del Libro lo intono con voce vibrante.
E allorche riconoscemmo la nostra alterita,
Scoprendoci mutanti e pertanto diversi,
Reagimmo sottraendoci,
Segregando quanto v’era in noi di piu difforme,
E cosi offrendo un volto innocuo
Ai ciechi occhi del mondo.
Formammo la nostra comunita in silenzio, nel segreto,
Ci donammo l’un l’altro amore e partecipazione,
E attendemmo l’avvento di un tempo migliore,
Un’era in cui poter condividere
Anche fuori del nostro cerchio.
Uniti perseveriamo nell’attesa.
Halden richiuse il Libro.
«Uniti perseveriamo nell’attesa», intono, facendogli eco, lo sparuto gruppo intorno a lui.
«Congiungete le vostre mani, adesso, e condividete insieme a me», mormoro Halden, chinando la testa e serrando le palpebre. Tese le mani da entrambi i lati stringendole a quelle di chi gli stava a fianco, e altrettanto fecero gli altri intorno al gran tavolo, finche tutti non si strinsero per mano.
Vincendo una certa esitazione, anche Michael chiuse gli occhi, e subito si senti coinvolgere nel familiare flusso della neuroconnessione. Egli temeva e al tempo stesso amava quel momento, quando l’autocoscienza si affievoliva per venir sostituita dal brusio della mente di gruppo, quel suono tutto cerebrale che non assomigliava all’articolazione di ben distinte parole, ma consisteva piuttosto in una rassicurante vibrazione, come il ronzio di numerose api in armonioso unisono. Si rilasso, lasciandosi sprofondare nella calda intimita di quel legame. In esso ogni cosa veniva compresa, ogni cosa accettata e perdonata. Perche in esso v’era amore. Fluttuo e si stiracchio nel tepore della mente di gruppo come un pigro gattino sonnacchioso al sole. E allorche, traslocando attraverso impercettibili variazioni, il mormorio mentale prese quietamente a ritrarsi da lui, man mano respingendolo nella solitudine della sua soggettiva consapevolezza, egli assecondo con pari abbandono il progredire di quel riflusso.
Quando infine riapri gli occhi, il suo orologio lo informo che era trascorsa un’ora. Sebbene gia diverse volte avesse vissuto quell’esperienza, Michael non cessava di meravigliarsi di come un cosi lungo lasso di tempo potesse concentrarsi in quelli che parevano solo brevi istanti. Senti freddo, e si rinfilo la giacca a vento.
Accanto a lui la gente sbadigliava, si stropicciava gli occhi, sorrideva dolcemente. Sua zia Zenora gli fece l’occhiolino di la dal tavolo e Michael rispose con un gran sorriso, pensando ai celestiali pasticcini nocciolati che lei aveva probabilmente messo da parte per dopo. In effetti il loro aroma, un irresistibile profumo di cioccolato, aleggiava ancora nella stanza.
Si apri la porta esterna e fece il suo ingresso, a labbra contratte, il padre di Michael.
«James, hai perduto la condivisione», l’apostrofo immediatamente Halden brontolando. «Affari come al solito?»
«Temo proprio di si», rispose Ryton mentre la sua espressione si addolciva. «Halden, lo sai bene quanto mi dispiace mancare a una condivisione. Specialmente ora che sei tu il Custode del Libro.»
«Be’, puoi sempre rifarti nell’incontro di domani, cugino», lo consolo Halden. «Vieni a bere qualcosa.»
I due uomini si scambiarono un rapido abbraccio accompagnato da reciproche pacche sulle spalle.
Che strana coppia, penso Michael. Suo padre era esile e biondo, mentre lo zio aveva la pelle olivastra e campeggiava massiccio come un orso. Quanto a questo, comunque, nella cerchia del parentado mutante se ne trovavano diversi di individui dall’aspetto inconsueto. E lui sapeva che tale circostanza trovava ogni volta spiegazione nelle Cronache. Anzi, diciamo pure che, a prendersi la briga di esaminarle con attenzione, vi si scovava una spiegazione a tutto. Purtroppo le Cronache erano scritte in un linguaggio antiquato e tutt’altro che scientifico, e cio non contribuiva certo a dissipare le sue perplessita.
