«Non sono stato io.»

«Ah, no, eh? Mentire non servira a salvarti la pelle», urlo Kaplan, adesso con uno sguardo veramente folle. «Cosi come non e servito a quella puttana della tua compagna. Le e piaciuto, sai? Peccato che sia l’ultimo ricordo che si e portata dietro.»

Iosif scatto come una molla, incurante della pistola, e in un baleno gli fu addosso come una tigre inferocita.

Kaplan sparo due volte. Il primo proiettile colpi Iosif di striscio alla spalla sinistra, il secondo lo manco.

Lui lo colpi a sua volta con un calcio alla mano, facendo volare lontano la pistola. Poi tempesto il volto sfigurato con i pugni chiusi. Era accecato dal furore, e soprattutto dalle ultime parole di Kaplan. Continuo a martellarlo finche l’altro non cesso ogni accenno di reazione.

«Che cosa le hai fatto, maledetto?» grido, disperato, quando lo vide cadere ai suoi piedi.

Kaplan era una maschera di sangue, e il ghigno dei suoi denti apparve ancora piu sinistro. «L’ho violentata e le ho spezzato il collo», rispose, scoppiando in un riso gorgogliante. La follia era ormai padrona della sua mente.

Drostin avverti un brivido lungo la schiena, poi strinse forte le mani finche non senti le cartilagini della carotide cedere. Dalla bocca di Kaplan usci l’ultimo rantolo.

Iosif si accascio sulla terra spoglia, annichilito dalla disperazione. Ci vollero parecchi minuti prima che riuscisse a imporsi di tornare lucido.

Tamponata come poteva la ferita alla spalla sinistra, che capi non essere grave, trascino il corpo di Kaplan in un anfratto e lo nascose tra la vegetazione piu fitta.

Quando torno alla strada maestra, stava arrivando l’ultimo autobus. Davanti alla casa di Nadja vide due auto della polizia. Dissimulatosi tra la folla dei curiosi, chiese: «Che cosa e successo?»

«Hanno ammazzato una ragazza. Pare che sia stato il suo fidanzato, un poco di buono che lavora, alla fabbrica giu al lago.»

Drostin si strinse nelle spalle e si allontano. Era completamente svuotato, senza piu nessuna voglia di vivere. A governare la sua mente era ormai solamente l’odio. Un odio in forma di gelida ragione.

Se non voleva finire i suoi giorni in carcere per un crimine non commesso, doveva scappare. Ma dove?

3

New York. Maggio 1991

«Casa Hassler. Chi parla?» chiese Maggie.

«Sono Mark Dooley. Vorrei parlare con la signora.»

«Sono io.»

«Non so se si ricorda di me, ma circa cinque anni fa le avevo proposto di condurre una trasmissione televisiva.»

Maggie rimase un attimo interdetta. Dopo essersi consultata a lungo con Timothy, aveva declinato l’offerta. Lo aveva fatto con molto rimpianto, ma per la pace in famiglia aveva deciso che sarebbe stato meglio cosi. Nel corso di quei cinque anni, pero, le sue sensazioni avevano contribuito a risolvere almeno una trentina di casi. E adesso…

«Certo che mi ricordo di lei», riusci a rispondere.

«Lo speravo. In una riunione editoriale di ieri abbiamo deciso che l’idea andrebbe rispolverata, visti i suoi successi. La storia di quella bambina ha tenuto gli Stati Uniti con il fiato sospeso per tre giorni.»

Dooley si riferiva all’ultimo caso risolto, una bambina di dodici anni scomparsa nel Nevada. Maggie l’aveva vista in fondo a un pozzo asciutto e aveva contribuito a farla ritrovare ancora in vita.

«Come sa, rinunciare mi e dispiaciuto, ma…»

«Mi permetta d’insistere, signora Hassler. Abbiamo in mente una trasmissione da lanciare tra sei o sette mesi. E per condurla vogliamo lei.»

