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Era sommerso in un mare di liscio vetro verde. Interamente avvolto da esso, incapace di risalire alla superficie; sopra la sua testa una lastra solida, impenetrabile, infrangibile, che lo separava dall’aria. Soffocava, i polmoni in fiamme, la testa che sembrava dovesse esplodere. Una sensazione di dolore sordo a entrambi i polpacci; un rigonfiamento delle dita. Sotto i suoi piedi penzolanti, un abisso senza fondo, nero, denso. Da molto in alto arrivavano fiochi raggi di luce verde-dorata. Immagini confuse e indistinte del mondo superiore. Tutte le percezioni rifratte e distorte e trasformate. Le sue mani che spingevano disperatamente lo strato vetroso sopra di lui. Che non voleva cedere. Oh, Dio, devo essere all’inferno! Come faccio a respirare? Come ha fatto a farmi questo? Come faro a uscire di qui? Sto affondando. Lentamente, giu e giu. Pesci con i denti per spolparmi. Poteva sentire lo scorrere delle correnti, fiumi nell’oceano, che lo sbattevano qua e la. Rabbrividi. Il terrore lo invase. Dunque e cosi. Mi ha preso. Mi ha preso. Sono dentro di lui.

Macy provo un senso acuto di perdita, di dislocamento. Era stato cosi bello vivere nel mondo. La luce del sole, la gente, le risate, perfino le incertezze, le tensioni. Essere vivo, almeno. Poi essere spodestato, gettato a terra, cancellato, diseredato. Mi ha portato via tutto quando non ero pronto ad andarmene. Non e giusto. E adesso? Il dolore di questo luogo. Ansimare. Soffocare. La paura.

Ma sopravvisse alla prima ondata di terrore e scopri che non ce n’era una seconda. Si calmo. Gradualmente, raffino e chiari la consapevolezza della sua nuova condizione. Si rese conto che anche se non poteva raggiungere l’aria, neppure affondava di piu, e anche la sensazione di affogare non doveva essere presa troppo alla lettera. In effetti, quello non era un mare. Tutte le immagini marine, si rese conto, erano puramente metaforiche. Era in effetti sommerso, sospeso fra qualcosa e qualcos’altro, ma era diventato una semplice rete elettrochimica distesa fra i recessi di quello che, a questo punto, era costretto a considerare come il cervello di Nat Hamlin. Hamlin era sul ponte di comando, in cima. Macy occupava qualche indefinibile fessura, o serie di fessure. Non poteva vedere. Non poteva sentire. Non poteva parlare. Non poteva muoversi. Non era altro che un’astrazione, un’identita priva di corpo. Che si potesse propriamente dire che esisteva, era discutibile.

Adesso che il primo shock era passato, fu sorpreso del fatto che la perdita dell’indipendenza non portasse con se alcuna disperazione. Sorpresa, si. Irritazione e fastidio, si. (Con quanta abilita Hamlin l’aveva fregato!) Costernazione, si. (Che sensazione strana essere intrappolato qui. Che claustrofobia. Riusciro mai a uscirne fuori?) Ma non disperazione. Neppure paura. Anche Hamlin si era trovato nella stessa situazione, no? E lui aveva resistito, l’aveva controllata, era riuscito a scappare. Dunque perche non io? C’era naturalmente una forte tentazione ad accettare lo stato di fatto passivamente. A dirsi che in fin dei conti non aveva mai avuto diritto a una vera esistenza. Che sarebbe stato meglio per tutti, adesso che il sovvertimento delle personalita c’era stato, se lui se ne stava tranquillo in quel luogo simile a un utero. Lasciando pacificamente a Hamlin il corpo a cui aveva diritto per nascita. Ma la tentazione non tentava grandemente Macy. Per quanto facile fosse iniziare un’esistenza vegetale, preferiva una vita piu attiva. Un corpo suo. Il breve assaggio di vita che aveva avuto, l’aveva lasciato desideroso di averne ancora.

Non ho mai veramente incominciato, dopo tutto. Solo poche settimane da solo, lontano dal Centro. Con lui che mi tormentava per la maggior parte del tempo. E adesso questo. Combattero. Lo buttero fuori come lui ha buttato fuori me. Puo darsi che non sia nato, ma ero reale e voglio tornare all’esistenza.

Pazientemente, esamino le opzioni disponibili. Era possibile stabilire un input sensoriale? Vediamo. Concentriamoci. Se raccogliamo le forze… cosi… e le puntiamo in una singola direzione… cosi… entriamo in contatto con qualcosa? No. No. Oscurita vetrosa dappertutto. Pero… Adesso. Cos’e questo? Un nodo, un appiglio. Che possiamo afferrare. A cui possiamo applicare una pressione interna. Si! E percepiamo. Il flusso di sensazione. Ma cosa percepiamo? Il nostro ambiente.

Si, proprio come aveva detto Hamlin, si arriva a una specie di percezione dell’immagine del cervello dentro cui ci si trova. Se solo avessi fatto maggiore attenzione, quando eri al Centro, a quelle poche spiegazioni di anatomia strutturale che ti davano per spiegarti cosa avevano fatto alla tua testa. Le vescicole sinaptiche. La fenditura sinaptica. Spina dendritica. Terminale del cilindrasse. Organelli, filamenti e tuboli. Mitocondrio neurale. Corpus callosum. Commessura anteriore. Corteccia limbale. Sistema centro-encefalico. Parole. Parole. Quel torrente sconcertante di nomi privi di referente. Ma in qualche modo, un po’ di comprensione filtra. Uno esplora, si infila qua e la, impara qualcosa. E il buio si schiarisce.

