«Lasceresti che i gabbiani cavino gli occhi e strappino le carni a un uomo vivo quando potremmo salvarlo, anche se si tratta di un cristiano? E questa la carita che hai appreso dal Corano? Siamo tutti figli del Libro», grido con voce sdegnata. «Issatelo immediatamente a bordo e fate tutto il necessario per salvarlo.»

Dopo tre giorni e tre notti passati in balia delle onde, Luigi di Valnure era completamente anchilosato e alternava sprazzi di lucidita a lunghi periodi d’incoscienza. Si era cibato della poca carne salata rimasta attaccata al fondo della botte e aveva combattuto la disidratazione lambendo il liquido trasudato dalla carne. Ma anche quelle misere scorte alimentari erano finite: la morte era ormai prossima.

Quando nel riverbero infiammato del sole, che gli impediva di vedere, avverti uno sciabordio seguito da voci in una lingua sconosciuta, penso che fosse il delirio finale.

Invece si senti afferrare da braccia robuste e issare fuori dal barile.

Filippo IV, re di Francia, aveva adibito a sala del trono l’ampio salone del Tempio di Parigi dove, fino a pochi anni prima, concedeva udienza il Gran Maestro dei Templari.

Raymond de Ceillac entro nella stanza e gli s’inginocchio davanti, piegando la testa in segno di sottomissione.

«Quale impellente urgenza puo mai aver spinto un Templare a chiedere udienza al re di Francia?» gli chiese Filippo, facendogli magnanimamente cenno di alzarsi. La diserzione di un ex Cavaliere del Tempio non poteva che fargli piacere.

«Il desiderio di ottenere perdono e giustizia, Maesta», rispose de Ceillac con uno sguardo gonfio di perfidia. Ma non sarebbe mai arrivato a rivelare l’esistenza delle terre al di la dell’Oceano, dove, sistemati i conti con Bertrand de Rochebrune e Luigi di Valnure, avrebbe fatto ritorno per impossessarsi di sconfinate ricchezze.

«So dove si nasconde il traditore che piu di tutti state cercando. E conosco anche l’identita del suo piu fedele collaboratore.»

Filippo IV manifesto subito un vivo interesse: «Chi sarebbero costoro?»

«Anzitutto Bertrand de Rochebrune, che, sappiate, sta cercando di riorganizzare l’Ordine del Tempio. Poi Luigi, discendente dei Valnure, una famiglia di Piacenza, in Italia. Sono entrambi in Scozia, ospiti dei St Clair di Roslin.»

«Credi che i miei informatori non sappiano dov’e una persona cosi pericolosa? Intrattengo da tempo una fitta corrispondenza con il re d’Inghilterra al fine di convincerlo che la presenza di molti Cavalieri del Tempio in Scozia costituisce un pericolo anche per la sua augusta persona. La Francia non ha alcun interesse a invadere la Scozia per stanare un traditore.»

«Non avrei mai potuto nutrire dubbi sull’efficienza dei Vostri informatori, Vostra Maesta. Ma avete pensato al dopo? I Templari potrebbero trovare un altro rifugio. E precisamente a Piacenza, nelle proprieta di Lorenzo di Valnure, cugino di Bertrand de Rochebrune e padre di Luigi. Un giovane che, pur non avendo preso i voti, ha appreso fin troppo bene le costumanze sacrileghe dell’Ordine», continuo de Ceillac abbassando subdolamente la voce quasi non volesse che altri sentissero l’orribile segreto. «L’infame ha l’ardire di accoppiarsi con una infedele, una mora che si dice sia addirittura figlia del demonio Bafometto.»

«Che cosa proponi? Che il mio esercito oltrepassi le Alpi, scontrandosi con i Savoia-Acaia, con i Visconti di Milano e con tutti coloro che vedranno i loro territori minacciati?» Filippo IV scosse la testa e concluse: «No, non e possibile».

«Non occorre un esercito, signore. Basta agire con la stessa subdola astuzia dei Vostri nemici.»

«Cioe?»

«La Vostra augusta persona non dovra essere assolutamente coinvolta in questa vicenda. E la Vostra incommensurabile generosita sapra ricompensare chi Vi si e mostrato fedele.»

«Non farmi perdere la pazienza. Che cosa vuoi?»

«Cinquanta uomini che raggiungano l’Italia alla spicciolata, radunandosi ai miei ordini nei pressi di Piacenza.»

