Denver. Magari avrebbe trovato un lavoro. Qui per lo meno non c’era nessuno a dirle cosa fare, e come farlo. Cadde in un sonno leggero e sogno di fluttuare sotto una cupola, con due nastri rosa legati alle caviglie come fosse un pallone frenato.
10
Le numerose relazioni color zafferano riguardanti il collettore solare si distendevano a ventaglio sulla scrivania di Ryton, ma egli le fissava con occhi resi ciechi dal rimorso e dalla paura. Perche Melanie se n’era andata? Eppure avevano fatto tutto quel che potevano, per lei. Era una ragazza semplice, innocente, esposta a ogni rischio. Non voleva neppure pensare a tutti i pericoli che l’aspettavano al varco. Melanie stava bene a casa sua, dove c’erano persone che le volevano bene e potevano prendersi cura di lei.
Era stata proprio la paura, quando la sera prima aveva svegliato Halden, a fargli esprimere un giudizio tanto severo su sua figlia… la paura, e quelle maledette vampate mentali. Quella mattina, comunque, Sue Li gli aveva preparato una pozione calmante a base di erbe, e le vampate, grazie al cielo, avevano perso vigore riducendosi a deboli eco. Al momento di chiamare la polizia, Ryton sentiva che il suo autocontrollo, rassicurante armatura, era tornato saldamente al proprio posto.
S’erano mostrati cortesi, naturalmente. Quelli della polizia erano sempre cortesi. Con un pizzico d’arroganza, magari, pero senza dubbio garbati.
«Svolgeremo indagini», gli aveva assicurato il sergente Mallory. «Ma non stia troppo a preoccuparsi. Succede spesso, dopo il diploma. Una settimana o due, e vedra che torna a casa.»
Chiusa la comunicazione, i poliziotti s’erano probabilmente concessa una bella risata corale a commento del fatto che pure i mutanti avevano da sputar sangue coi figli ribelli. Normali, penso Ryton. Per farne che?
Smise di tamburellare con le dita sul grigio ripiano in plastilegno. Sebbene trovasse di scarsa utilita gran parte dei nonmutanti, doveva tuttavia riconoscere che almeno uno di costoro era stato comprensivo e ben disposto, quando lui aveva avuto bisogno del suo aiuto. Anche in questo caso, dunque, poteva rivelarsi la persona giusta nel posto giusto. Ryton si volse al videocom incastonato nella scrivania e compose il numero di Andrea Greenberg. Lei rispose al quarto squillo, mostrandosi leggermente sorpresa.
«Oh, signor Ryton… Ha ricevuto il mio messaggio circa gli stanziamenti per Base Marte?»
Lui annui brevemente. «Si, e la ringrazio per la preziosa collaborazione. L’esito del voto ci ha notevolmente confortati.»
«Era quello che mi auguravo. Cos’altro posso fare per lei?»
«Signorina Greenberg, avrei un problema.»
«Sempre i regolamenti NASA?»
«No. Stavolta e una questione… personale.» S’impantano per qualche secondo in un silenzio imbarazzato. Aveva senso coinvolgere nelle sue beghe famigliari una nonmutante che conosceva appena?
«Si?» Probabilmente era una nota d’impazienza, quella che si coglieva nella sua voce. In effetti le stava rubando tempo. Che aveva da perdere, comunque? La disperazione diede a Ryton la forza necessaria.
«Si tratta di mia figlia Melanie. Se n’e andata di casa. Almeno credo. Ci ha lasciato un messaggio in cui dice d’aver trovato lavoro a Washington.»
«Quanti anni ha?»
«Diciotto.»
Andrea Greenberg aggrotto la fronte. «Signor Ryton, da un punto di vista legale sua figlia e un individuo adulto. E riterrei che una mutante adulta dovrebbe essere in grado di badare a se stessa.»
«Lei non conosce mia figlia», replico Ryton. «Finora aveva sempre condotto un’esistenza protetta. E poi e una neutra.»
«Una neutra?»
«Si, disfunzionale. Priva di qualunque capacita mutante.»
Andrea Greenberg lo fisso interdetta, i grandi occhi verdi ricolmi di stupore. «Non avevo mai sentito parlare di mutanti disfunzionali.»