Macy mando un filamento di se stesso lungo uno stretto e umido corridoio e trovo, al termine di questo, una parete rosa pulsante, su cui era montata una piastra dorata, a nido d’ape. La punta del filamento si insinuo in una delle aperture del nido, e ne risulto una piccola esplosione di luce. Un progresso, no? Adesso dividiamo il filamento e infiliamo un’estremita qui, e una qui, e una qui. Luce luce e luce. Perbacco! Abbiamo un input! Un luminoso grappolo di dati sensoriali. Finora quello che arriva e indifferenziato; potrebbe essere vista, suono, tocco, odorato, qualsiasi cosa. Ma almeno c’e un input. Proseguiamo. Macy prova instancabile. Cercando nuove vie di esplorazione. Altri alveari; altri filamenti che si suddividono e scivolano nelle fessure; altri lampi di luce.

Riusciro a ricavarne un qualche senso? Stai cercando di intercettare un’immagine televisiva, e riesci a metterti in contatto solo con fosfori sparsi, un punto qui e un punto la. Piccole esplosioni di informazione, troppo poche per capire qualcosa. Non ancora. Ma nessuno ti fa fretta. Non hai consapevolezza dello scorrere del tempo. Ci vorra un’ora, un minuto, un secolo, un anno. Prima o poi avrai un buon allacciamento. E solo questione di… Cos’e stato? Un lampo di coerenza! E durato un attimo, ma e stata un’immagine totale. Uditiva? Visiva? Ancora non puoi dirlo, ma sai di aver avuto tutte le informazioni, anche se non sei stato in grado di interpretarle. E stata come una frase completa: soggetto, predicato, avverbi, aggettivi, articoli, punteggiatura, proposizioni dipendenti, che Hamlin ha letto o detto ad alta voce. Oppure un’inquadratura completa tratta dalla riserva ottica di Hamlin, della durata di un quindicesimo di secondo. Oppure, una lancia di pensiero astratto che ha attraversato la coscienza di Hamlin da nord-ovest a sud-est. Adesso cerchiamo di correlare questi impulsi casuali con la nostra riserva di dati. Per fare una valutazione. Per interpretare. Per distinguere la vista dal suono dalla cognizione. Cosi. E cosi. Stendiamo il nostro filo del telegrafo attraverso chilometri e chilometri di sabbia del deserto, e alla fine ci trasmette dei messaggi.

Del tipo:

Sensazione di movimento. Sobbalzo sobbalzo sobbalzo passo passo passo. Hamlin sta andando da qualche parte.

Senso della posizione. Hamlin e in piedi.

Sensazione di attivita muscolare. Anche e cosce in azione, piante dei piedi che colpiscono il pavimento. Hamlin sta camminando.

Sensazione dell’ambiente. Luce intensa. Sole? Calore e umidita. Mattina? Una mattina d’estate? Rumori della strada? Sta camminando lungo una strada.

Sensazioni visive, che si mettono a fuoco a scatti, adesso chiare. Uffici, pedoni, veicoli. Una strada nella Manhattan Vecchia?

Come se fosse seduto sulla schiena di Hamlin, le gambe attorno al collo, Macy avverti una fitta intensa di discontinuita per l’assenza di un’adeguata transizione. Nel momento in cui aveva perso conoscenza, quel corpo era impegnato in una lotta con un assalitore sconosciuto, in un quartiere malfamato, di sera tardi. Adesso stava camminando lungo una strada affollata. Di giorno. Quanto tempo era passato? Qual era stato il risultato della lotta? Quali ferite aveva riportato il corpo? Dove sta andando adesso Hamlin? Nessuna di queste cose poteva essere facilmente determinata con le risorse attualmente a disposizione di Macy. Ma uno puo sempre provare a migliorare le sue risorse.

Il logico passo successivo, si disse Macy, e di collegarsi alla coscienza di Hamlin. Per poter sapere cosa pensa, e magari ostacolarlo, se non controllarlo del tutto. Un tentacolo nella corteccia cerebrale. Ma dov’e la corteccia cerebrale? Macy pote soltanto ripetere la sua tattica precedente, provando qua e la a casaccio. Ma non ebbe alcuna fortuna. Impossibile trovare un appiglio per penetrare nell’attivita cerebrale di Hamlin. Gli sforzi di Macy riescono solo a fornirgli l’accesso alle regioni dove sono immagazzinati i ricordi di Hamlin, torbidi strati di antichi eventi. Attraverso lo schermo della coscienza di Macy filtro una nuvola di melmose particelle di esperienza: una miscellanea di stupri, seduzioni, trionfi artistici, decisioni di investimenti, traumi d’infanzia e indignazioni, oleosamente fluttuanti. Mentre gli input sensoriali continuavano a mostrare Hamlin che camminava spavaldamente lungo la strada soleggiata.

Adesso, per la prima volta, Macy ebbe un momento di disperazione. Un senso di desolazione. La consapevolezza della realta di quella irreale prigionia. L’ammissione della sconfitta, definitiva e inevitabile. C’era da

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