abbronzate. Paola non distrasse la sua attenzione dalla pentola fumante dove stava indorando un soffritto, ma lo saluto con grande calore, girando la testa verso la porta.
«Gerardo, che gioia», esclamo. «Scusa l’improvvisata, ma avevo una giornata libera dalle registrazioni televisive e ho pensato di venire qui. Visto che non c’eri, mi sono messa a preparare la cena. Spero di non disturbare.»
«La prossima volta avvertimi», finse di protestare lui. «Quando ho visto la tua auto in giardino, ho dovuto scacciare un corteo di concubine.» Quindi la strinse a se e la bacio delicatamente sulla bocca, sentendosi avvolgere dal suo profumo. «Adesso pero», concluse, «ti lascio un attimo alle tue leccornie. Sistemo alcuni documenti e torno.»
Per una vecchia abitudine, ulteriormente rafforzata dalla tragedia di Giacomo, mise al sicuro nella poderosa cassaforte il dischetto con gli appunti sulla Cappella di Rosslyn, cancellandoli con cura dal disco fisso del suo computer. Dopo pochi minuti era di nuovo con Paola.
Le si accosto da dietro, fingendo di annusare gli aromi che salivano dai fornelli. Lei lo senti premere e non fece niente per sottrarsi al contatto. Anzi, si volto e lo bacio con ardore sulla bocca.
Le braccia di Gerardo la sollevarono, e si trovo quasi seduta sul ripiano della cucina. Divarico immediatamente le gambe, stringendogli le caviglie dietro la schiena. Senti per un attimo le sue mani accarezzarla sopra lo slip, poi le dita di Gerardo lo scostarono. Lo senti pulsare dentro di se.
«Posso esserti d’aiuto?» gli chiese Paola quando ebbero finito di cenare.
«In che cosa?»
«Per le tue ricerche.»
«No, grazie. Ho le idee pochissimo chiare io stesso, e non saprei come approfittare della tua offerta. No, davvero.»
«Capisco. D’altra parte che cosa potrei fare? Non ne so niente. Voglio dire, stai facendo un ricerca sui Templari, no?»
«Be’, e uno dei tanti argomenti che mi affascinano da sempre», taglio corto lui, sollevandola ancora di peso dalla seggiola e portandola verso il letto.
Gli era parsa la scusa migliore per chiudere li una conversazione che cominciava a farsi imbarazzante. Non aveva nessuna intenzione di mettere Paola al corrente di segreti che avrebbero potuto rappresentare un pericolo anche per lei.
Ma la notte che segui gli fece riconoscere con soddisfazione che era stata
Agosto 1312
«Uccidili non appena saremo salpati», ordino de Ceillac a Denis.
Lo scherano annui e, cercando di non farsi vedere dagli uomini di Bertrand, si avvio a passo spedito verso la grotta nella montagna.
Arrivatovi, ordino alle quattro guardie di rientrare al campo e, non appena fu solo con i prigionieri, apri le labbra nel sorriso di un cobra.
«Mi spiace, ma e giunto il vostro ultimo istante. Rivolgete pure una preghiera a Dio, ma fate in fretta», concluse, estraendo dalla cintola lo stesso pugnale con cui aveva sconciato gli indigeni sulla croce.
Luigi cerco per l’ennesima volta di fare forza sulle corde, con il solo effetto di far sanguinare le piaghe ai polsi e alle caviglie.
«Non so da quale di voi due cominciare», sibilo Denis. «A chi provochero il dolore di vedere la persona amata morire? Desidero comunque informarvi che anche il vostro piccolo bastardo tra poco subira la stessa sorte, anche se non dalle mie mani. Tra qualche giorno de Ceillac e Bertrand de Rochebrune attaccheranno il villaggio dei pagani nudi. Non intendono lasciare superstiti.»
Shirinaze prego Dio che suo marito capisse che cosa intendeva fare. Quindi fisso lo sguardo su Denis, muovendo le gambe in maniera provocante. «Ti prego», mormoro con voce roca. «Sono pronta a tutto per non morire.»
Nello sguardo dell’uomo si accese un lampo di lussuria. De Ceillac si era trastullato a suo piacimento con quel magnifico corpo, mentre lui non ricordava quasi come fosse fatta una donna. Inoltre, al forte non lo aspettavano: quando lo aveva lasciato, una delle due navi stava per salpare verso il territorio dei Calusa, con cui Bertrand e Raymond intendevano stringere un accordo per distruggere i Tequesta.
