.

L’arredamento della casa gli parve di un lusso sbalorditivo, anche se in realta era soprattutto di pessimo gusto. Tende e drappeggi di colori sgargianti pendevano un po’ dappertutto. Il bagno era in marmo, e ovunque girasse lo sguardo vedeva la sua figura emaciata riflessa in uno specchio. Stento a riconoscersi. Dov’era finito il corpo agile e robusto di un tempo?

Si immerse nella vasca da bagno, provando uno straordinario piacere nel sentirsi l’acqua sul corpo. A mano a mano che si raschiava dalla pelle la sporcizia accumulata in quegli anni di miseria, il suo spirito comincio a sollevarsi.

Quando rientro nella stanza, trovo un’altra donna ad aspettarlo.

«Finalmente ti sei svegliato. Hai dormito una notte e un giorno filati», disse la giovane, sfoderando un bel sorriso. Era alta, formosa e vestita all’occidentale, con una minigonna molto corta. «Mi chiamo Xenia e sono qui per soddisfare qualsiasi tua necessita. Intanto Chalva ti aspetta a cena giu in sala da pranzo.»

Iosif indosso gli abiti nuovi e scese al piano inferiore. Trovo Chalva Tanzic a capo di una tavola magnificamente imbandita, da cui si alzo per andargli incontro.

«Oh, adesso ti riconosco meglio, fratello», tuono. «Ma che cosa diavolo ti e successo? Come hai fatto a ridurti cosi?» gli chiese, scrutandolo con due occhi a cui gli anni e la fin troppo evidente opulenza non avevano tolto l’espressione torva. «Ma no, abbiamo tempo per raccontarci tutto. Adesso penso che avrai fame.»

Chalva picchio una manata su un campanello d’argento, e immediatamente entrarono due domestici con vassoi fumanti.

Iosif si avvento letteralmente sul cibo. Da quanto tempo non consumava un pasto caldo? Ci vollero parecchi minuti prima che riuscisse a parlare.

«Quel bastardo di Kaplan mi ha rovinato, Chalva», disse con voce cupa. «Non ha mai smesso di perseguitarmi, e un mattino, mentre ero fuori, ha violentato e ammazzato la donna con cui vivevo.

«L’ho strangolato con queste e lo farei ancora», continuo dopo una breve pausa, picchiando le mani sul tavolo. «Ecco che cosa mi e successo, Chalva. Sono ricercato per almeno un omicidio, quello di Nadja, la mia donna, e probabilmente anche per quello di Kaplan, se il suo cadavere e stato scoperto.»

«Ben fatto, perdiana», esplose Tanzic, chinandosi a dargli una pacca su una spalla. «E in casa mia sei al sicuro, Iosif. Nessuno verra mai a cercarti qui. Ti procurero dei documenti falsi, in modo che tu possa andare in giro liberamente per la citta. Come vedi, me la passo bene. I miei affari rendono. Se avessi seguito i miei consigli e piantato in asso quella fogna di Ekaterinburg con me, tutto questo non sarebbe successo. Comunque adesso sei qui, e per te avro sempre un po’ di lavoro. Mi sento responsabile delle disgrazie che ti sono capitate.»

Quindi, versatagli una colossale dose di vodka, Chalva spiego di essere diventato il capo di un’organizzazione che si spartiva il mercato della prostituzione nella citta. Sotto la spinta di quello che lui continuava a chiamare «nuovo corso», Mosca brulicava di turisti e uomini d’affari stranieri affamati della compagnia di una bella russa.

«Giovanissime, le vogliono, quei porci, che a casa loro passano meta della vita a lavarsi la bocca con l’acquasanta. Pagano bene, in bei dollari verdi e crocchianti, e io gliele procuro: le migliori.»

New York. Ottobre 1991

La serata a casa del produttore Dooley scorreva molto piacevolmente. La cucina era disinvoltamente esotica, la conversazione brillante. A Maggie, dopo tanti anni di noia con il marito, pareva di rinascere. Anche perche suo marito non c’era, trattenuto da uno dei suoi soliti impegni di lavoro.

Le erano stati presentati noti attori, conduttori, registi, opinionisti, giornalisti. «Ah», si trovo spesso a pensare, «se avessi accettato l’altra volta.» Ma adesso aveva accettato, e avrebbe cercato di fare del suo meglio. I responsabili della programmazione stavano gia cercando un tema per la trasmissione di debutto, ed era stato chiesto anche a lei di proporre qualcosa. Era dal giorno prima, ovvero dalla fatidica firma apposta al contratto con l’assistenza di Derrick Grant, che ci stava pensando.

Tra gli invitati seduti attorno al grande tavolo oblungo stava riscuotendo un grande successo un bell’uomo sui cinquanta o poco piu, vestito in maniera molto disinvolta come quasi tutti, ma di una signorilita del tutto particolare e dal ricercato accento londinese che ne nascondeva un altro, piu musicale.

A Maggie era stato spiegato che si trattava di un nobile italiano, Gerardo di Valnure, grande viaggiatore e studioso dilettante di questioni medievali. Discendeva da un’antichissima famiglia che vantava un papa, due cardinali e un ragguardevole numero di capitani di ventura. Dal padre, straordinario bon vivant e capo scarico, aveva ereditato quanto rimaneva delle proprieta di famiglia: un castello e diversi appezzamenti di terreno, che pero non producevano alcun reddito. Insomma, il conte di Valnure si era trovato senza il becco di un quattrino. Ma, diversamente da una lunga serie di antenati, aveva la testa sulle spalle, per cui aveva oculatamente venduto tutto cio che gli era stato possibile e aperto il castello avito al pubblico, in modo da ammortizzarne i costi.

Una volta sistemate le proprieta, aveva potuto dedicarsi alla sua passione: seguire le tracce dei nobili avi, cercando di risalire il piu possibile indietro nel tempo. Quando non era in viaggio per le sue ricerche, viveva in un’ala del suo castello, nel Nord Italia.

Da diversi minuti Gerardo di Valnure stava incantando i commensali con i suoi racconti su localita esotiche e oscure vicende del passato remoto.

«Da qualche tempo», disse a un certo punto con la sua voce profonda e dai toni bassi, «le mie ricerche mi hanno portato ad affrontare una questione affascinante quanto tenebrosa.

«Quella dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme», continuo, rispondendo alla domanda di una nota giornalista che sembrava volerselo divorare con gli occhi e non soltanto.

«Che magnifico argomento, signor conte», esclamo la donna. «Dunque lei sa tutto dei

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