«Mai vorrei vedere i tuoi occhi piangere», replico lui con profonda tenerezza, sorridendole. Gli occhi neri della ragazza riflettevano la luce di un sole pallido.

«Devo andare a portare questi panni nelle lavanderie», disse Shirinaze. «Perche non scendi con me? Puoi rientrare al Tempio attraverso i sotterranei.» E senza aspettare risposta, prese il cesto con gli indumenti e si avvio.

Luigi la segui senza dire niente, ma, non appena furono nei sotterranei, la supero e le si paro davanti, fermandola.

«Shirinaze», esclamo in tono quasi implorante, «non sai che cosa darei per indossare una delle tuniche da templare che hai nella cesta.»

«Non e possibile», replico la giovane in tono severo. «Verremo puniti.»

«Chi potrebbe scoprirci? Non lo diremo a nessuno. Ti prego, amica mia.»

Shirinaze abbasso lo sguardo al pavimento, con un’espressione di profonda inquietudine. Oltre a quel giovane, non aveva praticamente amici. Non parlava quasi mai con nessuno.

«Ti prego», insistette Luigi a voce bassissima. «Ti ripeto: non lo sapra nessuno.»

La giovane mora, schivatolo con un’abile mossa, scappo via senza dire niente: nemmeno di no.

Con il cuore in gola, Luigi vide che pero non entrava nelle lavanderie ma in un locale di servizio.

La segui d’impulso e, non appena ebbe varcato la soglia della stanzetta oscura e angusta, vide che Shirinaze gli stava porgendo il mantello da Cavaliere del Tempio.

Presolo con mani reverenti, Luigi se lo lascio cadere sulle spalle.

«Sei il piu bel Cavaliere che io abbia mai visto», sbotto Shirinaze.

Lui la guardo, stupito, e per la prima volta la vide veramente per cio che era diventata: una giovane donna molto bella e in fiore. Si senti bruciare da un fuoco sconosciuto, che non riusci a reprimere.

Senza dire niente, le si accosto, la cinse alle spalle e premette la bocca contro la sua.

«E… e peccato», esclamo lei, imbarazzata, ritraendosi di scatto.

«No, Shirinaze, lo sara quando avro preso i voti, ma fino a quel momento sono un uomo libero. E… ti amo.»

«Non dire cosi, Luigi. E male… io…»

Ma Shirinaze non aggiunse altro, stringendosi a lui e rispondendo con ardore al bacio. A ragionare per entrambi era l’istinto della gioventu sana e forte.

«Lo desideravo da quando ti ho visto», mormoro Luigi.

La risposta di Shirinaze si spense in un altro bacio.

Novembre 1998

Gerardo era seduto in poltrona, con la gamba ingessata appoggiata su uno sgabello, devotamente accudito da Giacomo.

Aveva in mano la medaglia d’argento trovata a Recanati. Gli era venuta in mente una cosa su cui doveva indagare, e cioe da dove provenisse tutto il metallo prezioso di cui disponevano i Cavalieri del Tempio. Sul finire del XIII secolo, infatti, le miniere tedesche e russe non erano ancora in funzione. Eppure il Tempio possedeva enormi forzieri colmi d’argento, oro e altri metalli preziosi. Certo, i Templari erano stati gli antesignani dei moderni banchieri: aprivano lettere di credito, prestavano denaro persino a sovrani. Ma l’accumulo di una simile ricchezza in soli duecento anni, tanto grande da suscitare le mire persino del re di Francia, era un fatto singolare. Da dove veniva?

Chissa che nel vecchio castello di Rochebrune, o nei pressi, non si potesse scoprire qualcosa?

Quale attivita di riabilitazione migliore, una volta tolto il gesso, che passeggiare tra i boschi ai piedi delle Alpi Marittime, resi balsamici dalla vicinanza del Mediterraneo?

Un paio di settimane piu tardi, un sole incredibilmente luminoso rendeva trionfale la giornata al Grand Hotel de Rochebrune.

