Alberto Vite aveva appena spiegato a Oswald che, secondo quanto appena saputo dalla centrale, tra loro c’erano personalita della finanza internazionale, uomini di governo e persino un cardinale.

«I conti non tornano», disse Breil scuotendo la testa.

«In che senso?» chiese l’alto magistrato italiano.

«Nel senso che uno di questi personaggi, morendo, mi ha rivelato che il Consiglio del Nuovo Ordine e composto da dodici membri. Piu il Gran Maestro, fa tredici. Probabilmente il consigliere morto davanti a me non e stato sostituito, e quindi si torna a dodici. Ma questi cadaveri sono soltanto undici.»

Il colonnello responsabile operativo dell’operazione si raschio la gola. «Chiedo scusa se vi interrompo, signori, ma uno dei miei uomini ha trovato questo. Era posato a un capo del tavolo.»

Sul foglio si leggeva una sola parola: Hoover.

Gli inquirenti italiani riuscirono a dare conferma ai sospetti di Breil soltanto in tarda mattinata: grazie a sofisticate apparecchiature a risonanza magnetica, gli uomini di Vite erano riusciti a scoprire un passaggio segreto che sbucava nelle fogne.

Oswald Breil era pero gia lontano da Roma.

Da quante ore non dormo? si stava chiedendo mentre accendeva il computer. Chissa quando avrebbe potuto farlo. Il capo della setta era ancora libero e in grado di nuocere, quindi non poteva perdere tempo.

La sua mente, adesso, era tutta concentrata su una sola parola: Hoover. La parola scritta sul foglietto trovato nella villa romana. Che cosa poteva mai significare?

Digitate tutte le password necessarie ed espletate tutte le procedure di sicurezza, si collego attraverso una linea sicura con l’archivio del Mossad, cercandovi ogni possibile occorrenza della parola.

Ottenute le risposte, dovette scartarne diverse decine, connesse con la notissima marca di aspirapolvere, ma finalmente la sua attenzione si soffermo sulle parole chiave di una delle schede. Accanto a Hoover si leggeva: «diga».

«Diga», mormoro, intento. «Diga», ripete. Poi il suo sguardo s’illumino. «Chissa…» Gli era venuta in mente una delle espressioni biascicate da Didier Fosh prima di morire.

Apri la scheda del Mossad e la studio attentamente, accigliandosi. Esponeva nei minimi dettagli le caratteristiche di una delle dighe piu grandi degli Stati Uniti.

«La diga Hoover», lesse, «e stata ultimata nel maggio 1935 sul fiume Colorado, a valle del lago Mead. Per realizzare le opere strutturali del bacino e degli impianti sono stati utilizzati cinque milioni e settecentomila metri cubi di calcestruzzo: quanto basterebbe per pavimentare un’autostrada da New York a San Francisco. Rifornisce di energia idroelettrica decine di citta in California, Arizona e Nevada. Tra di esse Las Vegas, capitale mondiale del gioco d’azzardo.»

Il gioco d’azzardo. Un terribile vizio.

«La diga che alimenta il vizio», mormoro Oswald.

Per i soliti problemi di sicurezza, non appena Oswald ebbe raggiunto Tel Aviv, non fu Erma ad andare da lui al ministero, ma lo ricevette nel suo ufficio all’«Istituto».

Nonostante le lunghe ore insonni, i due uomini non mostravano segni di stanchezza. La tensione nervosa e l’alto tasso di adrenalina nel sangue fungevano da stimolanti.

«Ho gia allertato i nostri negli Stati Uniti», disse subito Erma, «e in questo momento ci sono nove uomini che stanno sorvegliando ogni movimento attorno al bacino. Inoltre un nostro satellite spia e stato posizionato in linea con le coordinate della diga Hoover. Crede sia opportuno informare le autorita americane?»

«No, questi personaggi hanno dimostrato di essere molto potenti e capaci d’infiltrarsi ovunque, quindi un nostro avvertimento agli americani potrebbe arrivare anche a loro. Di conseguenza, per adesso lasciamo fuori CIA, FBI eccetera. Cercheremo di consegnare loro i terroristi gia impacchettati. In questo momento mi fido soltanto dei nostri uomini», replico Oswald. «Qui all’’Istituto’ e ancora possibile avere un caffe?»

