Accompagnato da sette guerrieri e con l’aiuto delle tenebre, Luigi era approdato nell’isola di de Ceillac, raggiungendola con una piroga sul lato opposto alla baia, e li aveva nascosto l’imbarcazione tra la fitta vegetazione. I Tequesta, con i volti decorati dai colori di guerra, procedevano con cautela e in silenzio, ma decisi.
Risaliti i rilievi al centro dell’isola, avevano studiato dall’alto la fortificazione edificata nella gola di roccia: sembrava inespugnabile. Da una torre sul lato destro una sentinella in costante stato di allerta dominava con lo sguardo la sconfinata distesa dell’Oceano. Due pareti del forte erano costituite dalle rupi rocciose. All’interno della palizzata si vedevano alcune case di legno.
Luigi individuo prima l’alloggio di soldati e marinai, un edificio basso e lungo, e poi, a poca distanza, quello dei sergenti, entrambi a ridosso dell’imponente rupe di roccia vulcanica. La dimora di de Ceillac era probabilmente sul lato opposto. Forse una delle tre piu piccole, a pochi passi dalla palizzata.
Quando, illuminata dai bagliori dei fuochi, apparve la figura di una donna che usciva da una delle case, tenuta per un braccio da un uomo, si senti prendere dall’angoscia. Nonostante l’oscurita e la distanza, aveva riconosciuto il malvagio Denis, e la pelle della donna era bruna. La poveretta camminava a testa china, come oppressa dal greve peso della sua situazione. All’angoscia si sostitui il furore: era probabilmente condotta all’alloggio di de Ceillac per essere strumento del suo piacere.
Ma Luigi vide anche verso quale casa erano diretti i due. Il rumore sordo del catenaccio che serrava l’uscio alle spalle della prigioniera arrivo distinto sino a li.
Doveva agire, prima che fosse troppo tardi.
Patron Magri, comandante della nave ammiraglia, era accanto al navigatore, cui impartiva ordini con voce ferma. Il marinaio aveva due braccia scultoree, temprate dalla barra del timone. Al collo, dentro un sacchetto di pelle, portava un frammento di magnetite contro cui strofinare l’ago della bussola nel caso che si fosse demagnetizzato.
La Scozia era ormai lontana. Non la vedevano piu da quarantadue giorni, e ormai le scorte di viveri e acqua cominciavano a scarseggiare. L’Oceano era increspato da una leggera brezza. Le vele erano spiegate, e la nave avanzava maestosa e agile, leggermente sbandata a dritta.
Il nuovo Gran Maestro si era chiesto a lungo se fosse opportuno partire per un viaggio cosi rischioso con due sole navi. Ma aveva finito con il preferire quella soluzione a un convoglio: era meglio che l’esigua forza navale di cui disponeva restasse al sicuro nei porti della Scozia.
Recuperare la flotta e gli uomini affidati a de Ceillac non era un’impresa difficile, al di la dei rischi della traversata.
Ma la tempesta comincio a montare nella notte, per scatenarsi terribile alle prime luci dell’alba.
Roma. Giugno 1999
«Non si puo darle torto, dottor Marradesi», disse Gerardo di Valnure, interrompendo il silenzio meditabondo che era calato nel laboratorio. «Ma ci troviamo comunque a un nuovo punto morto.»
«Niente affatto», obietto Sara. «Dobbiamo scoprire chi si attribuisce ancora il ruolo di custode del segreto di cui parlava Toni. Non dimentichiamo che cos’e successo al povero Giacomo e sarebbe potuto capitare anche a te ad Akko. Le tue, anzi le
«E vero. Se la Sindone fosse davvero l’effigie del Gran Maestro de Molay, potrebbe rappresentare il simbolo della vergogna dell’Ordine Templare. Una reliquia da distruggere per cancellare l’infamia e riportare il Tempio agli antichi splendori», convenne Gerardo.
A pochi chilometri di distanza, nella villa sull’Appia Antica, era nuovamente riunito il Gran Consiglio dell’Ordine.
Il Gran Maestro levo le braccia al cielo. Dalle fessure del cappuccio s’intravedevano due occhi gelidi e gonfi di odio.