«E per te personalmente?»

«Il Vostro magnanimo perdono, Vostra Maesta», rispose de Ceillac posando nuovamente il ginocchio destro a terra. «E che la Vostra augusta autorita si adoperi affinche venga concessa a me la contea degli ignobili di Valnure quando li avro annientati.»

Palermo. 7 luglio 1999

La festa italiana a bordo della Queen of Atlantis era splendida, seppure con tonalita troppo folcloristiche. Sul palco del teatro l’orchestra eseguiva pezzi siciliani. Tutti i ristoranti e i ventuno bar servivano tranci di pizza e spaghetti, naturalmente scotti. Il clima era di grande allegria.

Ma a bordo c’erano almeno due persone che non si stavano divertendo. Il comandante Arthur Di Bono era troppo legato alle origini italiane per apprezzare che il suo Paese fosse ridotto a un concentrato di arie popolari e spaghetti scotti.

L’altro, e per un motivo ben piu grave, era Lionel Goose.

L’ansia che lo divorava era ulteriormente acuita dalla decisione di non rivelare niente a sua moglie.

Le radiografie effettuate dal medico di bordo avevano rivelato una infiammazione ai polmoni che di per se non avrebbe significato molto. Ma Lionel non aveva dubbi: era una nuova manifestazione del suo male.

Osservo a lungo dal parapetto il magnifico spettacolo delle luci del porto e della citta. Aveva deciso che era meglio non pensarci e godere la crociera, e cosi doveva fare.

Si giro verso Lisa, le sorrise, canticchiando senza parole la popolarissima aria dalla Cavalleria rusticana appena eseguita in sgangherata versione popolare dall’orchestra, e la invito a ballare.

Mediterraneo. Giugno 1313

Erano ormai nove giorni che Luigi di Valnure giaceva nel giaciglio concessogli dal comandante per ordine dell’emiro. Le sue condizioni andavano migliorando, ma non le angustie per il destino che lo aspettava. Sapeva di essere su una nave di mori, che quasi certamente, non appena raggiunto un porto, lo avrebbero trascinato in catene al primo mercato di schiavi.

Era ancora molto debole e cadeva in frequenti sonni profondi, popolati da incubi. Fu proprio durante uno di essi che due mani lo afferrarono per le spalle, scuotendolo e svegliandolo di botto.

Aperti gli occhi, vide il volto barbuto dell’emiro a poca distanza dal suo.

«Ripeti il nome! Ripeti quel nome!» si senti ingiungere in un francese stentato.

«Quale nome?» chiese.

«Hai detto Shirinaze. Il nome di mia figlia, scomparsa in mare da molti anni e sicuramente morta. Se fosse ancora viva, avrebbe infatti trovato il modo di farmi avere sue notizie.»

Allibito, Luigi vide l’espressione di profondo dolore dell’emiro velarsi di lacrime. Era mai possibile che la sua Shirinaze…

«Devo dirti una cosa, Ibn ben Mostoufi», replico, balzando a sedere sul letto. «Una storia straordinaria.»

Racconto quanto sapeva sul salvataggio di Shirinaze da parte di Bertrand de Rochebrune, ventidue anni prima. E spiego allo stupefatto emiro quale amore lo legasse a lei, e tutto cio che avevano dovuto soffrire, e come avessero rischiato di perdersi per sempre. Parlo del piccolo Lorenzo.

Ibn ben Mostoufi lo ascolto in un silenzio rapito, bevendo ogni particolare. Ma alla descrizione del nipote maschio, la vita che avrebbe prolungato la sua, cedette di schianto alla commozione, scoppiando in singhiozzi e abbracciandolo.

«Allah e grande!» esclamo tra le lacrime. E levati gli occhi al cielo, aggiunse con profonda solennita: «Nello stesso mare dove credevo di aver perduto mia figlia, oggi Tu, il Clemente, il Misericordioso, mi hai fatto ritrovare la luce della vita. Ti ringrazio, mio Dio».

«Se in tutti questi anni tua figlia non ti ha fatto avere sue notizie», gli spiego Luigi, «e soprattutto perche la terribile febbre che l’ha colpita dopo il naufragio le ha fatto perdere quasi completamente la memoria.»

«Siamo ormai a destinazione, padre del mio nipote. Ci fermeremo il tempo necessario per sbarcare le

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