Le dita di Gerardo di Valnure correvano veloci sulla tastiera del computer portatile che teneva sulle ginocchia. Stava raccogliendo i suoi appunti davanti a una vetrata da cui si vedeva in tutta la sua magnificenza il Pic de Rochebrune, quando si senti rivolgere la parola da una voce sensuale: «Mi hanno detto che e italiano anche lei».

Giratosi, Gerardo vide una donna in pantaloni attillati e giacca trapuntata nera, con collo di pelliccia. I capelli neri erano tagliati alla maschietta, e gli occhi azzurri sembravano capaci di perforare qualsiasi difesa.

«Certo, sono italiano», rispose, alzandosi con qualche fatica e porgendo la destra. «Gerardo di Valnure.»

«Piacere. Sono Paola Lari, che pero e soltanto un nome d’arte. Il mio vero cognome e Larizza. Sono cantante, e questa sera mi esibiro a Briancon. Posso sedermi qui? Sempre che non la disturbi.»

«No di sicuro», rispose Gerardo, spegnendo il computer. «Stavo soltanto prendendo qualche appunto ispirato dalla tranquillita di questo luogo.»

La conversazione si rivelo estremamente piacevole, tanto che alla fine i due si davano del tu, e Gerardo assicuro la sua presenza allo spettacolo di quella sera, dove arrivo puntuale.

Paola Lari era una cantante veramente notevole, e con un repertorio tale da consentirle, con i numerosi bis richiesti, d’intrattenere il pubblico fin quasi a mezzanotte.

Lasciato finalmente il palco, lo raggiunse al suo tavolo.

«Un tuo parere, signor conte?»

«Hai una voce magnifica, mi hai fatto letteralmente venire i brividi. Ma come fai a sapere che sono conte?»

«Intuito femminile?» rispose la bellissima donna, fissandolo con due occhi di fuoco.

Quando finalmente riusci a lasciare la cantante e a tornare in camera sua, Gerardo ebbe la peggiore delle sorprese. Tutto era in un disordine spaventevole, e il computer era sparito.

Poche ore piu tardi lo stesso computer era in una villa dell’Appia Antica, posato su un tavolo.

«Abbiamo provato a violare le tre password di protezione», disse in tono inquieto l’uomo che lo aveva portato li, «ma non c’e stato niente da fare: i segreti che nasconde restano li dentro.»

«Non so di quali segreti possa essere in possesso questo Gerardo di Valnure», replico il Gran Maestro, storpiando il nome con un brutto accento americano, «ma e molto improbabile che lo portino a noi. In ogni caso aveva ragione Sonia: e un vero osso duro.»

«Provochiamo un altro incidente?»

«No. Se ha scoperto qualcosa, avra di sicuro informato qualcuno, e un secondo incidente potrebbe alimentare troppi sospetti. Vediamo che cosa fa ancora e continuiamo a tenerlo sotto stretta sorveglianza.»

Parigi. 1306

Era scoppiata improvvisa una rivolta contro il re Filippo IV, provocata dalle sue inique gabelle, per le quali tutti ormai lo chiamavano il «re falsario». Il sovrano aveva trovato rifugio nel Tempio, la fortezza piu sicura di Parigi.

Nel corso di questo suo soggiorno forzato, Filippo IV si aggiro ovunque, manifestando quella che poteva sembrare soltanto un’innocua curiosita. Ma cosi facendo ebbe modo di vedere il tesoro del Tempio, custodito in una grande stanza blindata al centro dell’edificio.

Bertrand de Rochebrune aveva pero notato con quanto interesse Filippo osservasse ogni particolare, quasi volesse imprimerselo nella memoria, e, sapendo cio che sapeva, il comportamento gli era apparso altamente sospetto. Si affretto pertanto a inviare un messaggio al Gran Maestro, a Cipro.

«Signore», scrisse, «mentre vi scrivo queste righe il Re di Francia e ospite del Tempio, dove manifesta una curiosita che mi inquieta, cosi come mi irrita il suo tono quasi da padrone di casa. Mentre la Regola impone che le uniche autorita che dobbiamo riconoscere sono la Vostra e quella del Papa.

«Purtroppo il Tesoriere ha commesso l’imprudenza di mostrargli le stanze del tesoro, e ho

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