«Pare che, proprio a proposito di questo Terzo Segreto, Giovanni Paolo II, nel corso di una visita in Germania nel 1980, abbia detto ad alcuni prelati: ‘Se foste a conoscenza che una terribile catastrofe si abbattera sull’umanita e che milioni di persone potrebbero venire sepolte sotto onde gigantesche, lo rivelereste mai al mondo?’ Insomma, intorno alla Terza Profezia di Fatima si e creato un vero alone di mistero, alimentato dal rifiuto del Vaticano di renderla pubblica. Pare ne siano a conoscenza soltanto il pontefice, alcuni alti prelati e i capi di Stato delle nazioni piu importanti.»
«E le tue conclusioni?»
«Ci arrivo. Cominciamo con le date: il 13 maggio e una data che ricorre nella vita dell’attuale papa. Prima l’attentato in piazza San Pietro nel 1981, poi un secondo attentatore solitario, che lo stesso giorno dell’anno seguente voleva colpirlo con una baionetta, mentre il papa era in pellegrinaggio proprio a Fatima per rendere grazie alla Vergine di avergli salvato la vita.»
«E allora?» chiese Grant.
«Ascolta. Il giorno dell’attentato del 1981 ho avuto una delle mie
«Spero che non ti voglia impegolare nei fumettoni romanzati che vengono sempre fuori dopo fatti cosi gravi.»
«Non sono fumettoni. Io sto ai fatti, e c’e molto altro da dire sulle banche internazionali e vaticane coinvolte nella vicenda, sul ruolo dei servizi segreti delle grandi potenze e su certi
«Certo. ‘La Profezia incombe, voi potrete salvare il mondo.’»
«Noi siamo collegati a quegli avvenimenti, o meglio, vi sono collegata io. Stammi vicino, Derrick. Ho paura che stiamo per vivere avvenimenti terribili.»
Arhangelsk. Mar Bianco. Russia settentrionale.
Febbraio 1992
La nave rompighiaccio
Il comandante Govaleck lo accolse come un normale membro dell’equipaggio, e lui si mise subito all’opera come il piu diligente dei marinai. Aveva sistemato le pietre nel doppiofondo di una cintura che non si toglieva mai, nemmeno quando andava a letto.
Il rompighiaccio prese il largo poche ore piu tardi in un mare che sembrava un deserto bianco. Ma la prora si apriva la strada senza fatica, sollevando due baffi di acqua mista a grossi frammenti di ghiaccio. Lo seguiva un convoglio di otto navi.
Nel corso della quarta giornata di navigazione il comandante Govaleck mando a chiamare Drostin.
«Lei sbarchera nel porto di Bergen, dove la imbarchero di nuovo quindici giorni piu tardi. L’armatore mi ha detto che deve andare ad Amsterdam, e ha gia provveduto per i biglietti aerei: le verranno consegnati non appena arriveremo in porto. Buona fortuna, signor Bykov», concluse il comandante, chiamandolo con il cognome che figurava sui suoi nuovi documenti d’identita.
Giunsero a Bergen tre giorni piu tardi, accolti da una tormenta di neve, e, non appena ormeggiarono in banchina, il comandante lo chiamo in plancia, porgendogli un appunto. «Scenda a terra subito, Bykov, e vada a questo indirizzo. Vi trovera i biglietti per Amsterdam.»
Giunto in quella citta, Iosif prese alloggio all’Hotel Owl, in Roemer Visscherstrass, e non appena fu in camera telefono al numero scritto sul biglietto consegnatogli dal comandante.
«Ditta Karnapolsky», rispose la voce gentile di un’impiegata.
«Sono Bykov, il signor Karnapolsky sta aspettando una mia chiamata», spiego Iosif nel poco inglese imparato da Nadja, e dopo pochi istanti di attesa una voce anziana gli disse in perfetto russo: «Benvenuto, signor Bykov».
«Parla la mia lingua, signor Karnapolsky?»
«Sono russo, come si puo facilmente capire dal mio cognome. Amici comuni mi hanno riferito che lei ha cose interessanti da propormi.»
«Credo sia opportuno incontrarci, in modo che lei possa valutarle.»
«Le andrebbe bene domattina verso le nove?»
«A domani mattina.»
Il giorno dopo il commerciante di pietre lo accolse con grande cordialita. Era un uomo di oltre settant’anni, camminava curvo e gesticolava animatamente. Sembrava contento di poter finalmente parlare un po’ nella sua lingua madre.
Iosif estrasse dalla cintura tre sole pietre — un diamante, un rubino e uno degli zaffiri blu — e le appoggio sul tavolo.
Kamapolsky non parve affatto impressionato e inforco la lente monoculare, esaminandole con estrema attenzione.
«Sono tre belle pietre, signor Bykov. Dobbiamo verificarne la caratura, le impurita al microscopio elettronico e la eventuale fluorescenza con la macchina a raggi ultravioletti, ma mi sembra che siano veramente buone.»
«Ne ho altre trenta simili, signor Karnapolsky, e intendo vendere tutto in un solo lotto.»
«Naturalmente non devo chiederle la provenienza della merce.»
«Se teme che sia roba rubata, si sbaglia. Diciamo che ho scoperto un tesoro. E non e un modo di dire.»
L’esame e la valutazione delle gemme richiesero tre giorni, durante i quali Iosif non le abbandono mai in mani sconosciute.
«Sono pietre d’incredibile purezza», confermo Karnapolsky, «fatta eccezione per due diamanti che presentano un’alta fluorescenza. Una bella partita di merce. Quanto alla valutazione», continuo dopo una breve pausa, «il loro valore commerciale si aggira attorno ai sedici, forse diciassette milioni di dollari. Ripeto: valore
E Karnapolsky si calo gli occhiali sulla punta del naso, fissando il suo interlocutore con due occhi penetranti, prima di riprendere. «Le offro dieci milioni di dollari. E tenga presente che per raccogliere una somma simile mi occorre almeno una settimana.»
«Tra sette giorni le consegnero le pietre», rispose Iosif, «in cambio di dieci milioni di dollari in