sono rimasti sei fanti di marina e due sottufficiali dell’esercito esperti di armamenti nucleari. Gente di citta, che ha forse visto il mare per la prima volta in questo cimitero dove la mia nave e stata mandata a morire.»
In plancia, davanti ai monitor di controllo c’erano diverse sedie ergonomiche con la stoffa dei braccioli lisa. Il timone sembrava la cloche di un aereo, con la possibilita di dirigere nelle quattro direzioni cardinali.
Uradov fece accomodare l’ospite nella sala da carteggio e ci mise poco a venire al dunque.
«Mi e stato detto che cosa cerca, e penso di poterle essere d’aiuto. A bordo ci sono ancora otto SS 20 perfettamente armati. Se il ritmo del disarmo continuera a essere lo stesso, ci vorra una quarantina di anni perche si accorgano che mancano dieci testate. Se pure se ne accorgeranno mai. Posso venderle quello che cerca, ma si tratta di roba molto pregiata, per cui anche il prezzo…»
«Quanto?» taglio corto Iosif.
«Dieci milioni di dollari per me su un conto cifrato all’estero e altrettanti per il silenzio del mio equipaggio, che si occupera anche di smontare le testate e sbarcarle.»
Mediterraneo. Luglio 1999
«Avanti», disse il dottor Redjia, riscuotendosi dai suoi pensieri.
«Si ricorda di me, dottore?» chiese l’uomo entrato nel suo studio.
«Si, certo, abbiamo cenato insieme poche sere fa al tavolo del comandante. Il signor Goose, se non ricordo male. Si accomodi.»
Redjia indico con un sorriso la sedia di fronte alla scrivania, convinto di essere alle prese con la solita indigestione, un raffreddore provocato dall’aria condizionata.
«Quattro anni fa mi e stato diagnosticato un carcinoma infiltrante di tipo anaplastico. Insomma, un tumore maligno alla vescica. Mi sono sottoposto a due operazioni chirurgiche e a diversi cicli di chemioterapia, e il male sembrava essere regredito. Ho detto ‘sembrava’, perche da alcuni giorni ho una serie di disturbi ai polmoni, e questa mattina ho emesso sangue tossendo.»
«Si sdrai, signor Goose», disse il dottor Redjia, fattosi subito serio, «e si scopra schiena e torace.»
Pochi minuti piu tardi, eseguita una visita minuziosa, poso gli strumenti.
«Sono necessari alcuni test, signor Goose», sentenzio. «Analisi sofisticate, che qui a bordo non possiamo fare. E opportuno che lei sbarchi.»
Lionel scosse la testa con decisione: «Mi avevano avvertito che c’era la possibilita di recrudescenza del tumore, connessa con l’esistenza di metastasi. Se e cosi, non mi rimane molto da vivere, ma non voglio essere sottoposto a nuove torture. E una lotta impari. Preferisco restare qui e godere quanto rimane della mia vita. Contro il destino non si puo nulla».
«E una decisione che non mi sento di biasimare, signor Goose. Ma se vuole, e per quanto possa servire, potrei farle una radiografia al torace e rilevare l’eventuale esistenza di anomalie polmonari.»
«D’accordo, dottor Redjia. Ma vorrei una promessa: qualunque sia l’esito del suo esame, non dica niente a mia moglie. E la prima vera vacanza che ci concediamo, non voglio rovinargliela.»
Rodi. Giugno 1313
Virato a dritta dopo aver bordeggiato le frastagliate coste dell’Anatolia, la nave amalfitana affronto finalmente il braccio di mare che la separava da Rodi, spinta da un forte vento del nord.
«Guarda bene», disse Aniello a Luigi. «Vedrai una cosa che credo tu non abbia mai visto. I Cavalieri proteggono l’imboccatura del porto tenendo tesa una grossa catena tra le due estremita. Al nostro arrivo, dopo aver ben controllato dalle torri di vedetta chi siamo, la ammaineranno sul fondo.»
Luigi si porto a prua, curioso di vedere questa novita. A Ruad aveva sentito alcuni Cavalieri nordici — transitati per Costantinopoli durante il loro lungo viaggio, dopo aver raggiunto il mar Nero navigando sul Danubio — dire che anche quella mirabile citta era protetta da una catena tesa tra le due estremita dell’imbocco del Corno d’Oro, ed era molto curioso di vedere come cio avvenisse.