I mutanti avevano fatto la loro prima comparsa oltre seicento anni prima, apparentemente preceduti da qualche peculiare evento meteorologico. Le Cronache parlavano di piogge di sangue e nascite di vitellini a due teste. Ma, a quel che ne sapeva Michael, casi del genere parevano verificarsi di continuo, durante il Quindicesimo secolo.
Gli risultava, inoltre, che sia gli scienziati mutanti sia gli studiosi normali ritenevano che una naturale tendenza alla mutazione fosse incrementata dall’esposizione a taluni generi di radiazioni. Il passaggio di una cometa, o magari una pioggia meteorica, potevano quindi dar luogo, nella generazione immediatamente successiva, a una congerie di mutazioni. In molti casi si trattava di mutazioni terminali: eccentriche, sterili, condannate in partenza. Ma la progenie dell’
Quanto agli occhi dorati, si trattava di un curioso effetto collaterale a proposito del quale esistevano numerose teorie. Per gran parte dell’anno Michael aveva la sensazione che tutta la faccenda si presentasse con i connotati di una fiaba. Finche l’inesorabile trascorrere dei mesi non tornava a immergerlo nella stagione dei mutanti.
Da bambino egli aveva ascoltato con incantata attenzione, durante la narrazione rituale che si celebrava ogni anno, la storia del suo clan. Al punto che ormai sarebbe stato in grado di ripeterla persino dormendo. I suoi antenati avevano lottato per sopravvivere, acutamente consapevoli dei propri strabilianti poteri e della possibilita che essi suscitassero terrorizzate, violente reazioni da parte della ben piu ampia popolazione «normale». Avevano quindi creato comunita chiuse, segrete, lontane da sguardi indiscreti e da domande imbarazzanti. Per secoli i mutanti erano vissuti ai margini della societa facendo i ladri, gli alchimisti, le streghe, i venditori di pozioni miracolose. Alcuni erano finiti arsi sul rogo. Altri avevano accumulato inimmaginabili ricchezze. Parecchi avevano lavorato nel mondo del circo. I mutanti eccellevano, come fenomeni da baraccone. E ancor piu come protagonisti di acrobatiche imprese ladresche…
Eccentrici, riservati, solitari, erano dunque sopravvissuti e si erano moltiplicati, senza pero mai liberarsi delle non poche minacce incombenti su di loro. A parte il timore costante, soprattutto in passato, di venire scoperti e perseguitati, i mutanti avevano dovuto sempre fare i conti con la consapevolezza che il loro arco vitale era piu breve di quello dei normali appartenenti alla specie
Una comunita dentro l’altra. Il ceppo mutante era stato preservato, e a caro prezzo, tramite la rigorosa adozione di accoppiamenti endogamici. Nulla di strano che gente come suo padre divenisse particolarmente suscettibile, quando si trattava di sottoporre il risultato al pubblico giudizio. L’orgoglio per la propria discendenza continuava ancora a mescolarsi con l’incertezza circa quella che sarebbe stata la reazione dei normali. Ma il pensiero di trascorrere la vita intera recluso in seno alla famiglia cominciava a divenire intollerabile, per Michael. Quattro anni di universita gli avevano mostrato che fuori del clan si stendeva un intero mondo sfavillante di possibilita.
Volgendo lo sguardo in giro per la stanza, Michael vedeva un compatto gruppo di amabili individui che probabilmente non avrebbero mai compreso il suo stato d’animo. Lo zio Halden era di ossatura forte e ventre abbondante. Accanto alla sua solidita da plantigrado, il padre di Michael — bionda capigliatura, carnagione dalle calde tonalita ambrate — appariva ancor piu esile e basso di statura. Michael sapeva di assomigliare piu che altro a suo padre, sebbene le ascendenze asiatiche materne avessero donato alla sua pelle una sfumatura leggermente piu complessa, e ai suoi occhi una forma piu esotica. Uno dei tanti aromi scaturiti dal crogiolo mutante, tutto qui.