dagli aceri fiancheggiami il marciapiede. Nell’aria ristagnava penetrante un nauseabondo sentore di rose in disfacimento. Oppressi dalla calura, rari passanti si trascinavano stancamente, come sonnambuli, dinanzi all’edificio. Melanie si tolse la giacca.

Che fare? Tornare a casa? Neanche per idea. Sarebbe stata un’ammissione di sconfitta. Qui era venuta, e qui doveva rimanere. Avrebbe dimostrato a tutti che era capace di badare a se stessa. Lacrime di delusione e frustrazione le urgevano agli angoli degli occhi, ma facendosi forza le ricaccio indietro. Adocchiata un’edicola all’angolo, investi un pizzico dei suoi preziosi gettoni di credito superstiti nell’acquisto di un giornale di offerte d’impiego. Era impossibile che in tutta Washington non avessero nulla da farle fare.

Michael osservo Kelly traversare nuda la camera da letto per andarsi a prendere uno spinello. Benche di solito si beasse alla vista del suo flessuoso corpo in movimento, stasera ne trasse invece quasi un senso di fastidio.

«Ma perche devi star via due mesi?» domando in tono irritato.

«Mio padre ha preso in affitto una casetta a Lake Louise per luglio e agosto», spiego Kelly, offrendogli una narcocicca mentre a sua volta se ne metteva una in bocca. Lui rifiuto scuotendo la testa.

«Non sapevo che amassi tanto la vita rustica.»

Lei sorrise. «E infatti non e che ne vada pazza, anche se ti diro che la prospettiva di un po’ di fresco non mi dispiace affatto.»

«Non andare.»

«Non posso evitarlo. Sii ragionevole, Michael, in fondo si tratta solo di poche settimane. A sentir te sembrerebbe un’eternita.»

«Il fatto e che tuo padre sta tentando di separarci.» Michael si alzo e prese ad andare avanti e indietro per la stanza.

«Dai, non fare il paranoico. L’unica a preoccuparmi davvero dovrei essere io, dopo aver conosciuto la tua affascinante cugina.»

«Jena?» Per un attimo a Michael torno in mente l’aroma muschiato del suo profumo, la deliziosa sensazione della sua mano tiepida sul braccio… Respinse con rabbia l’insinuante dolcezza di quel ricordo. «Non essere ridicola. Continuo a pensare che Jena abbia tentato su di te una violenza mentale.»

«Dio, come sei melodrammatico!» Kelly si ridistese sui cuscini. «E stato solo un capogiro, tutto qui. E poi non mi avevi detto che e telecinetica?»

«Cosi mi risulta.»

«Be’, qualunque cosa sia, non mi piace. Fa troppo l’amica. E poi ti sta troppo appiccicata.»

«Tutta una manovra di clan», ribatte Michael. «Comunque non ti preoccupare. Si tratta di un sentimento assolutamente non reciproco.»

Kelly sorrise. «Molto bene. Vorra dire che avro soddisfatto per un bel po’ la mia curiosita circa le feste mutanti. Probabilmente finche campo.»

«Pero sei sempre intenzionata ad andare a Lake Louise?…»

«Sissignore.» Kelly poso la narcocicca e tese le braccia verso di lui. «Coraggio, adesso, vediamo se ti riesce di convincermi a tornare presto a casa…»

Benjamin Cariddi chiuse dall’interno la porta del suo ufficio. La chiave-laser gli servi anche ad aprire la scrivania, quindi un successivo impulso fece scaturire dal ripiano, come lo sbocciare di un fiore elettronico, monitor e tastiera. Controllo il cronometro: le ventitre in punto. Digito un codice dissimulato con prefisso crittografico. La postazione emise tre brevi fonosegnali, poi la sua chiamata ottenne risposta.

«Ben?» domando una voce maschile in sonora chiave di baritono. Lo schermo rimase buio, ma Benjamin aveva visto quella faccia tante volte che avrebbe potuto disegnarla senza errori.

«In persona.»

«Trovato nulla?»

«Due quindicenni e una tredicenne.»

«Tutte fertili?»

«Naturalmente.»

«Ottimo. Conosci la procedura.»

