lasciavano del tutto indifferente. E comunque gli uomini biondi non le erano mai andati a genio. Per parte sua, Pierce evitava l’ufficio della Jacobsen con una cautela che aveva quasi del patologico. «Come va?»

«Forse dovremmo essere noi, a domandarglielo», replico Pierce in tono insinuante, mentre si raddrizzava la cravatta col discutibile ausilio della propria immagine riflessa.

Per un attimo Andie accarezzo l’idea di scendere immediatamente dall’ascensore. Ma la poco invitante prospettiva di arrancare a piedi su per i restanti otto piani la dissuase. Decise di tener duro. Avrebbe sempre potuto fargliela scontare, a quel Pierce.

«E cioe?»

Pierce le rivolse un sorriso malizioso. «Be’, abbiamo sentito di quella lettera esplosiva. E non e nemmeno la prima, vero? Non e che questo genere di avvenimenti la renda per caso un pochino nervosa?… Insomma, lavorare per Eleanor Jacobsen significa stare a fianco di un bersaglio, non e d’accordo?»

Andie si strinse nelle spalle. «Ritengo che sia un privilegio, lavorare per una persona come la senatrice Jacobsen. Tutti gli incarichi pubblici possono essere pericolosi, Carter. Chiunque puo divenire un bersaglio. Anche uno come lei.» Osservandogli la cravatta gialla striata di fili metallici, soppeso con gusto l’eventualita di strangolarcelo.

«Brrr…» fece lui. Poi, dopo una breve esitazione: «Signorina Greenberg, io sto parlando sul serio. Mi pare evidente che lavorare per certe persone e particolarmente pericoloso».

«E allora?»

«Sarei molto curioso di sapere come fa a resistere.»

«Carter…» lo ammoni Fuentes innervosito.

«Be’, in ogni caso e sempre meglio che trafficare giorno e notte per svendere gli avanzi della nostra industria a favore di interessi stranieri!» replico lei, con sorriso velenoso. «Scusatemi, sono arrivata.» La porta si apri e Andie, furente, usci con impeto dall’ascensore.

«Andie, aspetta».

Si giro vivacemente, pronta a gettarsi in una bella litigata, ma vide che Fuentes l’aveva seguita da solo.

«Si?»

«Mi spiace per Carter. Purtroppo sai come la pensa…» Il corridoio era pieno di gente, e guardandosi attorno con aria inquieta Fuentes le si fece piu vicino.

«A proposito di che?»

«Be’, si, a proposito dei…» rispose in un sussurro.

«Dei mutanti?» domando Andie a denti stretti.

«Esatto. Secondo lui, appena pronta bisognerebbe spedirli tutti quanti alla Base Marte, o roba del genere», spiego Karim con una scrollata di spalle.

«Ma guarda che strano. Proprio quello che vorrei fare io con Carter.»

Fuentes ridacchio. Andie senti allentarsi la tensione.

«E tu di loro che cosa pensi, Karim?»

Il suo sorriso si spense. Chino gli occhi per qualche istante, poi torno a fissarla con sguardo serio, indagatore. «Penso che abbiano diritto, come chiunque altro, a essere rappresentati in Parlamento. E il diritto a essere lasciati in pace. Non c’e neanche un mutante che io possa dire di conoscere davvero bene, ma la Jacobsen sembrerebbe una persona intelligente, onesta e capace. Che riesce a far bene il suo lavoro nonostante i giornalisti le stiano addosso di continuo. Che altro si puo pretendere da un senatore? Non mi pare che tu debba star li a farle da balia continuamente come tocca fare a me con Craddick.»

«Di questo puoi star certo.»

«Vedi, e chiaro che a certa gente la Jacobsen non va giu, ma non e il mio caso. Io non ho proprio niente contro i mutanti, e se finalmente sono riusciti a trovarsi un senatore, be’, buon per loro. E poi mia nonna si rivolterebbe nella tomba se sospettasse che mi oppongo a una minoranza. Nella nostra famiglia fu la prima a laurearsi. Credeva nell’eguaglianza, e cerco di fare in modo che tutti i suoi familiari sviluppassero il medesimo sentimento.»