«Sono casi rari», ammise Ryton. «E inoltre preferiamo non parlarne.»
«Incomincio a comprendere le sue preoccupazioni.»
Ryton si chino, avvicinandosi allo schermo. «Signorina Greenberg, credo che mia figlia abbia deciso di dimostrarci qualcosa. O forse e una prova che vuol dare soprattutto a se stessa. Ad ogni modo ho paura che riuscira solo a dimostrare in quali pasticci sia capace di cacciarsi agendo di testa sua. Io e mia moglie siamo tremendamente preoccupati.»
«Non ne dubito, signor Ryton. Ma non puo darsi che Melanie abbia detto la verita? Forse ha davvero trovato un lavoro. Nel qual caso le vostre inquietudini sarebbero sostanzialmente ingiustificate.»
«Purtroppo non ci ha lasciato alcun recapito. Non abbiamo neppure modo di contattarla. In pratica non so che cosa fare. Potrebbero violentarla. Ucciderla. Non sarebbe la prima volta.» Ryton si sentiva nell’umiliante posizione di un supplice che nudo e pieno di vergogna esponesse le proprie miserie al giudizio di Andrea Greenberg. Proprio mentre incominciava a disperare di convincerla ad aiutarlo, l’espressione di lei si addolci.
«Ho capito», disse Andie. «Ascolti, penserei di rivolgermi a qualcuno che conosco nella polizia di qui, per vedere se si puo arrivare a capo di qualcosa. Non posso prometterle nulla, naturalmente.»
«Signorina Greenberg, non so proprio come esprimerle la mia riconoscenza…» disse Ryton con voce tremante.
Lei aveva un’aria imbarazzata. «Be’, faro quel poco che posso…»
«Questa e la seconda volta che accetta di aiutarmi. Spero, un giorno o l’altro, di poterla ricambiare. Grazie.»
«La chiamero io non appena so qualcosa. A presto, mi auguro.» La sua immagine svani.
Ryton incomincio a raccogliere i fogli gialli che gli stavano sparpagliati dinanzi. Ora che conosceva Andrea Greenberg, si disse, non gli sarebbe piu stato cosi facile condannare in blocco tutti i normali…
Lo
Antiquati tubi al neon lampeggianti in rosa e verde lungo le pareti, e crioluci ammiccanti dal robostereo nell’angolo, costituivano le uniche fonti d’illuminazione. Ogni volta che si muoveva, Melanie sentiva qualcosa scricchiolarle sotto i piedi. Si appoggio a uno sgabello, cercando di non rovesciare il portacenere stracolmo che ci stava attaccato.
«Girati un po’, ragazzina», ordino l’uomo con voce rauca. Aspiro da una cicca che stringeva disinvoltamente fra pollice e indice, poi la getto di scatto dentro il lavello del bancone.
Lei fece una rapida giravolta, sentendosi terribilmente a disagio nei suoi jeans attillati.
«Piu piano.»
Melanie obbedi.
«Le gambe vanno bene. Anche il culetto e a posto. E adesso vediamo le tette.»
«Come?»
L’uomo fece un gesto di impazienza. «Avanti, poche storie. E un numero di danza orientale. E le danzatrici orientali devono averci le tette al bacio. Lo vuoi questo lavoro oppure no?»
Cio che Melanie avrebbe voluto, era filarsela alla svelta, ma quel lavoro le serviva assolutamente. Doveva farsi coraggio, e rimanere. Si tolse la camicetta con dita maldestre.
«Anche il reggiseno.»
Se lo sgancio, lieta della penombra. L’uomo rimase a guardarla per quella che a lei parve un’eternita.
Finalmente annui. «Carino. Piccolo ma carino. Che strano, chissa perche, non credevo che le tette d’una mutante fossero come quelle di tutte le altre. Va bene, bimba, il lavoro e tuo. Torna verso le sei e mezzo, cosi una delle altre ragazze ti spiega come funziona qui da noi. Dabbasso, nell’armadietto numero quattro, troverai un costume per te. Tenerlo in ordine e compito tuo. La paga e di trecentocinquanta crediti la settimana, piu le