«Siamo finalmente pronti, fratelli. Il segnale e stato dato da tempo, anche se la sorte ha voluto che l’ultimo simbolo del nostro disonore non fosse distrutto dalle fiamme. E ora di uscire dalla secolare clandestinita per impadronirci del mondo.»
Agosto 1312
Alvise Magri corse verso poppa con un’ascia. La nave rollava paurosamente e le onde superavano la murata, frangendosi sui ponti e abbattendosi con violenza sui marinai. Di notte le due navi procedevano assicurate l’una all’altra da una robusta cima, perche l’oscurita non facesse loro perdere il contatto.
Ma adesso la tremenda tensione del cavo rendeva quasi impossibile governare. Magri abbasso con violenza l’ascia, e lo schiocco sordo del cavo che si tranciava supero il frastuono della tempesta. Immediatamente le due navi recuperarono la governabilita e tornarono a fendere le onde con la prora.
Patron Magri tenne la sua tutto il giorno alla cappa, manovrando il minimo necessario per non esporre il fianco alla tempesta. Ma finalmente scese la notte, e il vento e il mare andarono progressivamente calando. Tuttavia, quando il sole sorse di nuovo su una distesa piatta di acqua, dell’altra nave non c’era piu traccia.
Luigi aveva radunato i fedeli Tequesta sulla cima dello sperone di roccia. Conosceva i rischi cui li esponeva, ma se voleva salvare la sua compagna non aveva alternative.
La corda, intrecciata dalle donne del villaggio con fibre vegetali, era abbastanza lunga perche potesse calarsi da li sino al forte. Se ne lego un’estremita alla vita, e i guerrieri cominciarono a svolgerla nel buio.
La roccia della parete era scura, e i bagliori dei fuochi del forte non la raggiungevano. I nemici avrebbero potuto vederlo soltanto quando avesse raggiunto l’ampio piazzale in terra battuta al centro del fortilizio, che pero a quell’ora era deserto.
Sentendo un rumore improvviso, Luigi si fermo, acquattandosi contro la parete e scrutando verso il basso.
Vide Denis uscire dall’alloggio di de Ceillac spingendo davanti a se Shirinaze, che avanzava con passo incerto. Luigi prego che l’uomo non alzasse lo sguardo.
«Buonanotte, contessa», disse lo scherano in tono canzonatorio, spingendo bruscamente Shirinaze nella sua prigione. «Dalla faccia del Gran Maestro, direi che vi siete meritata ampiamente un po’ di riposo.»
Rimasta sola, Shirinaze si lascio cadere sul letto singhiozzando. Ma dopo qualche istante impugno il pugnale che si era procurata di nascosto. Non aveva mai trovato il coraggio di usarlo contro il suo aguzzino.
Asciugatasi le lacrime, benedisse il figlio perduto e auguro a Lorenzo una vita migliore di quella toccata a lei. Quindi, chiesto perdono a lui e a Dio, alzo su di se la mano per immergersi l’arma nel cuore.
A pochi metri da lei, non appena ebbe toccato il suolo, le mani di Luigi corsero a liberare i nodi che lo assicuravano alla fune.
Ma la senti afflosciarsi e se la vide quasi cadere addosso. Mentre si buttava a corpo morto dietro un riparo, dalla rupe dove aveva lasciato i Tequesta si levo un grido di allarme.
«All’erta. Abbiamo catturato alcuni selvaggi. Siamo attaccati.»
Dal suo nascondiglio, Luigi vide con sgomento lo spiazzo del forte riempirsi in pochi istanti di uomini che brandivano spade e archi. Poi senti risuonare la voce sinistra di de Ceillac.
«I Tequesta non possono aver elaborato da soli il piano di questa incursione. Non sono abbastanza intelligenti», disse, facendo guizzare lo sguardo in ogni zona d’ombra. «Ah», urlo poi. «Ecco li una fune piovuta dal cielo. Il nostro amico Luigi dev’essere qui. Portatemelo.»
«Eccolo!» grido poco dopo uno dei suoi uomini.