Bertrand de Rochebrune per introdurmi con tre di voi nel castello. Diro che porto sue notizie. Nottetempo, dopo aver avvelenato il conte, metteremo fuori causa gli uomini di guardia al ponte levatoio. Al che farete irruzione nel castello, cogliendo di sorpresa i soldati».
Poche ore piu tardi il conte Lorenzo di Valnure stava giocando allegramente con il nipote, quando una guardia entro nella sala dicendogli: «Un uomo chiede di conferire con voi, signore».
«Digli che concedo udienza soltanto di mattina», replico il conte, continuando a giocare e fingendosi gravemente ferito dal fendente infertogli dal bambino con una spada di legno.
«Chiedo perdono», insistette la guardia, «ma ha detto di riferirvi che viene a nome di vostro cugino Bertrand.»
«Perche non me l’hai detto subito? Portalo qui. Perdonami, Lorenzo, ma adesso il nonno deve occuparsi di una cosa importante.»
Lorenzo accolse lo straniero da amico. Dopo che lo ebbe fatto parlare a lungo, si convinse che sapeva molte cose di suo cugino Bertrand, compresa l’esistenza della leggendaria terra di cui gli avevano tanto parlato Luigi e Shirinaze.
Mentre conversavano, pero, trasse distrattamente dalla cintura un cordoncino rosso, impreziosito con un filo d’oro zecchino. Sembrava che ci stesse giocherellando come con un rompicapo, ma in realta le sue dita stavano componendo un nodo. Se lo straniero conosceva davvero bene Bertrand, non poteva non sapere di che cosa si trattava.
Invece l’ospite non mostro la minima reazione, nemmeno quando lui gli poso davanti il cordoncino annodato. La procedura di riconoscimento tra «fratelli» avrebbe voluto che estraesse un cordone identico, assicurandolo a quello di Lorenzo con il medesimo nodo.
Da tutto cio che mi ha detto, riflette perplesso l’anziano conte, quest’uomo e senza dubbio un Templare. Come mai, allora… Evidentemente non si e ancora affiliato al nuovo Ordine.
Era comunque il caso di agire con prudenza. Quindi non rivelo all’ospite che Shirinaze e il piccolo erano al castello, ne che si sperava Luigi li raggiungesse entro qualche giorno.
«Sarete stanco, cavaliere», concluse. «Vi ho fatto preparare una stanza, e i vostri uomini troveranno alloggio nelle scuderie. Riposate qualche ora. Ceneremo al calar del sole.»
Raymond de Ceillac torno pero nel salone con notevole anticipo. Controllato attentamente che fosse deserto, si accosto furtivamente al tavolo dove avrebbero pranzato, su cui erano gia state sistemate alcune brocche in peltro. Presa quella del vino, vi verso una pozione mortale preparata da un alchimista. Rimessala precisamente dove l’aveva trovata, prese ad aggirarsi per la sala con aria innocente, fingendo un grande interesse per i trofei di caccia appesi alle pareti.
E quando poco dopo Lorenzo di Valnure lo raggiunse, dopo un breve scambio di battute, esclamo con falso calore: «E d’uopo un brindisi a vostro cugino, il mio indimenticabile maestro e comandante Bertrand de Rochebrune».
«Molto giusto», convenne immediatamente Lorenzo, prendendo la brocca piena di ottimo rosso proveniente dai suoi poderi, riempiendo due calici e portandosi il suo alla bocca.
In quel momento la porta del salone si apri, e Shirinaze scruto incredula l’uomo che stava brindando con suo suocero. Si fermo cosi soltanto qualche istante, poi esplose in un urlo.
Lorenzo di Valnure rimase come impietrito, con il calice sollevato nella mano destra e un’espressione interrogativa. Ma gia il traditore aveva estratto uno stiletto dalla cintura e gli si era fatto addosso. La lama si conficco nel fianco di Lorenzo, che si accascio a terra, mentre Shirinaze afferrava una delle spade appese alla parete.
De Ceillac schivo un primo fendente. La donna sollevo a fatica la spada, pronta a vibrare un secondo colpo, ma il suo avversario si mosse veloce e letale come un aspide.
La lama dello stiletto baleno nell’aria e penetro nel costato della giovane fino all’elsa. Con l’ultima forza che le rimaneva, Shirinaze riusci ugualmente a vibrare il colpo prima di accasciarsi senza vedere piu niente.