Con una risata bestiale si slaccio il cinturone di cuoio e taglio le corde alle caviglie della donna. Le sue mani sudice le sollevarono la gonna di pelle. Quando si butto su di lei, Luigi chiuse gli occhi per non vedere, sentendosi prendere da un odio incontenibile.
Mentre Denis si dimenava grugnendo e armeggiando con i suoi indumenti, Shirinaze gli accosto le labbra al collo. Sentendo l’umidore della sua lingua, l’uomo si abbandono su di lei con un gemito animalesco. Ma la lingua di lei si ritrasse fulminea, lasciando il posto ai denti. Mossi dalla forza della disperazione, affondarono nel collo di Denis.
L’uomo strabuzzo gli occhi, scattando in piedi e portando istintivamente le mani alla ferita. Il sangue della giugulare recisa zampillava come una fontana.
«Maledetta puttana», urlo il malfattore. Aveva capito che stava morendo. Con gli occhi velati dal terrore cerco il pugnale lasciato cadere prima di abbandonarsi alla prospettiva del piacere.
«Morirai con me», continuo con la voce ridotta a un gorgoglio, brandendolo. Ma gia aveva la vista confusa, le gambe molli.
Luigi si lascio rotolare sulla terra battuta, buttandosi fra lui e Shirinaze. Denis incespico sul suo corpo e cadde, perdendo la presa sul pugnale. Tento di rialzarsi, ma l’emorragia gli stava togliendo le forze.
Chiamate a raccolta le ultime energie, Shirinaze si tese in tutto il corpo finche non riusci a raggiungere e stringere tra i piedi il pugnale caduto. A poco a poco riusci a portarselo sotto il corpo e, con uno sforzo disperato, recise la fune che le serrava i polsi.
Impugnata l’arma, si tiro in ginocchio di scatto per fronteggiare il nemico, ma non ce n’era piu bisogno. Denis giaceva senza vita in una pozza di sangue.
Singhiozzando di sollievo, Shirinaze si butto su Luigi, tagliando anche le sue funi. Rimasero stretti a lungo senza dire niente, mescolando le loro lacrime di felicita.
Recuperate le forze, Luigi la condusse cautamente verso il luogo dove aveva nascosto la piroga dopo lo sbarco. Con nuovo, intenso sollievo scopri che per fortuna gli uomini di de Ceillac non l’avevano trovata. Poco dopo vogavano entrambi di lena, cercando di mantenersi fuori del campo visivo delle sentinelle del forte. Sull’orizzonte videro la sagoma di una nave che si allontanava.
Bertrand de Rochebrune teneva lo sguardo fisso sull’isola che si allontanava a poppa, immerso in cupi pensieri. C’erano troppe cose che non capiva. Sapeva che i Calusa erano feroci e sanguinari, nemici mortali dei Tequesta, che erano invece un popolo cordiale e gentile, assolutamente non violento se non provocato. Com’era possibile che durante la sua assenza fossero cosi drasticamente cambiati? Che cos’era successo?
Era ancora immerso in simili pensieri quando sbarcarono, raggiungendo il villaggio dei nuovi alleati.
La lingua dei Calusa consisteva in pochi suoni gutturali, accompagnati da un violento gesticolare, per cui riusci a capire almeno il senso di cio che Raymond de Ceillac stava dicendo al loro capo. Ma chiarissima era, da parte di entrambi, la violenza dei toni. Il suo senso di disagio, lungi dal placarsi, si ando addirittura intensificando. E divampo letteralmente quando Raymond de Ceillac lo informo che doveva appartarsi qualche minuto con il capo Calusa.
Il primo ad avvistare la piroga che risaliva l’ansa del fiume fu Tucla, l’anziano Tequesta a cui Luigi aveva affidato il figlio. Riconoscendoli, il buon indigeno lancio un grido di gioia, che pero gli si spense in gola quando si rese conto che i guerrieri partiti con Luigi non lo seguivano.
Fatta accostare con le ultime forze la leggera imbarcazione alla riva, i due si lasciarono cadere sulla sabbia, stremati. Ma la stanchezza scomparve come per incanto non appena sentirono la voce di Tucla, che videro venire verso di loro tenendo per mano Lorenzo. Riconosciuto il padre, il bambino si libero dalla presa per corrergli