in acque abbastanza tranquille. Maledizione, quando ho visto le vele di questi infedeli ero proprio convinto che fossero quelle dell’emiro. Ci hanno fatto soltanto perdere tempo.»
Roma. Una villa sull’Appia Antica. 5 luglio 1999
«E incredibile», esclamo Hans Holoff, seduto davanti al Gran Maestro. «O questo maledetto Gerardo di Valnure e un genio dei computer, o siamo noi a sbagliare qualcosa.
«Teniamo sotto stretto controllo da mesi ogni sua comunicazione, comprese quelle fatte con i telefoni cellulari. Ma non captiamo altro che conversazioni di lavoro. Abbiamo bobine e bobine di registrazioni, ma prive del minimo interesse. E ormai evidente che quello che ci interessa puo essere soltanto nascosto nei suoi scambi telematici con questa Sara Terracini. Ma comunicano in un linguaggio criptato che sembra impossibile scardinare.»
«Mi pare assurdo che nessuno dei nostri tecnici abbia scoperto la chiave. Che cosa fanno? Dormono?»
«Macche dormire. Sono i migliori. Ma dicono che il sistema di crittografia assomiglierebbe addirittura a quello del Mossad, che nessuno ha mai violato.»
«Abbiamo provato a intercettare anche le comunicazioni di questa Terracini?»
«Tutte le linee del suo laboratorio sono protette: qualsiasi tentativo di manomissione o intrusione verrebbe immediatamente scoperto. E comunque, se usa un linguaggio indecifrabile con Gerardo di Valnure, lo fara con tutti.»
«Abbiamo provato con le intercettazioni ambientali interne e a distanza?» chiese ancora il Gran Maestro, esibendo una singolare conoscenza delle tecniche spionistiche.
«E impossibile infiltrarsi nel laboratorio, quindi non ci si puo piazzare nessuna ‘cimice’. E i vetri schermati sono a prova di microfoni laser esterni.»
«Quindi non si puo fare altro che ricorrere ai vecchi metodi del pedinamento e dell’osservazione costante, nella speranza di un loro passo falso.»
Holoff annui, mentre il Gran Maestro concludeva: «Organizza un controllo assiduo di Sara Terracini, attimo per attimo, e occupati personalmente di Gerardo di Valnure. Non possiamo rischiare che tutto vada in fumo per questi due rompiscatole».
Roma. 6 luglio 1999
Oswald Breil non voleva far correre rischi a Sara. Conosceva personalmente da quando dirigeva il Mossad i due agenti messi a sua disposizione dall’ambasciata per la visita romana, ma che dire dell’auto di scorta con i quattro poliziotti italiani?
«Al prossimo semaforo rosso fa’ in modo di frapporre qualche auto tra la nostra e quella della scorta», disse all’agente che guidava l’anonima berlina scura dell’ambasciata.
L’uomo esegui abilmente l’ordine, e non appena l’auto fu ferma, Oswald sgattaiolo fuori dalla portiera di destra tenendosi piegato in due, dopo aver detto ai suoi sbigottiti angeli custodi: «Fate un bel giro turistico per la citta portando a spasso i poliziotti. Con questi vetri schermati non possono capire che non ci sono. Ci vediamo qui tra un’ora e mezzo precisa».
Pochi minuti piu tardi era su un taxi diretto all’Eur.
L’Intercity arrivo alla stazione Termini in perfetto orario, e Gerardo si mise in coda sotto la pensilina dei taxi, leggendo un giornale. Se anche avesse avuto qualche sospetto, non avrebbe mai potuto notare l’uomo che, a distanza di sicurezza, non lo perdeva d’occhio.
Sara lo aveva appena abbracciato con il solito calore, quando nel suo ufficio entro un omino. Macche omino, trasali Gerardo. Un
«Ti presento il mio amico Oswald Breil, vice ministro della Difesa di Israele», gli disse Sara Terracini, lasciandolo di stucco.
«Ah, si, certo», borbotto. «Ho letto un articolo sulla sua nomina.» Ma si riprese immediatamente. «Sono davvero onorato di conoscerla, signor vice ministro.»
«Ho chiesto d’incontrarla», venne subito al dunque Oswald, «perche sono convinto che le sue ricerche abbiano scoperchiato un nido di vespe sempre pronte a colpire. Insomma: ho validi motivi di ritenere che la setta medievale che faceva riferimento al nodo marinaro esista tuttora e sia straordinariamente organizzata, ramificata e potente.»
Hans Holoff aveva seguito il taxi di Gerardo di Valnure fino al laboratorio di Sara Terracini. Parcheggiata l’auto all’ombra di un grosso pino, si era preparato ad aspettare.
Ma erano trascorsi soltanto pochi minuti quando davanti al palazzo si era fermato un secondo taxi. Ne aveva visto smontare un omino, un vero e proprio
«Si e fatto tardi», disse Oswald dopo tre quarti d’ora. «Ho un appuntamento con il mio parigrado italiano. Ma da questo momento dobbiamo agire in stretto contatto e sempre usando le massime cautele per ogni nostra comunicazione. Se i miei sospetti sono giusti, vi stanno sicuramente tenendo sotto controllo. E forse anche me. Sara, mi fai chiamare un taxi, per cortesia?»
«Se non disturbo, Oswald», disse Gerardo, «verrei con lei fino a dove deve andare, per poi farmi portare in stazione. Il prossimo treno per Piacenza parte tra circa un’ora, e non vorrei perderlo.»
Il taxi arrivo dopo qualche minuto. Mentre montavano, notarono appena un jogger che si stava avvicinando di corsa sul marciapiede.
Nonostante il caldo torrido, portava una pesante tuta completa. La fronte era nascosta da una spugna anti sudore, e gli occhi da grossi occhiali scuri. Parte del viso era coperta da un asciugamano di spugna infilato nel colletto della tuta.
Arrivato di fianco al taxi, il jogger sembro mettere un piede in fallo sul marciapiede sconnesso e si appoggio alla vettura per non cadere.
Senza rendersi subito conto di che cosa fosse, Gerardo vide un involto scivolare sulle gambe di Oswald dal finestrino aperto. Ma si senti gelare il sangue non appena si accorse che sprigionava un fumo denso e acre.
Stupefatto, vide Breil, sempre impassibile, aprire di scatto la portiera, proprio mentre il taxi partiva, e gettare fuori l’ordigno. Avevano fatto pochi metri quando si senti il tonfo sordo di un’esplosione.
Sempre impassibile, Oswald indico all’autista del taxi dove voleva essere portato: un sottopassaggio a una traversa di distanza dal semaforo dove l’aveva lasciato l’auto dell’ambasciata.
13
Giugno 1313
La fusta dell’emiro Ibn ben Mostoufi navigava sulla rotta di casa provenendo dalle terre dei Mentesce. Aveva ancora davanti a se molti giorni di mare. Il carico l’appesantiva, riducendone di molto la velocita. Per questo aveva perduto il contatto con il resto della flottiglia.
«Relitto a prora», grido improvvisamente una vedetta. «All’erta, mi sembra che trasporti un naufrago.»
Ibn ben Mostoufi diede ordine di accostare.
«E un
Gli occhi di Ibn ben Mostoufi divennero due fessure. Come in un lampo gli torno alla memoria il cristiano che si gettava nel mare in tempesta per soccorrere sua figlia Shirinaze.