Bertrand gli corse subito incontro, abbracciandolo.

«Amico mio», esclamo. «Che cosa ti era successo?»

Poi si rivolse al re di Scozia: «Permettete, Sire. Devo al nobile Jean Marie de Serrault la vita e quanto ancora sopravvive dell’Ordine del Tempio. Chiedo il permesso di farlo sedere alla Vostra tavola».

Robert espresse il suo consenso con un cenno, e Bertrand prese sottobraccio l’amico, quasi sorreggendolo, per guidarlo verso la tavola imbandita.

«Ma tua madre?» chiese. «Dov’e?»

La luce di follia nello sguardo di Jean Marie si fece ancora piu livida. «Assassino!» grido. La sua lama brillo fulminea alla luce dei fuochi e si conficco nella gola di Bertrand de Rochebrune.

Tutti rimasero qualche istante impietriti, quindi si scagliarono sull’attentatore, disarmandolo. Ma era tardi: il Gran Maestro del Nuovo Ordine del Tempio giaceva a terra senza vita.

18

Mediterraneo meridionale. 23 luglio 1999

«Uno dei passeggeri si e offerto volontario per tentare di disinnescare le testate, signor vice ministro», disse il comandante Di Bono nel microfono.

«I nostri esperti ci hanno detto che, una volta attivate le procedure, e pressoche impossibile disinnescare una testata sovietica del tipo di quelle che avete a bordo», rispose Oswald. «Pero…» continuo. «Mi viene in mente… Certo! Il vostro passeggero potrebbe cercare di prolungare il tempo programmato per la detonazione. Fatelo provare. Le testate dovrebbero essere nella stiva quattordici, nascoste in contenitori per frigoriferi professionali.»

Di Bono indico immediatamente sulla pianta della nave la stiva quattordici e, fermando Pat, Gerardo e Lionel Goose che gia si stavano precipitando in quella direzione, disse: «Cercate di darmi quanto piu tempo potete per organizzare le operazioni di abbandono nave. Prendete con voi una radio portatile per tenervi in contatto con Oswald Breil. Potrebbe esservi d’aiuto. In bocca al lupo».

«Adesso tocca a lei, Bernstein», stava dicendo in quel momento Oswald.

«Grazie, maggiore», rispose il capitano, che non sarebbe mai riuscito a smettere di rivolgersi a Oswald con il suo vecchio grado del Mossad. Non ci era riuscito quando l’omino era stato messo a capo dell’«Istituto» e non ci riusciva adesso.

Bernstein poteva essere considerato una vera e propria simbiosi di computer e cervello umano. Conosceva ogni particolare di qualsiasi programma, nessun marchingegno elettronico aveva segreti per lui.

Oswald si congratulo con se stesso per averlo fatto venire li. Non era un vero e proprio artificiere, ma le sue capacita sarebbero di sicuro state preziose per il tentativo di manomettere le spolette delle testate nucleari.

La stiva quattordici era lunga circa quaranta metri e larga quanto tutta la nave. Il materiale vi era disposto in perfetto ordine e assicurato con cinghie per impedirne lo sbandamento in caso di rollio. Le cinque casse di frigoriferi erano in un angolo. Videro subito che erano state aperte.

Gerardo premette il pulsante laterale della radio.

«Sono Gerardo di Valnure, signor vice ministro. Abbiamo un problema.»

«Gerardo, che piacere saperla salvo. Qual e il problema?»

«Abbiamo aperto le porte dei frigoriferi. Sono tutti e cinque vuoti, ma in un angolo abbiamo rinvenuto un solo ordigno di fabbricazione sovietica. I terroristi, prima di abbandonare la Queen of Atlantis, hanno provveduto a saldare il contenitore della bomba alle strutture portanti della nave. Non sembra possibile rimuoverla: ci vorrebbe troppo tempo. Secondo il timer mancano nove minuti e dieci secondi allo scoppio.»

