riunioni del clan mi guardate come se avessi tre teste. Oh, lo so, voi credete che non me ne accorga, ma vi ingannate. E so pure quello che pensate: povera ragazza, neutra com’e chi vuoi che se la pigli? Dentro il clan non la sposa nessuno di sicuro. Guarda un po’ se doveva capitare proprio a noi, questo guaio di avere una figlia disfunzionale!…»
«Ma no, Melanie, ti sbagli…» La voce della mamma, smarrita ogni imperturbabilita, suonava ora colma d’angoscia.
Melanie si volse a fronteggiarla. «Ah, davvero? Eppure mio padre e talmente impegnato a rimproverarmi di ogni cosa che faccio da non essersi nemmeno reso conto che poco fa qualcuno e quasi riuscito a pugnalarmi. Certo, capisco, fosse successo sul serio vi avrebbe reso tutto molto piu facile, vero?» E tacque, soddisfatta, vedendo sua madre sbiancare in volto e suo padre irrigidirsi dolorosamente per la brutale trafittura di quell’insinuazione.
«Melanie, tu non sai che cosa stai dicendo. Come puoi parlare in questo modo?» Nell’udire la voce di sua madre rotta dall’emozione, Melanie avverti una punta di rammarico. Non aveva avuto davvero intenzione di ferirla, ma in fondo si era limitata a dire la verita. Non sarebbe stato un sollievo per tutti, se lei si fosse tolta dalla circolazione?
«Stai dicendo un mucchio di sciocchezze, di puerili assurdita», dichiaro suo padre scuotendo la testa, in un tono che non ammetteva repliche. «All’interno del clan non c’e nessuno che non ti voglia bene e non ti tratti nel migliore dei modi. Quindi devi smetterla di sentirti assurdamente esclusa e perseguitata.»
Per qualche istante rimasero li tutti e tre a fissarsi in un gelido silenzio. Poi la mamma si alzo.
«E tardi. Siamo stanchi. Andiamocene a letto, e vedrete che domani ci apparira tutto sotto una luce piu rosea.»
Melanie si senti dispiaciuta per loro. Non sopportavano di sentirsi dire la verita. Lei, invece, era capace di affrontarla a viso aperto. Non aveva altra scelta.
«Buonanotte, mamma. Buonanotte, papa.»
Senza aggiungere altro, volse loro le spalle e se ne ando in camera sua. Appena richiusa la porta inibi il sensore all’infrarosso prima di attivare automaticamente l’illuminazione con la sua presenza. Preferiva rimanere al buio.
Seduta sul letto, tenendosi le ginocchia strette al petto, Melanie ripercorse ancora una volta gli avvenimenti della serata. Lo scontro allo
Bill McLeod si rigiro fra le coperte per posare lo sguardo sull’orologio a muro, il quale ricambio quell’attenzione fornendogli l’ora col soffuso bagliore delle sue cifre color ambra: le quattro del mattino. Udiva, accanto a se, il profondo e regolare respiro di Joanna. Avrebbe desiderato poterla imitare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi tornavano a riecheggiargli in mente le parole di Kelly, e addio sonno.
Be’, si disse, Kelly aveva buttato la quella frase spinta dall’ira, in un impeto di ribellione contro il suo vecchio e le sue ottuse osservazioni. Probabilmente non lo pensava davvero.
E se invece avesse detto sul serio? Sembrava cosi distante, da qualche tempo, cosi estranea alla famiglia… Cosa poteva aver fatto o non fatto, lui, per indurla ad allontanarsi? Oh, che diavolo, presto o tardi succedeva a tutti i ragazzi di architettare una fuga dal nido. Imprescindibile rito di passaggio. Anche lui, a quattordici anni, era rimasto fuori una notte intera a camminare sulla spiaggia. E suo padre gliele aveva date di santa ragione, quand’era tornato a casa. Poi, crescendo, aveva imparato a fare a meno delle pensose passeggiate lungo spiagge solitarie. Specialmente in aviazione. E adesso, inchiodato com’era a un lavoro da tavolino, di tempo per estraniarsi gliene avanzava decisamente molto poco. Troppi contratti.