«Mi fa piacere sentirtelo dire, Karim. Non sono molti, fra quelli che conosco, a pensarla come te.» Non si era sbagliata a giudicare quell’uomo, e se ne compiacque. «Nutro un’enorme ammirazione per Eleanor Jacobsen, e faro tutto il possibile per aiutarla nella sua opera d’integrazione fra mutanti e nonmutanti.» Cio detto si giro per andarsene, ma dovette fermarsi sentendosi afferrare gentilmente per un braccio.

«Andie, ti andrebbe di venire a pranzo insieme a me?»

La maschera fascinosa era caduta. Karim le appariva disarmato. Serio. Persino piu attraente. Andie sorrise.

«Be’, non mi sembra affatto una cattiva idea.» Diede un’occhiata all’orologio d’oro che aveva al polso. «Pero non tanto presto, diciamo all’una e mezzo. A parte il solito lavoro, debbo mettere in condizione la Jacobsen e me stessa di partire per il Brasile.»

«Gia, me l’immaginavo. Anche Craddick dovrebbe andare.»

«… Ma ti diro che non mi dispiace affatto barattare il freddo e l’umidita di Washington con le assolate spiagge di Rio.»

«Mi dichiaro perfettamente d’accordo. Senti, pranzare sul tardi mi va benissimo. Avremo modo di parlare del Brasile, che ne dici?» E sorrise con entusiasmo.

«Perfetto. Allora ci vediamo all’una e mezzo giu nell’atrio.»

Un gesto di saluto, e lo lascio.

Andie mostro la sua olocarta alla porta dell’ufficio e quella si apri senza indugio, augurandole buona giornata con la solita voce stridula che lei trovava cosi odiosa.

C’era una lettera per la Jacobsen proveniente dal senatore Horner, il «reverendo senatore», come Andie amava definirlo. Attivo il cicalino di richiesta ammissione all’ufficio privato della Jacobsen, ma non ottenne risposta. Be’, era ancora presto, di solito la senatrice compariva verso le nove.

Strappato il sigillo della cartellina ne lesse il contenuto scrollando il capo. Un’altra di quelle assurde proposte di aggregazione dei mutanti al Gregge, il collegio elettorale fondamentalista di Horner.

«Se ciascun uomo, donna e bambino mutante volesse unirsi alla nostra comunita», scriveva il senatore, «le nostre preghiere sarebbero esaudite.»

Che razza d’ipocrita, penso Andie. Tutti i gruppi di una certa importanza avevano un loro rappresentante a Washington. La settimana scorsa s’era fatto avanti il Fronte Unito di Liberazione Musulmano guidato dall’emiro Kawanda. Costoro prima avevano tentato invano di battere i mutanti opponendo alla Jacobsen il proprio candidato, e adesso avrebbero voluto allearsi con gli ex avversari. E chi poteva biasimarle, tutte quelle minoranze politiche? Traguardi che ad altri erano costati generazioni di marce, dimostrazioni e petizioni, i mutanti sembravano in grado di raggiungerli con relativa facilita.

Probabilmente a Horner e a tutti i demagoghi del suo stampo interessava solo scroccare un passaggio al seguito dei mutanti. Ma le loro filosofie sostanzialmente intessute di avidita, razzismo e imperialismo religioso apparivano incompatibili con gli interessi mutanti. Anche se Horner non ne avrebbe certo fatto un problema, penso Andie. Sotto tutta quella ostentazione di bigotteria, il cuore del «reverendo senatore» pulsava a un ritmo pragmaticamente politico: voti, voti, voti…,.

«Buongiorno, Andrea.» La senatrice Jacobsen, un videodisco per mano, attraverso la stanza a grandi passi. Sorrise, poi scomparve nel suo ufficio privato. Andie la segui fin sulla soglia, sporgendosi attraverso la porta aperta.

«Senatrice, e arrivata un’altra istanza da Horner. La solita roba.»

«E tu dagli la solita risposta.»

«Grazie, ma non ci interessa.»

«Esatto.» La senatrice, gia intenta al monitor della sua scrivania, alzo un attimo lo sguardo. «Stephen Jeffers ha confermato l’appuntamento delle nove e mezzo?»

«Si.» Poi, dopo una breve esitazione, Andie soggiunse: «Sembra davvero che sia passato dalla nostra parte».

«Perche, cosa ti aspettavi?»

«Be’, dopo averlo visto cosi accanito alle primarie pensavo che avrebbe quanto meno tenuto le distanze.»

La Jacobsen sorrise. «Andie, una vecchia volpe esperta del mestiere come te dovrebbe sapere che gli

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