In quello stesso istante lo schermo del terminale si oscuro. Vi apparve una serie di numeri e lettere in sequenza del tutto casuale, poi si spense.

«Un virus», esclamo Pat Silver.

«Un virus?» chiese il comandante in tono sconfortato.

«Si, e temo che siano stati contagiati tutti i terminali. Non appena si tenta di manipolarne uno, o anche soltanto di accedere all’unita centrale, il virus si attiva e neutralizza il computer utilizzato.»

«Vedo che se ne intende, Silver. Puo tentare di trovare un rimedio?»

«Provo, comandante, ma non sara facile.»

In quel momento Pat avverti una spinta all’indietro: obbedendo a chissa quale comando programmato, la Queen of Atlantis aveva fatto un balzo in avanti e a poco a poco aumento la velocita fino a raggiungere quella massima.

A bordo della Sa’ar 5 l’ufficiale israeliano indico la traccia sul radar: «Hanno aumentato l’andatura, signor vice ministro. Adesso stanno navigando alla velocita massima, circa ventiquattro nodi. Continuando cosi s’infileranno di precisione nell’imboccatura del porto di Haifa».

Ecco il disegno dei terroristi, penso Breil, inorridito: centoventimila tonnellate di ferro, cariche di testate nucleari, lanciate contro una citta a circa cinquanta chilometri l’ora.

«Evacuazione immediata della zona portuale di Haifa», ordino all’istante. Ma sapeva che era inutile: dieci testate nucleari potevano distruggere quasi tutto il territorio di Israele.

«Pensa che si tratti di una missione suicida?» chiese Erma.

«E possibile. A meno che non siano invisibili, i terroristi devono essere ancora a bordo.»

«Potremmo tentare di mandare a fondo la Queen of Atlantis prima che raggiunga il porto», intervenne Erma.

«Non e possibile», ribatte Oswald. «Condanneremmo con assoluta certezza gli ostaggi, senza averne nessuna per quanto concerne l’affondamento della nave. La Queen of Atlantis ha una compartimentazione stagna che la rende praticamente inaffondabile. Inoltre, anche ammesso che riuscissimo a farla colare a picco, non limiteremmo di molto l’esplosione nucleare.»

«E vero», confermo mestamente il comandante della corvetta. «Il fondale e piatto per trenta miglia dall’imboccatura del porto, con una profondita massima sui settanta metri. Troppo pochi.»

Le sirene non suonavano a Haifa dai terribili giorni della guerra del Golfo. Non appena il loro lugubre suono si diffuse, la citta si paralizzo. Mentre auto militari munite di altoparlante diffondevano l’ordine di evacuazione della zona del porto, tutti corsero ordinatamente verso i rifugi.

La torre della Facolta di Medicina «Bruce Rappaport» sulla penisola di Bat Galim, a destra dell’imboccatura del porto, era ormai visibile a occhio nudo. Di Bono poso il binocolo con un’aria preoccupata.

«Se non riusciamo a fare qualcosa, la Queen of Atlantis entrera a tutta velocita nel porto, infilando la prora nei pressi del museo ferroviario.»

Pat era seduto di fronte a un terminale. Ne aveva gia verificati quattro, e il risultato era sempre stato lo stesso: un virus rendeva impossibile ogni comunicazione con il sistema centrale di controllo.

Scosse la testa. «Sto perdendo ogni speranza, comandante. Tutti i terminali sono infettati. Non appena tento di collegarmi con il computer centrale, il virus danneggia irreparabilmente il terminale a cui sto lavorando. E anche se dovessi riuscire a superare il virus, chissa quali diavolerie hanno inventato quei terroristi per proteggere le istruzioni che hanno programmato.»

«Se i terroristi non lo hanno preso, nella mia stanza dovrebbe esserci ancora il mio computer portatile», disse improvvisamente Gerardo di Valnure. «Potremmo provare con quello.»