«Certo. Sto esaurendo la narcodeina.»

«Ne avrai un’altra scatola in mattinata…» Una pausa. Benjamin sapeva perfettamente quale sarebbe stata la domanda successiva.

«Nessun mutante, in questo gruppo?»

«No.»

«Be’, continua a cercare.»

«Sempre.»

James Ryton aveva gia tentato di interrompere il proprio forsennato andirivieni, ma le sue gambe parevano in preda a un’agitazione incontrollabile. Dalla cucina alla porta d’ingresso al soggiorno, dalla videoparete alla finestra, interminabilmente ripercorreva un immutabile circuito casalingo andando su e giu per l’azzurra moquette. Sua moglie l’osservava dal divano, sguardo imperscrutabile, volto pallido. Egli attizzo la pipa, la guardo spegnersi, la riaccese, ma non attacco a fumare. Doveva chiamare la polizia? Halden?

«James, mi stai facendo girare la testa», protesto Sue Li.

Lui si volse a guardarla, sentendo l’indignazione gridargli dentro con cento voci diverse. «Neanche un messaggio, un accenno, una parola. Non so che fare.» In vita sua non gli era mai capitato di sentirsi tanto indeciso e disorientato.

«Aspettiamo che Michael torni a casa. Puo darsi che ne sappia piu di noi.»

«E se non fosse?» La testa gli pulsava senza tregua. Le vampate mentali si susseguivano a distanza ravvicinata, e la loro cacofonica chiarudienza si andava trasformando in un solenne mal di capo. Quelle maledette vampate, di solito, lo colpivano ogni volta che entrava in agitazione, simili a una riecheggiante emicrania. Anche suo padre ne aveva sofferto, e ancor prima suo nonno.

Una vocetta maligna sussurro a Ryton che si trattava solo del primo passo di quel lento viaggio verso la follia che tanti dei suoi confratelli avevano gia compiuto. Si sarebbe dunque dovuto rassegnare a finire i suoi giorni vaneggiando in un’ignobile reclusione, tormentato dagli echi distorti della sua stessa chiarudienza? Respinse quell’angoscioso pensiero opponendovi la preghiera di una morte rapida, e torno verso sua moglie.

«Decideremo il da farsi», rispose Sue Li.

«Ma come fai a rimanere cosi mostruosamente calma?» E lo prese una repentina irritazione per quello sguardo imperturbabile, quel contegno distaccato. Sue Li e la sua faccia da Buddha.

«Solo in apparenza. Sono preoccupata anch’io, naturalmente. Pero non ha senso che ci mettiamo tutt’e due a fare il viottolo nella moquette.» Poi, dopo una pausa: «Affidati ai canti. Ti aiuteranno a ripulirti la mente.»

«No! Inutile.» Sapeva bene che neppure i canti del clan erano in grado di mitigare, e tanto meno ridurre al silenzio, l’antifonale coro greco che ululava dentro di lui. I tranquillanti sarebbero stati piu efficaci, ma avrebbero anche indebolito la sua capacita di giudizio. Aveva l’impressione di muoversi dentro un rumoroso forno a convezione in cui qualcuno si stesse divertendo ad aumentare lentamente, interminabilmente, il flusso d’aria calda. Si slaccio il colletto.

Un sibilo annuncio l’aprirsi della porta d’ingresso, poi comparve Michael.

«Mamma. Papa…» Tacque un istante. «Che succede?»

«Michael, ti ha detto nulla, tua sorella, dell’intenzione di prendersi un lavoro estivo a Washington?» chiese Ryton con voce rauca.

«Mel? No. Credevo che fosse andata a trovare la cugina Evra.»

«Anche noi», intervenne Sue Li.

«E invece?»

Ryton scosse la testa. «Abbiamo chiamato ore fa. Evra e da sua sorella in Colorado. E dall’inizio delle vacanze che non vedono Mel.» Sentiva la tempestosa percezione crescergli dentro ad ogni istante. Si lascio andare, con cautela, nella sua poltrona. «Finalmente abbiamo trovato un messaggio sullo schermo interno. Niente indirizzo. Solo un accenno che si mettera in contatto con noi appena sistemata.»

«Avete guardato in camera sua?»

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