Roma. Un palazzo all’Eur. Febbraio 1999

Sara Terracini si stava godendo qualche attimo di relax abbandonata sullo schienale della sedia, con le lunghe gambe appoggiate al primo cassetto della scrivania. Era esausta ma soddisfatta. Il laboratorio scientifico che dirigeva, uno dei piu all’avanguardia nel mondo, aveva appena finito di catalogare il carico di una nave oneraria romana, recentemente riportato in superficie. La sua non comune bellezza era appena velata dal tono affaticato. La testa reclinata all’indietro lasciava cadere i capelli corvini sulle spalle come una cascata.

Il suo attimo di tregua fu interrotto dal trillo dell’interfono. «Il signor Gerardo di Valnure chiede di poterla vedere, dottoressa», le disse la segretaria. «Ma non ha un appuntamento», continuo in tono severo.

«Lo faccia passare subito, per favore.»

Sara si diede una rapida riassettata guardandosi nello specchietto preso dalla borsetta. Studiosa o non studiosa, non scordava mai di essere una donna.

Quando il nobile piacentino apparve sulla porta, si alzo immediatamente, schiudendo il viso in un caldo sorriso e andandogli incontro con le braccia aperte.

«Che magnifica sorpresa, Gerardo. Qual buon vento?»

«Ho bisogno delle tue splendide doti di scopritrice di misteri.»

Misteri? Sara avverti un fin troppo noto campanello d’allarme. Non sarebbe mai riuscita a godersi cinque minuti consecutivi di tranquillita?

Si vide posare davanti una scatola di polistirolo, da cui Gerardo estrasse due antichi astucci cilindrici in pelle, attraverso la cui apertura si vedevano altrettante pergamene.

«Ecco il motivo della mia visita.»

A Sara basto un rapidissimo esame per esclamare: «Custodie di eta tardo-medievale, in ottimo stato di conservazione. Pero temo che non si possa dire altrettanto delle pergamene. Che cosa raffigura quel sigillo?»

«Credo che troveremo una risposta proprio nelle pergamene, sempre che si riesca a estrarle integre. Il sigillo e quello di un Templare, che penso possa essere stato testimone degli ultimi travagliati momenti dell’Ordine. Sono entrato in possesso per puro caso della medaglia da cui il sigillo e stato ricavato, e poi l’ho ritrovato li», rispose Gerardo posando sulla scrivania il disco d’argento. «Non puoi non aiutarmi, Sara. Che cosa sai dei Templari?»

«Non un granche, ma la loro storia mi affascina da quando il loro cammino si e intrecciato con una vicenda a cui ho avuto occasione di lavorare. Anche allora per un amico. Begli amici ho.»

«Quale vicenda?»

«Rennes-le-Chateau, un paesino della Linguadoca, che pare sia depositario di molti segreti e tesori nascosti, tra i quali, forse, anche quello dei Templari, oltre a quello del Tempio di Gerusalemme.»

«E una storia che conosco bene: sono ormai mesi che mi documento sulle ipotesi piu fantasiose circa la fine dei Templari. E quel parroco di Rennes-le-Chateau, che sul finire del secolo scorso sembro colpito da una improvvisa quanto misteriosa ricchezza, le voci sulla sua scoperta di un tesoro… Ma la vicenda che sta a cuore a me e un’altra.»

Agosto 1311

La palizzata che circondava la cittadina non bastava a contenere gli assalti degli indigeni. Le frecce infuocate piovevano da ogni parte, incendiando i tetti delle case di legno.

Lasciato il compito della difesa ai suoi, Raymond de Ceillac si era rifugiato con un manipolo di fedelissimi nell’unica costruzione in pietra del villaggio: un’alta torre squadrata simile al «maschio» di un castello templare.

Luigi di Valnure aveva resistito in prima linea fino a quando non aveva capito che ogni difesa era inutile, dopo di che si era precipitato alla sua abitazione, una delle poche a non essere ancora in fiamme, e aveva preso con se Shirinaze e il piccolo Lorenzo.

Usciti da una breccia della palizzata durante un attimo di tregua, erano scappati nell’erba alta fino a sfinirsi, fermandosi finalmente su una rupe da dove potevano osservare senza pericolo gli sviluppi della battaglia.

