«Mi scusi, colonnello, ma le leggi internazionali non prevedono questa eventualita, a meno che io stesso non presenti sintomi di…»

Mills infilo la destra nella grossa borsa portadocumenti che aveva con se, e i due pensarono che ne volesse estrarre un verbale di sequestro della nave, o qualcosa che legittimasse la sua intenzione.

Quando invece la destra del colonnello Mills ricomparve, stringeva una mitraglietta Skorpion.

«Assumo il comando della nave con i miei uomini, Di Bono», ripete in tono minaccioso.

Annie non attese che dall’interno della stanza arrivasse una risposta: cio che aveva scoperto era troppo importante per non comunicarlo immediatamente al comandante, al medico di bordo e al personale dell’Organizzazione Mondiale della Sanita appena sbarcato.

Quando fu entrata, non si accorse che gli uomini in tuta stagna avevano nascosto precipitosamente qualcosa dietro la schiena, attribuendo alla sua improvvisa intrusione il tono d’imbarazzo che regnava nella stanza.

«Chiedo scusa se interrompo la vostra riunione», si precipito a dire, «ma ho scoperto una cosa che modifica radicalmente la prassi da seguire. Non si tratta di filovirus ne di epidemia, ma di un veleno che provoca intossicazione e spesso morte con sintomi simili a quelli dei virus Eboia e Marburg.

«E un veleno che viene usato anche in anestesiologia e proviene da un serpente molto comune in Birmania e Laos: la vipera di Russell. Qualcuno lo ha iniettato nel morto e nei tre malati con una siringa, o con chissa quale altro sistema.

«Dobbiamo quindi cercare un omicida, non un agente virale.»

E Annie stava per esibire l’agenda di Gerardo di Valnure, quando uno degli uomini in tuta bianca la interruppe.

«Brava», esclamo la voce del colonnello Mills, senza che la sonorita metallica riuscisse a nascondere il tono ironico.

Soltanto allora Annie si accorse delle armi che la tenevano sotto tiro.

«Che cosa succede? Non capisco…» mormoro.

«Pare che questi signori non siano cio che credevamo, signorina Ferguson», le spiego il comandante Di Bono in tono di assoluta calma. «Sono semplicemente criminali che vogliono impadronirsi della mia nave.»

Gerardo e Maggie avevano atteso fuori dell’improvvisato laboratorio che Annie ricomparisse con l’esito delle sue analisi.

Poi l’avevano vista uscire di corsa con un’espressione di trionfo. Dopo aver semplicemente spiegato che non c’era nessun pericolo di epidemia, era corsa via dicendo che doveva immediatamente riferire la notizia al comandante, al medico di bordo e agli uomini dell’Organizzazione Mondiale della Sanita.

Quindi erano tornati sui ponti superiori ad aspettare che Annie li raggiungesse e desse loro qualche altra spiegazione.

Erano circa a meta del corridoio per gli ascensori, quando da dietro un angolo sentirono arrivare le voci di due uomini che parlavano in russo.

«Che cosa ne debbo fare dei malati?» chiese uno di essi.

«La dose di veleno che ho loro iniettato non lascia scampo, ma e inutile perdere tempo. Falli fuori», rispose l’altro in tono gelido.

Con un trasalimento, a Gerardo parve di riconoscere la voce di Holoff. Senza dire niente, prese Maggie per un braccio e la tiro con se in uno sgabuzzino usato dal personale.

Quando i due uomini ebbero svoltato l’angolo del corridoio, li vide attraverso uno spiraglio della porta: uno indossava la tuta stagna bianca della task-force, l’altro invece era Holoff.

L’uomo in tuta bianca entro nell’ospedale, e pochi istanti piu tardi i colpi di una mitraglietta, pur attutiti dal silenziatore, arrivarono fino al ripostiglio.

I passeggeri e tutto l’equipaggio, a esclusione del turno in plancia — annuncio la voce del comandante attraverso gli altoparlanti —, dovevano riunirsi nella sala teatro e in quella del bar principale.

