di plastica attorno alla vita, giu sull’erba, le cosce bianche e carnose che si aprono.
— Davvero? — Un selvaggio balzo interiore. Eccitato. — Tutto e ancora intatto?
— La signora Hamlin non voleva nessuna delle sue cose, percio sono restate a noi insieme alla casa. Cosi abbiamo pensato, come c’e la casa-museo di Rembrandt ad Amsterdam, e quella di Rubens ad Anversa, cosi conserveremo lo studio di Nathaniel Hamlin intatto qui, non per il pubblico naturalmente, ma come una specie di sacrario, un monumento, e nel caso che qualche studioso desideri vederlo, qualche grande ammiratore di Hamlin, be’, lo renderemmo accessibile. E poi naturalmente le generazioni future. Vuole seguirmi? — Sorridendo, voltandosi, incamminandosi sul prato rasato. Natiche grassottelle, ondeggianti. Hamlin, sudato, pieno di adrenalina, che seguiva. La vecchia, familiare casa di pietra. L’ala bassa, annessa. Un gesto allegro della mano di lei. — C’e un ingresso allo studio dall’altra parte del… — Hamlin era gia sulla strada. — Oh, vedo che lo sa gia. — Ma come fa a saperlo? Nessuna indicazione che lei sospetti qualcosa. — Cerchero il nuovo nome della signora Hamlin, e anche il suo indirizzo. Ci vediamo fra un paio di minuti nello…
Studio. Esattamente come l’aveva lasciato. A sinistra della porta, la grande finestra rettangolare. Fiumi di luce. Di fronte alla finestra, la pedana di posa con i microfoni, gli analizzatori e i sensori ancora al loro posto, e perfino i suoi ultimi segni col gesso ancora tracciati per terra. Sulla parete di destra il suo quadro di comando, leve e manopole e pulsanti e quadranti, che avrebbero senza dubbio lasciati perplessi Rembrandt e Rubens, o quanto a questo anche Leonardo da Vinci. Le cuffie. Il controllo di ionizzazione. Le spine di connessione, staccate. Lo schermo dei dati. La penna luminosa. Il generatore sonico. Un tale intrico di apparecchiature. In fondo, una stanza piu piccola, altre cose visibili: rotoli di filo, supporti metallici, mucchi di creta da modellare, il grosso elettropantografo, il fotomoltiplicatore, e altre cose che Hamlin non parve riconoscere. Hamlin vago come stordito fra tutte queste cose. Macy capto i suoi pensieri cupi. L’artista era spaventato, atterrito perfino, dalle complessita dello studio. Cercando di adattarsi all’idea che lui un tempo aveva usato tutta quella roba come se fosse una sua seconda natura. A cosa serviva quella cosa? E quella? E quella? Merda, come funziona tutto quanto? Non ricordo piu niente.
…Il Riab ti ha distrutto, Nat, piu di quanto tu ti renda conto.
…Rinuncia, Nat, non hai piu la mano.
Tuttavia Hamlin non riusciva a nascondere l’inquietudine al suo passeggero. Armeggiava con la creta, la schiacciava, fallendo anche in quella semplice operazione di modellare, sforzandosi di trasferire l’immagine nella sua mente alla massa che aveva fra le dita. In quel momento di tensione, Macy raggiunse nuovi collegamenti e per la prima volta ottenne un certo controllo sul sistema nervoso centrale di Hamlin.
…Avanti, Nat, continua a ripeterlo, magari fra un po’ comincerai anche a crederci.
…Ma certo, tesoro. Chi ne ha mai dubitato?
Diede ad Hamlin un altro colpetto al midollo,
Poi Hamlin comincio a reagire. Con gelida furia, ricaccio indietro Macy. Cancellando dalla mente le distrazioni di quello studio allarmante, per poter ristabilire la disciplina interna. Ecco fatto. Macy vide che non aveva ancora la capacita di sconfiggere l’altro, anche se imparava in continuazione e si rafforzava. Piu tardi. Un’altra volta. Per il momento ha vinto lui.
— Non e
Un gorgheggio idiota, un allegro trillo di contralto. Entra la signora Bryson. Un foglietto di carta in mano. Non per caso, si e liberata del triangolino di stoffa, e arriva tutta nuda, ballonzolando allegramente. Gli occhi luccicanti, i seni che si sollevano pieni di speranza. Triangolo di peli neri, ricci, folti. I capezzoli che si trasformano in torrette. L’odore caldo di una cagna in calore che si spande nell’aria. Qui non ci facciamo caso alla nudita, sa signor Macy. I vestiti sono cosi primitivi, non le pare? Poi forse una mano sullo scroto, gli tira fuori l’arnese, giu sul pavimento fra l’apparato del grande artista. Essere posseduta dal suo simulacro.
— Si — disse Hamlin. Balbetto. Un bisogno frenetico di uscire di li. Gola secca; faccia arrossata; occhi vitrei. Difendendosi contemporaneamente dagli attacchi di Macy dall’interno e dalla beffa delle sue apparecchiature dall’esterno. Il cespuglio nero e la fessura calda della matrona di nessun interesse per lui, in quel momento. L’atmosfera inaspettatamente soffocante del suo studio l’aveva completamente evirato. Scappare, in fretta. Afferrando il pezzo di carta dalle mani della donna. — Graziemilleadessodevoandare. — Le passo accanto e si avvio veloce verso la porta. La faccia di lei d’improvviso una maschera rigida di sorpresa e di rabbia: sa che verra respinta. L’inferno non ha furia.
Sembra dieci anni piu vecchia. Rughe profonde dalle guance al mento. I capezzoli si afflosciano; le spalle cadono. Tutta la sua nudita sprecata. Le braccia tese, le dita che si contraggono come per riportarlo indietro. Niente da fare. Hamlin ha raggiunto la porta. Fuori, nella luce del giorno. Inseguito da tentacoli fantasmi di libido femminile. — Non occorre che vada via subito! — chiama lei. Hamlin non rispose. Si guardo alle spalle una volta, la vide sulla porta dello studio, donna nuda ben fornita ricca-pigra sulla soglia della mezza eta, sconcertata dal panico dell’uomo, stupita perche il suo corpo e stato respinto. Il proprio panico ha sconcertato lui pure. La testa gli girava. Macy fece del suo meglio per peggiorare le cose, dando uno strattone a tutte le linee neurali contemporaneamente. Hamlin ululo, ma riusci a conservare il controllo e continuo di corsa. Di. Corsa.
Di nuovo in macchina, mentre sobbalzavano a casaccio in direzione ovest, attraverso parecchie contee, Macy si chiese se sarebbero sopravvissuti a quel viaggio. Quelle stradine di campagna non avevano alcuna striscia protettiva, e quindi i meccanismi omeostatici della macchina erano praticamente inutilizzabili; se il veicolo andava fuori strada, niente gli avrebbe impedito di fracassarsi contro le grosse querce ai margini.
E Hamlin era in uno stato tremendo. Stringeva la leva come un folle. Gli occhi vitrei, in una fissita maniacale. Mascelle serrate. Guidava automaticamente, utilizzando una minuscola porzione del tessuto cerebrale per manovrare il veicolo, mentre il resto della sua mente ripercorreva selvaggiamente gli eventi dell’ultima mezz’ora. La macchina sbandava da un lato all’altro della piccola strada, superando ogni tanto la linea mediana, o finendo sui bordi.