Stava calando il buio, ma Luigi e Ibn Ben Mostoufi decisero di raggiungere ugualmente il castello, a cui mancavano ormai soltanto poche miglia.
La torre comparve finalmente, svettando sopra gli alberi, e Luigi la indico all’emozionato padre della sua sposa: tra poco avrebbe potuto riabbracciare la figlia creduta morta. Spronarono i cavalli al galoppo, frementi per il desiderio di raggiungere il maniero.
Le urla di disperazione che provenivano dagli appartamenti li raggiunsero quando erano ormai a poca distanza dal ponte levatoio.
Luigi lo supero di slancio e balzo subito a terra, precipitandosi verso la scala che conduceva nel castello. Ibn ben Mostoufi lo raggiunse nel salone, trovandolo inginocchiato accanto a Shirinaze morente.
«Me ne vado, amore mio», gli disse la sventurata con l’ultimo filo di voce. «Promettimi che avrai cura di nostro figlio.»
«Rimani con noi, Shirinaze», grido Luigi disperato, con gli occhi pieni di lacrime. «Guarda chi ti ho portato.»
Ibn ben Mostoufi si chino sulla figlia che amava come la sua stessa vita e che la sorte malvagia gli stava per rapire una seconda volta, e questa volta per sempre. Le sfioro il viso con intensa dolcezza.
Gli occhi di Shirinaze lo fissarono qualche istante, annebbiati. Ma improvvisamente s’illuminarono dell’ultima lucidita che precede la morte. I recessi piu oscuri della sua memoria parvero colpiti da un raggio di luce.
«Padre! Padre!»
Ibn ben Mostoufi scoppio in singhiozzi, portandosi la sua mano alla guancia in una stretta disperata.
«Come sta il conte Lorenzo?» riusci ancora a chiedere la morente a Luigi.
«Ha una ferita grave, ma i suoi domestici lo stanno curando. Stai tranquilla, amore mio, non agitarti. Se e ancora vivo lo deve a te.»
«E stato molto buono con noi.» E improvvisamente gli occhi della poveretta si riempirono di nuovo terrore.
«E… de Ceillac?»
Inorridito, Luigi guardo per la prima volta il corpo steso sul pavimento. Non lo aveva riconosciuto. La testa era spaccata da una fenditura che la divideva in due parti quasi uguali. La faccia era lorda di sangue coagulato, che colava fino a terra.
«E morto», mormoro.
«Lo maledico», disse Shirinaze con un ultimo, straziante sforzo. «Lo maledico per tutto il male che ci ha fatto. Abbraccia per me Bertrand, marito mio: devo a lui questi anni di vita bellissima con te. Maledico invece ancora chi ha disonorato gli ideali dei Cavalieri del Tempio. Ti supplico, Luigi, sii vigile e coraggioso, impedisci che altri, usurpando il nome dei Templari, possano in futuro utilizzarlo per i loro turpi fini. Porta a nostro figlio l’ultimo bacio della sua mamma. E Dio mi perdoni», concluse con un filo di voce divenuto ormai quasi impercettibile.
E i suoi occhi si chiusero per sempre.
New York. 13 luglio 1999
Maggie Erriot pensava che la difficolta ad addormentarsi fosse dovuta all’eccitazione per la partenza, l’indomani mattina. Ma poi capi che stava arrivando la
Vide una donna morente. Aveva la pelle scura come la sua e un viso giovane e dolce, ma profondamente segnato dal dolore. Stava morendo tra le braccia di due uomini, in una sala dalle pareti di pietra, illuminata da torce e bracieri. Le sue ultime parole le s’impressero nella mente: «
Pat Silver, in splendida forma, spingeva con passo atletico il carrello portabagagli nella sala partenze internazionali dell’aeroporto Kennedy di New York. Tra i viaggiatori diretti a Roma vide il volto amico di Derrick Grant. I due vecchi amici si salutarono con calore.
Completato il check-in, si accomodarono nella zona riservata ai viaggiatori di prima classe, entrambi con lo sguardo fisso sull’entrata.
«Sono passati vent’anni», disse Pat con espressione quasi sognante. «Come vola il tempo. Ma eccoci di