«Non credo che il problema risieda esclusivamente nell’unita periferica», obietto Pat. «Il virus s’innesca quando si cerca di entrare nel computer centrale. Il programma riconosce i terminali collegati ed e stato predisposto per disattivarli. A meno che…» E Pat si rivolse di scatto a Di Bono. «Vengono gestiti dal computer centrale anche i servizi nelle stanze? Voglio dire, quelli a cui si puo accedere attraverso la tastiera che c’e in ogni cabina?»

«Certo», rispose immediatamente Di Bono.

«Non ci resta che tentare quest’ultima possibilita. Presto, Gerardo, andiamo nella sua cabina», concluse Silver.

Bannockburn. Scozia. 23 giugno 1314

Gli uomini di Robert the Bruce si mossero alle prime luci dell’alba e, raggiunta la postazione, posarono a terra i lunghi pali appuntiti, mimetizzandoli con foglie e sterpi.

La prima carica della cavalleria inglese sembrava un’onda inarrestabile, ma quando li ebbero a pochi passi, gli scozzesi sollevarono le punte acuminate degli schiltron.

Molti degli animali e dei Cavalieri furono trafitti, e la prima carica fu respinta senza che gli scozzesi arretrassero di un solo passo. Le successive servirono soltanto a decimare le forze inglesi.

Rinfrancati, gli scozzesi caricarono a loro volta. I rumori della battaglia divennero assordanti. Al contrario del re d’Inghilterra, quello di Scozia dava l’esempio ai suoi, spronando il cavallo contro il nemico a spada sguainata.

Ma gli inglesi erano troppo superiori numericamente, e il valore dei soldati di Robert non avrebbe mai potuto compensare la differenza.

Gli scozzesi cominciarono a indietreggiare verso le colline, mentre gli inglesi si raccoglievano per sferrare una nuova carica.

Proprio allora Bertrand de Rochebrune ordino la carica. Portava il bianco mantello crociato sopra l’armatura lucente, come i quattrocento Cavalieri che lo seguivano. Il rumore del galoppo copri il fragore della battaglia, facendo tremare la terra. Gli uomini di Bertrand piombarono sugli inglesi disorientati, seminando panico e morte.

Contro ogni previsione, la battaglia si volse a favore degli scozzesi. Robert the Bruce conservo il trono di Scozia e la sua terra rimase libera.

Mediterraneo meridionale. 23 luglio 1999

«Fatto!» esclamo Pat Silver con la fronte imperlata di sudore. Aveva appena finito di collegare con grande pazienza la matassa di fili colorati del cavo del televisore ad altrettanti fili che uscivano da una porta del computer portatile di Gerardo di Valnure.

«Adesso incrociate le dita e pregate che funzioni», continuo.

Quindi comincio a digitare i comandi sulla tastiera del portatile, finche non esclamo in tono di trionfo: «Siamo nel computer centrale. Adesso vediamo se trasmette il virus anche a questo sistema periferico».

Segui qualche momento di silenzio carico di tensione, poi Silver riprese: «I terroristi non hanno pensato ai servizi del sistema televideo di bordo. Erano probabilmente convinti che la tastiera del televisore fosse troppo debole per modificare i programmi della memoria centrale, e avevano ragione. Non potevano prevedere questo nostro collegamento volante con un computer portatile. Adesso vediamo quali difese hanno escogitato per proteggere i comandi che hanno impartito alla macchina».

E s’immerse di nuovo con la massima concentrazione nel labirinto di chip e microprocessori.

«Eccoli qui!» esclamo finalmente, indicando il video del computer portatile di Gerardo. «Ci sono tre gruppi di programmi, protetti da altrettante password. Se avessimo un programma di ricerca delle password e il tempo di farlo girare, non sarebbe difficile superare lo scudo protettivo dei terroristi, ma purtroppo non abbiamo ne l’uno ne l’altro.»

«E tra poco piu di cinque minuti», commento tetramente Di Bono, «la mia nave si schiantera contro Haifa.»

«Cinque minuti alla collisione, signor vice ministro», annuncio l’ufficiale della Sa’ar 5: la traccia sul radar si stava avvicinando a grande velocita alla terraferma.

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