Joanna s’impegnava in modo encomiabile, coi ragazzi. Quanto a lui, cercava di fare del suo meglio per condividerne gioie e dolori, per essere attento e disponibile a ogni loro necessita, per astenersi dal far pesare il proprio giudizio ogni qual volta riteneva che i suoi figli avessero bisogno di imparare da se…
Eh, gia: in questa occasione i buoni propositi erano andati davvero a farsi benedire. Serro con violenza i pugni in istintiva quanto vana reazione al suo brutale comportamento di poche ore prima. McLeod lo sapeva benissimo che avrebbe dovuto essere piu tollerante nei confronti dei mutanti. Ma gli facevano accapponare la pelle. Anche in servizio se ne era sempre tenuto alla larga. A causa loro sua figlia aveva rischiato di essere malmenata. O peggio. E adesso si era messa persino a filare con quel giovanotto…
«Bill, se non la smetti di rigirarti non mi fai dormire.» La voce di Joanna, impastata di sonno, non nascondeva l’irritazione. «Che cosa stai rimuginando? Kelly?»
«Gia.»
«Devi aver pazienza. E l’eta, lo sai.»
«Meno male che diciassette anni vengono una volta sola.»
«Amen.» Morbida e calda, nel buio, ando a rannicchiarsi addosso a lui. «E cos’e, in particolare, che ti rode?»
«Quella sparata sul fatto di sentirsi trattata come una mutante. Secondo te diceva sul serio?»
Joanna ridacchio. «Ah, in quel momento senza dubbio. Evidentemente stava cercando di scombussolarti. E a quanto pare c’e riuscita.»
«Ecco, in effetti sembra scontenta. E chiaro che me ne dispiace.»
«Non credo proprio che sia piu scontenta di quanto eravamo io e te alla sua eta.»
«Be’, in fondo non le facciamo mancare nulla.»
«Bill, la devi far finita di preoccuparti per questa faccenda. Ti assicuro che sei un padre favoloso. Cerca solo, per un po’, di ammorbidirti sulla questione dei mutanti. Altrimenti le dai un pretesto per ribellarsi. Sono sicura che alla fine questa mania le passera. Te lo ripeto: devi solo aver pazienza.»
«Sei tu l’esperta in materia, mica io.»
«Ascolta, mi e venuta un’idea che in quattro e quattr’otto dovrebbe alleviarti la sindrome ansiosa…» E incomincio a baciargli la schiena, poi passo davanti e gli accarezzo il petto, quindi prese pian piano a puntare verso il basso.
«Chissa perche, ma ho la netta sensazione di esser trattato come un oggetto sessuale…»
Nonostante il chiarore dell’orologio, era troppo buio perche gli riuscisse di vedere il sorriso di lei. Ma lo avverti nella sua voce. «Smettila di bofonchiare. Stai giu e goditela.»
4
Scintillando argentea lungo le sue guide, la porta dell’ascensore si chiuse con un sussurro pneumatico.
«Che piano, prego?» compito con elettronica artificiosita la voce della cabina.
«Quindicesimo», rispose Andie laconica. Detestava dover parlare coi meccanismi. L’ascensore sali dolcemente, in silenzio. Approfittando dell’agio che le offriva la cabina vuota per abbandonarsi a una voluttuosa stiracchiata, Andie osservo il riflesso grottescamente deformato che le restituiva la brunita superficie della porta, e con futile curiosita si chiese che effetto avrebbe potuto fare vivere con uno spropositato collo alla Modigliani sormontato da un faccione stile Picasso con tutti e due gli occhi dallo stesso lato del naso. Piu o meno il modo in cui si era immaginata i mutanti quando ne aveva sentito parlare da bambina, prima che incominciassero apertamente a frequentare le scuole, a mostrarsi per strada, a sedere in Parlamento.
L’ascensore si fermo, e la porta si apri sibilando per far entrare Karim Fuentes, primo assistente del senatore Craddick, e Carter Pierce, notorio manutengolo politicamente con le mani in pasta nei superconduttori coreani, nell’ingegneria genetica brasiliana e nelle plastileghe francesi.
«Andie… ti trovo bene», la saluto Karim regalandole uno di quei suoi smaglianti sorrisi. «Conosci Carter?»
«Ci siamo gia visti.» Sebbene preferisse non confessarlo neppure a se stessa, le piacevano la scura bellezza e il fascino disinvolto di Karim. Ma gli intrallazzi politici di Pierce, al pari dei suoi polsini doppi in pura seta, la