Poco piu tardi, con la tazza fumante in mano, indicando una cartina degli Stati Uniti, riprese: «Torniamo al punto. Il bacino che alimenta la diga, il lago Mead, contiene quasi ventinove milioni di acre-feet. Per intenderci, l’acre-foot corrisponde alla quantita d’acqua necessaria per coprire la superficie di un acro con un piede d’acqua. Una cifra, fatti i debiti calcoli, vicina a trentacinquemila miliardi di litri: quanto basta per allagare tutto il Nevada sotto una quindicina di centimetri d’acqua».

E Oswald si concesse un sorso di caffe, prima di continuare: «Quella del lago Mead e una zona ad alta frequentazione turistica: ogni anno vi affluiscono autentiche folle da tutto il mondo per visitare il Grand Canyon e il Parco Nazionale. Pertanto non sara facile individuare i terroristi. Ma questa volta non possiamo assolutamente concedere loro altri vantaggi. Dobbiamo fermarli prima che usino le bombe.

«Abbiamo visto che cosa e riuscita a combinare una sola testata in un bacino relativamente vasto come quello del Mediterraneo, a mille metri di profondita e all’interno di una robustissima struttura d’acciaio. Immaginiamoci che cosa succederebbe se un fatto analogo, anzi, forse moltiplicato per nove, dovesse succedere in un lago. Ma non penso che i terroristi sprecheranno i loro ordigni nucleari soltanto per lasciare al buio un paio di milioni di americani. Certo, creeranno enormi disagi per moltissime persone, e l’evento fara scalpore. Ma secondo me il loro vero obiettivo e un altro».

Allo sguardo interrogativo di Erma, prosegui: «Non so se ricorda una sciagura naturale avvenuta in Italia negli anni ’60, quando una montagna precipito nel bacino di una diga alpina. Vajont, mi pare, o qualcosa di simile. Milioni di metri cubi d’acqua tracimarono dalla diga, travolgendo i paesi a valle. Ci furono migliaia di morti. Adesso guardi questa piantina, e ripensi bene a tutto cio che ha detto Fosh sotto narcotico poco prima di morire».

Nella mappa si distinguevano perfettamente il lago Mead, azzurro, e la natura rocciosa della zona, evidenziata da macchie di chiaroscuro. Un ampio canalone scendeva sino alla citta di Las Vegas.

«La diga che alimenta il vizio», esclamo Erma. «Vogliono colpire Las Vegas!»

«Proprio cosi. Non c’e un minuto da perdere. Uno solo di quegli ordigni collocato nel punto giusto potrebbe sommergere Las Vegas sotto una fiumana di acqua e fango. Il nostro contingente nei pressi della diga dev’essere triplicato. Non dovranno lasciarsi sfuggire nemmeno una mosca. E di nuovo in gioco la vita di milioni di esseri umani.»

25 luglio 1999

Il porticciolo turistico poteva ospitare almeno trecento imbarcazioni di medie dimensioni. L’Hatteras, ormeggiato al molo 19, uno yacht da pesca lungo piu di quindici metri, si mosse alle sei e trenta del mattino. Era tutta notte che gli agenti israeliani lo tenevano d’occhio, insospettiti dal febbrile movimento che lo circondava. E le istruzioni arrivate da Tel Aviv erano di non trascurare niente. Niente!

Un’imbarcazione con le insegne della sorveglianza del parco si accosto all’Hatteras mentre era ancorato nella zona nordoccidentale del lago. L’ufficiale al timone si porto alla bocca il megafono.

«Sono il tenente Desly dei Servizi di Sicurezza del Parco del Grand Canyon. Avete problemi?»

«No, tenente», rispose uno degli occupanti della lussuosa imbarcazione. «Ci siamo fermati qui per vedere se riusciamo a prendere qualche pesce.»

«In questa zona la pesca e vietata, e dovreste saperlo. Saliremo a bordo per un controllo.»

Prima ancora che sullo yacht avessero messo mano alle armi, dalla motovedetta si sprigiono un impressionante volume di fuoco. Non appena avevano visto uno degli occupanti dello yacht imbracciare una mitraglietta, gli agenti dei servizi israeliani, travestiti da ranger del Parco e nascosti nella tuga, avevano aperto il fuoco.

Sullo yacht da pesca, crivellato di colpi, calo un silenzio di morte. Gli agenti del Mossad abbordarono l’Hatteras e salirono a bordo.

Oswald aveva finalmente potuto dormire un paio d’ore, steso su un divano nell’ufficio di Erma. Ma aveva ordinato di svegliarlo per qualsiasi novita.

Fu infatti riscosso di soprassalto da una mano che gli scuoteva la spalla. Si stropiccio gli occhi e vide

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