Che noia questa epidemia, penso Pat Silver, girandosi dall’altra parte nel letto. Si, sarebbe senz’altro andato in uno dei due punti di ritrovo, ma piu tardi. Adesso voleva dormire.

In quello stesso momento, dal ponte superiore del Blue Sapphire si stava alzando un elicottero a due posti. Accanto al pilota sedeva Iosif Bykov con la sua solita espressione di gelo.

16

Roslin. Marzo 1314

«Andate pure avanti, Cavalieri», disse la contessa de Serrault con voce affaticata. «Io vi raggiungero con calma. Non voglio che il mio povero cuore ceda proprio adesso che sto per riabbracciare mio figlio. Andate, andate, e ditegli di venirmi incontro al piu presto. Sono ansiosa di vederlo.»

Era un’esortazione strana da rivolgere a due Cavalieri del Tempio, il cui Ordine era stato fondato proprio per accompagnare e difendere i viandanti sulle strade pericolose dei pellegrinaggi. Ma il castello dei St Clair era ormai in vista, imponente. Bertrand e Luigi spronarono quindi i cavalli alla sua volta.

Dai torrioni del castello pendevano stendardi con lo stemma del re di Scozia, Robert the Bruce. Un leone dalla lunga coda, iscritto in un anello formato da una correggia, troneggiava sopra il portale.

Bertrand de Rochebrune chiese ad alcune persone incontrate lungo la via quale fosse il motivo di quell’aria festosa, e gli fu risposto che il re di Scozia era li onde arruolare uomini per lo scontro con Edoardo d’Inghilterra, ormai imminente, oltre che risolutivo per l’indipendenza della Scozia.

Non appena varcarono il portale del castello, Jean Marie de Serrault fu tra i primi a correre loro incontro. Era piu pallido e tremante del solito. Bertrand non gli diede il tempo di aprire bocca, dandogli subito la bellissima notizia.

«Ti abbiamo portato una sorpresa dalla Francia, amico mio», gli disse. «Tua madre e partita con noi e sta per raggiungere il castello. Ti chiede di correrle incontro.»

Pazzo di felicita, Jean Marie inforco immediatamente un cavallo e lo sprono verso la strada per Edimburgo.

Raggiunta l’ala principale del palazzo, Bertrand e Luigi si videro venire incontro il barone St Clair.

«Fraterni amici», esclamo il nobile scozzese. «Non sapete quale gioia sia rivedervi. Per darvi il benvenuto ho interrotto una riunione con Robert the Bruce, il re di Scozia. Presto, venite, il re mi ha chiesto di condurvi da lui.»

Ebbro di felicita, Jean Marie de Serrault galoppava a spron battuto sulla strada per Edimburgo. Sua madre era l’unica persona cara che gli fosse rimasta. Aveva temuto per la sua vita: ogni messaggio che aveva tentato di farle avere non era mai arrivato a destinazione.

Da alcuni amici di Parigi aveva poi saputo che era caduta in disgrazia, e che i suoi beni erano stati requisiti da Filippo il Bello. Ma adesso sua madre era a poche miglia di distanza. I tacchi degli stivali spronarono di nuovo i fianchi del cavallo in un tratto di foresta rigogliosa.

Uscendo da una curva del sentiero, vide un fagotto in mezzo alla carreggiata. Sulle prime penso a un mucchio di stracci. Poi capi che si trattava di un corpo, prono. Freno bruscamente il cavallo e smonto.

Quando lo giro, non riusci a trattenere un grido di disperazione. Era sua madre. Un fendente le aveva spaccato il cranio fin quasi alle sopracciglia.

Jean Marie si senti gelare in tutto il corpo, e le gambe gli cedettero di schianto. Non si accorse nemmeno che dodici soldati inglesi lo avevano circondato.

Mediterraneo meridionale. 22 luglio 1999

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