Poco fuori dal porto, la nave di Aniello fece una complicata serie di bordeggi in attesa di essere riconosciuta. All’imboccatura si vedevano chiaramente le onde frangersi contro le grosse maglie della catena, che fendeva la superficie.
Ma finalmente il rauco stridore degli argani si levo alto, avvertendoli che l’accesso al porto era consentito e la catena veniva abbassata.
Mentre la nave entrava nella stretta insenatura, Luigi di Valnure osservo incantato le mura che salivano direttamente dallo specchio circolare d’acqua. Sulla sinistra una sorta di lungo pennello di terra s’inoltrava nel mare per oltre cinquecento passi. Sopra quella sottile striscia di terreno, conclusa da una fortificazione, erano stati costruiti tredici mulini a vento.
All’estremita opposta dell’imboccatura del porto, invece, vedeva uomini e macchine edili intenti a edificare una torre di sagoma piuttosto singolare, simile a un fungo contornato da quattro torrioni.
La nave ormeggio nei pressi dei mulini, e quasi immediatamente ebbero inizio le operazioni di sbarco delle merci. Luigi scese a terra mescolandosi alla folla e si avvio verso la citta, dove entro per la Porta di Santa Caterina tra un fitto via vai.
Per raggiungere le «case» dei Cavalieri di San Giovanni non dovette camminare molto. Capi subito che erano divise a seconda della
Era un edificio di pregevole fattura, a due piani, in grosse pietre vulcaniche a incastro. Sul frontale spiccava il blasone della
«Chiedo di conferire con l’ammiraglio Corneliano de’ Scalzi», spiego. «Ho un dispaccio per lui.»
«Chi siete?»
«Il mio nome ha poca importanza. Ditegli che gli porto un messaggio riservato di un amico.»
Fu introdotto in una sala dalle volte alte e malamente illuminata, sebbene vi ardessero alcune torce anche a quell’ora avanzata.
Attorno a un tavolo erano riuniti alcuni Cavalieri, uno dei quali gli chiese con una voce profonda, in cui alle tonalita liguri si mescolava ormai la lingua franca dei cristiani del Levante: «Chi siete, e quale messaggio recate?»
«Sono Luigi di Valnure, ma il mio nome poco importa. E invece importante che io consegni al piu presto un messaggio per il quale ho navigato giorni e giorni. Posso avere l’onore di sapere con chi sto parlando?»
«Con la persona che cercate. Sono Corneliano de’ Scalzi.»
Il Cavaliere prese dalle sue mani l’astuccio di pelle e lo osservo con un’espressione che, non appena vide il sigillo, si trasformo immediatamente da distratta in seria.
«Lasciateci soli», ordino agli altri.
Quando furono usciti, Corneliano de’ Scalzi indico il nodo marinaro che spiccava sul sigillo.
«Rechi dunque un messaggio di Bertrand de Rochebrune?»
«Si, signore. E una richiesta d’aiuto. Bertrand e ingiustamente perseguitato dalle forze possedute dal Maligno.»
Corneliano lesse con grande attenzione la pergamena, quindi scosse la testa.
«Accorrere in aiuto del Tempio, eh? Non e una decisione che possa prendere io. Sulla testa di Bertrand e dei suoi pende una grossa taglia di re Filippo», disse. Quindi, posato il messaggio, continuo: «Ma la vecchia amicizia che mi lega a Bertrand… Aspettatemi qui».
Dopo una lunga attesa, Luigi lo vide tornare in compagnia di un altro Cavaliere dal viso scarno e dalle tonalita ieratiche.
Sul corpetto dell’armatura spiccavano il blasone di una casata nobiliare — tre torrioni vermigli con sopra appollaiati tre merli neri — e la croce bianca in campo rosso dei Cavalieri di San Giovanni.
Il tono di deferenza con cui gli si rivolgeva l’
«Sono il Gran Maestro Folco de Villaret, e sono lieto di accogliervi in questa nostra fortezza. Corneliano de’ Scalzi mi ha mostrato il messaggio di cui siete latore», continuo, sedendosi sullo scranno piu alto e indicando agli