Videro gli indigeni dilagare nel villaggio e trucidare chiunque si parasse loro davanti. Osservarono in un silenzio inorridito le case che si riducevano a mucchi di cenere. Finche non fu assaltata anche la torre. Ne videro uscire un centinaio di armati, che riuscirono a farsi largo, a raggiungere la spiaggia, dove erano in secca diverse scialuppe, e a prendere il mare verso l’unica delle quattro navi che si era salvata dall’incendio perche ancorata in rada.

La seguirono con lo sguardo finche non scomparve oltre lo sperone di roccia che delimitava la baia. Nessuno dei due aveva detto una sola parola. Gonfi di angoscia, si stavano chiedendo entrambi che cosa ne sarebbe stato di loro e, soprattutto, di loro figlio.

Ma non si persero d’animo. Dopo essersi concessi un brevissimo riposo, ripartirono verso la costa, dove si accinsero a costruire una zattera per raggiungere una vicina isola. Luigi sapeva che, circondata da un’insidiosa barriera corallina, per gli indigeni era una zona severamente vietata, popolata dagli spiriti degli antenati.

Infaticabilmente aiutato dalla moglie, uso la spada per recidere alcuni tronchi, che lego tra loro con foglie di palma intrecciate. Dopo due estenuanti giornate di lavoro, la zattera fu finalmente sulla battigia di spiaggia corallina.

Luigi la spinse verso il largo e finalmente vi si isso anche lui, spiegando la vela quadra ricavata dalla mantella di Shirinaze. Diede di piglio ai due lunghi remi modellati con la spada in due tronchi pressoche identici, e la zattera comincio ad allontanarsi lentamente dalla spiaggia.

Le staffette del barone St Clair fecero ritorno a una a una. Erano state inviate in cerca dei Cavalieri sfuggiti alla persecuzione, ma le notizie che portavano non erano rincuoranti: la maggioranza di essi riteneva sciolto il voto, e soltanto sette od ottocento si erano dichiarati disposti a seguire Bertrand nell’improbo tentativo di liberare il Gran Maestro e gli altri confratelli.

Dispacci riservati di Bertrand de Rochebrune li avevano convocati in una localita segreta presso Vienne, dove stava per aprirsi il Concilio incaricato di giudicare l’Ordine. Dovevano raggiungerla alla spicciolata senza dare nell’occhio, armati e, se possibile, a cavallo.

Roma. Febbraio 1999

I due astucci e il loro contenuto erano stati sottoposti a una serie di esami e poi immersi in una soluzione per separare le pergamene dalle custodie, a cui il tempo le aveva fuse. Quindi era iniziata la paziente opera per recuperare al meglio i documenti, dopo averli asciugati in uno speciale forno. Le tracce d’inchiostro erano cancellate in piu punti.

Gerardo di Valnure manifesto le sue perplessita a Sara Terracini, che per tutta risposta gli indico un’apparecchiatura simile a una macchina per raggi X.

«E uno spettroscopio di fluorescenza: serve a vedere le tracce lasciate dall’inchiostro», gli spiego. Quindi prese con tutta la cautela dovuta i documenti e li inseri in una specie di fotocopiatrice.

«E un sofisticato scanner che combina raggi laser e infrarossi a betaradiografia. Cio che riesce a leggere dovrebbe comparire presto sul mio monitor.»

L’attesa si rivelo piu lunga del previsto, ma alla fine la macchina diede il suo responso. Sara digito con mani esperte sulla tastiera, finche i caratteri gotici non apparvero nitidi sullo schermo.

«Ci siamo», esclamo, mentre Gerardo cominciava a tradurre a voce alta il francese antico del testo.

«Io, Hugues de Payns, Gran Maestro dell’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo, sento avvicinarsi l’ora di ricongiungermi al Signore e pertanto ho deciso di vergare questo documento. Non gia per lasciare ad altri ricchezze terrene, di cui noi Templari ci spogliamo come vuole la Regola, ma per indirizzare sulla retta via chi si assumera dopo di me questo arduo compito e per prevenire errori che potrebbero annullare ogni nostra fatica.

«Il mio massimo timore riguarda le possibili evoluzioni del nostro Ordine. Sapranno i futuri cavalieri mantenere gli impegni di castita, poverta e obbedienza previsti dalla regola che ci siamo imposti? Oppure

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