«Per adesso occupatevi soltanto di quel timer. Se le altre testate sono ancora a bordo, e possibile che non siano state innescate, ma che debbano esplodere per ‘simpatia’ dopo la prima.»

Ma nella mente di Oswald lampeggio immediatamente un nuovo pensiero. I terroristi potevano aver nascosto le altre testate in una zona diversa della nave dopo averle innescate. Oppure…

Oppure ne avevano ancora nove con se, e a questo punto chissa dov’erano nascosti.

Sebbene esausto, l’equipaggio rispose prontamente agli ordini del comandante diffusi dagli altoparlanti nel teatro: prima ancora che le pesanti porte antincendio fossero aperte, avevano gia incanalato i passeggeri per risparmiare tempo ed evitare il panico durante l’abbandono della nave.

Lasciata la plancia, Di Bono si porto verso la fiumana di persone che si dirigeva con calma verso i punti di raccolta.

Tenendo l’orecchio costantemente accostato alla radio portatile, diede un’occhiata all’orologio. Erano gia trascorsi quasi dieci minuti da quando gli altri tre erano andati a cercare gli ordigni.

«Mancano due minuti e dodici secondi allo scoppio, capitano Bernstein», comunico via radio Gerardo di Valnure.

«Dica agli altri di ritentare la procedura. Secondo le informazioni appena pervenute dall’ente nucleare russo, bisogna ruotare il timer di mezzo giro a sinistra. Il movimento dovrebbe rendere possibile una parziale estrazione del congegno. Sul cilindro in acciaio ci sono tre pulsanti. Vanno premuti nell’ordine che vi abbiamo appena comunicato. A quel punto dovrebbe essere possibile modificare il timer e prolungare il tempo sino a tre ore.»

La prima delle venti scialuppe brandeggio fuori bordo per alcuni istanti. Per precauzione Di Bono aveva preferito che non vi fossero passeggeri: nessuno poteva sapere quali reazioni avrebbe avuto a quella velocita lo scafo al contatto con l’acqua.

Sulla scialuppa, il marinaio incaricato di manovrare i cavi degli argani commise un errore, lascando per prima la cima di prora. Non appena tocco l’acqua, l’imbarcazione compi una piroetta, impennandosi e capovolgendosi.

«Accendete il motore prima di toccare l’acqua e mettete le manette avanti tutta. Una volta raggiunto il mare, mollate per primi i cavi di poppa e girate il timone verso il largo. Soltanto allora liberate la prora della scialuppa. Il motore al massimo dei giri dovrebbe essere sufficiente a ridurre l’impatto», ordino Di Bono.

«Dio sia lodato! Siamo riusciti a reimpostare il timer», grido Gerardo nel microfono. «Quindi abbiamo tre ore di tempo, sempre che le altre testate non siano a bordo e innescate.»

«Possiamo soltanto aspettare. Dovrebbero mancare poco meno di quarantacinque secondi allo scoppio.»

«Come procedono le operazioni di sbarco dei passeggeri?» chiese Gerardo.

«Vediamo alcune scialuppe di salvataggio sospese lungo il fianco della nave. Mi sembra che tutto proceda con ordine. Intanto stanno arrivando tre navi per raccogliere i passeggeri. Certo… sempre che non si verifichi l’irreparabile.» E Oswald si zitti, mentre Bernstein scandiva i secondi.

«Cinque… quattro… tre… due… uno… zero!»

I due uomini lanciarono un grido di esultanza. La Queen of Atlantis non era saltata in aria e continuava a navigare verso il mare aperto.

«Tutto bene, Gerardo», disse poi Breil nel microfono. «Avete il tempo di condurre la nave verso il punto che vi indicheremo. Poi dovrete abbandonarla anche voi.»

Era stata sbarcata quasi la meta dei passeggeri, quando Di Bono vide Maggie.

«Signora Hassler», la chiamo.

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