«Non so… Devo riparlarne con mio marito.»

«Lo faccia, signora Hassler. Ci auguriamo tutti che questa volta decida di accettare.»

Derrick Grant arrivo puntuale. L’invito a cena era per le otto e mezzo, e a quell’ora in punto suono alla porta della villetta a due piani nel quartiere residenziale di Wards Island. Aveva con se un regalino e un mazzo di fiori per Maggie. Ormai il suo studio si stava avviando a divenire uno dei piu rinomati di New York.

La conversazione procedeva piacevole, e circa a meta della cena la padrona di casa disse: «Oggi mi ha chiamato di nuovo Dooley».

«Dooley chi?» chiese Timothy.

«Il produttore televisivo che mi aveva proposto di condurre una trasmissione. Si e rifatto vivo con la stessa proposta.»

«Mi sembra che ne abbiamo gia discusso allora, no?»

Derrick seguiva con un certo imbarazzo quello che aveva tutta l’aria di voler degenerare in un litigio tra coniugi.

«Questa volta, pero, vorrei provare», tenne duro Maggie.

«Ti ho gia detto come la penso e non vorrei tornarci sopra. Comunque puoi fare quello che vuoi. Derrick, ti prego di scusarmi, ma mi e venuto un terribile mal di testa.» E Hassler si alzo di scatto, dirigendosi verso il piano superiore.

Maggie cerco di dissipare il gelo calato nella sala. «Per lui e una cosa inconcepibile», disse in un tono che non era per nulla lieve come avrebbe voluto.

«A me invece non sembra affatto una cattiva idea, tanto piu che ormai sei un personaggio pubblico: i giornali sono pieni di tue foto. Se hai bisogno di me, considerami a tua disposizione. Non so, per il contratto, o qualsiasi altra cosa.»

Maggie lo ringrazio con uno sguardo velato di malinconia che lo fece sbottare: «Non voglio intromettermi nella tua vita, e se vuoi non rispondere. Ma sei felice?»

«Certo, Derrick, sono felice», rispose lei dopo una breve esitazione. Ma ancora una volta il suo tono suono falso.

Mosca. Agosto 1991

La mente di Iosif Drostin era annebbiata dalla vodka. Si aggirava per la citta in abiti lisi e luridi e con passo malfermo, rovistando nei bidoni dei rifiuti. Passando davanti a una vetrina, si pianto a gambe larghe di fronte alla propria immagine e scoppio a ridere sguaiatamente: ecco com’era ridotto il depositario del segreto di un tesoro. Ma la risata si trasformo in un singulto alcolico.

Gli anni erano passati, ma la ferita aperta dalla morte di Nadja non si sarebbe mai rimarginata. Aveva abbandonato precipitosamente Ekaterinburg con il primo treno per Mosca, lasciandosi dietro quasi tutto. La grande metropoli era il solo posto che potesse nasconderlo. Ma ci aveva messo poco a capire che, senza lavoro e addirittura senza una vera identita, gli sarebbe stato difficile vivere.

Aveva provato con il mercato nero, con lavoretti saltuari, ma a poco a poco si era rassegnato a vivere ai margini di una societa gia in se misera. Aveva trascorso inverni di gelo, dividendo con altri diseredati magri falo di cartacce e poche briciole di cibo. Non appena riusciva a racimolare qualche spicciolo correva a comprare una bottiglia di vodka scadente: l’unico rimedio al freddo, ma soprattutto all’angoscia che aveva dentro.

Due ragazze uscirono dall’Hotel Belgrad sorridendo. Quasi certamente prostitute per i turisti e gli uomini d’affari che affollavano l’albergo. Una delle due mostro all’altra un fascio di banconote. Drostin, seduto sul marciapiede, segui la scena: erano almeno duecento dollari americani. Una cifra per lui enorme.

Scatto come un lupo famelico, raggiunse le due ragazze e con un violento strattone strappo la borsetta dove aveva visto riporre i dollari. Poi scappo.

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