«Macche, ti annoieresti e basta», replico, sottolineando il diniego con un gesto reciso. «E poi la casa tu la conosci gia.»

A Michael non piacque affatto quell’inflessione insinuante, ma riflette che a insistere troppo rischiava di scatenare una scenata. Impotente, guardo Jena portarsi via Kelly.

«Te la fai con una normale, Ryton?» gli chiese Stevam Shrader.

Michael squadro Shrader con antipatia, irritato dal suo tono condiscendente. Ai convegni del clan, durante i canti di gruppo, non c’era volta che Shrader non si intoppasse su qualche passaggio. Era un individuo sciocco, goffo, rozzo. Ma che diavolo ci trovava, Jena?

«Esatto», rispose in tono gelido. «Frequento Kelly McLeod.»

Vala Abben, scintillio di cristalli d’argento fra i capelli neri, si uni a loro. «Non hai paura delle sanzioni?» gli domando. Con quel mento aguzzo e le sue maniere indiscrete ricordava a Michael un roditore carnivoro che fiutasse in giro alla ricerca di carne fresca. «E poi non e piuttosto… be’, noiosa, limitata?…»

«E simpatica», rintuzzo Michael, bloccando al volo un tramezzino di passaggio. «E brillante. Divertente. E attraente.»

Shrader annui. «In effetti non e male. Probabilmente interessante da chiavare. Pero non e mutante.»

«Grazie a Dio», replico Michael, e con rabbia volse loro le spalle. Fossero stati in un altro luogo qualsiasi, avrebbe sbattuto Shrader contro il muro, per quell’osservazione. Ma questa non era casa sua, e nemmeno la sua festa. Parti in cerca di Kelly e Jena.

«E queste sono le bacchette che usiamo per scandire il canto nelle ricorrenze speciali», spiego Jena, facendone fluttuare una in direzione di Kelly.

L’asticella in tek era riccamente decorata, la sua superficie appariva levigata dal lungo uso. Kelly la sfioro delicatamente.

«Interessante», commento, posandola sul tavolino accanto alla finestra. Jena la stava trattando con gentilezza, ma l’intera situazione la metteva a disagio. Forse aveva ragione Michael. In questo luogo lei era un’estranea.

«Vieni, usciamo nel portico», la invito Jena. Senza che nessuno la toccasse, l’iridescente porta di vetro scivolo silenziosamente di lato.

Kelly immerse lo sguardo nel tenebroso rigoglio vegetale del cortile posteriore.

«Ho sempre pensato che mio cugino Michael fosse tremendamente eccitante», dichiaro Jena in un rauco sussurro che invitava alla confidenza.

«Oh, ma davvero?» replico Kelly in tono di pesante ironia. L’interesse di Jena nei confronti di Michael era cosi evidente, che se ne sarebbe accorto anche un cieco.

Jena le si fece piu vicina. «Si. Tu non credi? Sei mai stata a letto con un mutante, prima d’ora? Lui com’e?»

Muori dalla voglia di saperlo, vero? penso Kelly. Be’, vai a farti fottere. Ne ho abbastanza di questa festa balorda, e soprattutto della tua curiosita. E si apprestava a dirle che aveva proprio una bella faccia tosta, quando Jena le tocco d’improvviso un lato del volto. Avrebbe potuto essere un gesto carezzevole, ma c’era in esso una fermezza che lo faceva piuttosto somigliare a un’aggressione. Kelly tento di sottrarsi, ma si accorse di essere inchiodata al suo posto, con la testa che le martellava. Stava per svenire? Si, e Jena la sorreggeva per impedirle di accasciarsi a terra. Gentile, Jena. Generosa, Jena. Davvero una brava amica, Jena. Bisognava assolutamente che le raccontasse di Michael…

«Che state combinando, qui?»

Sulla soglia era comparso Michael, i lineamenti contratti dall’ira. Kelly senti che forze invisibili la sottraevano alla stretta di Jena. Un attimo dopo le braccia del giovane si serravano protettive attorno a lei. Scrollo la testa per schiarirsi le idee.

«Niente di speciale, Michael. Kelly ha avuto un capogiro, e le stavo suggerendo di appoggiarsi a me», rispose Jena. «Comunque ci hai dato proprio una bella dimostrazione d’influsso telecinetico.»

«Lascia perdere, Jena.» Michael osservo Kelly. Gli parve stordita. «Ce ne andiamo.» La condusse quasi di peso fuori della stanza. Jena li segui fino alla porta.

«Peccato che non possiate rimanere. Stavamo giusto per incominciare qualche gioco di societa… spogliapsiche, frugamente… Kelly si sarebbe divertita di sicuro.» Per un attimo guardo fisso Michael. «A presto, allora.»

Michael le volse le spalle e si allontano rapidamente, con Kelly a rimorchio. Gli pareva quasi di sentir ululare, dietro di se, i gelidi venti della stagione dei mutanti.

Jena rimase a osservare i fanalini posteriori del libratore finche non disparvero dietro l’angolo. Si sentiva delusa ed euforica insieme. Aveva appena avuto il tempo di gettare un’occhiata sommaria nella mente di Kelly, ma quel che aveva appreso era molto istruttivo. Kelly e Michael erano stati in intimita. In stretta intimita. E i genitori di Michael non lo sapevano. Per ora.

«Gliel’hai detto tu a Michael di andarsene?» chiese Vala, fluttuando quasi ad altezza d’occhio.

«Ma no, che sciocchezze», rispose Jena distogliendosi dalla finestra, con un sorriso posticcio inalberato a nascondere la frustrazione. «E per quale motivo avrei dovuto fare una cosa del genere?»

«Be’, ha portato con se quella normale. Perche mai si sara preso il disturbo?»

«Perche le vuole bene», dichiaro Jena, con voce che suono stridula alle sue stesse orecchie. Controllati, si disse. Hai tutto il tempo che ti serve per affrontare la situazione. «S’e mai sentito di una padrona di casa che ordina a un ospite di andarsene solo perche si e presentato con una partner poco adatta?»

«Comunque ha fatto proprio bene a togliersi di mezzo», concluse Vala sorridendo duramente, «se ha intenzione di frequentare una normale.»

E Jena non ebbe bisogno di volgere lo sguardo attorno, per sapere che la testa di ciascuno dei presenti stava annuendo il proprio assenso.

9

«Spiacente, signorina Ryton, ma purtroppo non abbiamo nulla, per lei.» La scrutava dallo schermo un volto pallido, privo di espressione. La targhetta sulla scrivania proclamava PAUL EDWARDS, ASSISTENTE ALLE ASSUNZIONI.

Melanie lo fisso incredula.

«Eppure vi ho inoltrato regolare domanda», insiste, «e voi mi avete risposto dicendo che mi davate il lavoro. Vede?» Sollevo lo stampato e lo tenne di fronte al monitor.

L’esangue signor Edwards esamino la lettera con grande attenzione.

«Temo che debba esserci stato un errore.»

«Un errore di che genere?»

«Evidentemente abbiamo preso troppi impegni. Lei e gia la terza aspirante, oggi, che mi vedo costretto a respingere.»

Figuriamoci, penso Melanie. E chissa se pure quelle altre avevano gli occhi dorati?… Strinse spasmodicamente la lettera in pugno, accartocciandola. Poi, quasi gridando, proruppe: «E adesso come faccio? Ho speso tutto quel che avevo solo per arrivare fin qui!»

La cerea fisionomia non perse la propria impassibilita. «Dolente. Non posso che suggerirle di chiamare la sua famiglia e farsi inviare un biglietto di ritorno. Ora, se vuole scusarmi…» Lo schermo si spense, virando al nero. Mordendosi nervosamente un labbro, Melanie raccolse lo zaino. Il completo nuovo in lino rosa le dava prurito. Forse non l’avrebbe perduto, quel lavoro, se si fosse messa delle lenti a contatto per celare l’oro dei suoi occhi da mutante. La discriminazione volontaria andava contro la legge, ovviamente. Ma se un lavoro svaniva all’improvviso per colpa di un banale disservizio amministrativo?… Come si faceva, in tal caso, a parlare di discriminazione?

Usci dalla cabina-colloquio e riattraverso il grande ufficio, dove non c’era anima viva a parte l’addetta alla ricezione: l’unico essere umano, in tutto il reparto assunzioni del Convention Center, che Melanie avesse incontrato de visu. Varcando le pesanti porte scorrevoli in cristallo refrattario, lascio l’oasi ad aria condizionata per immergersi nel caldo pomeridiano di una Washington di fine maggio. Foglie immobili pendevano

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