chi le aveva era espressamente proibito violare l’intimita della psiche altrui. Per avere risposta alle proprie domande, Skerry non si sarebbe azzardato a prendere la scorciatoia dell’intrusione mentale.

«Dietro il bar.»

Michael discese rapidamente e s’incammino sulla sabbia in direzione del plumbeo edificio malandato, ammassato di assi di legno come difesa contro l’inclemenza dell’inverno. Diede un’occhiata dietro l’angolo posteriore. Nient’altro che casupole fatiscenti e sabbia.

«Fochino, focherello…»

«Dai, Skerry, piantala!» Magari quel mattacchione era li a due passi, ma non sarebbe mai riuscito a trovarlo se lui non avesse deciso di farsi vedere.

Udi dietro di se un rumore simile a quello di un mazzo di carte che viene scozzato, e volgendosi scorse grigie barre diagonali che andavano lentamente solidificandosi, con effetto video, nella figura di suo cugino. Il solito vecchio Skerry. Giaccone a vento verde di tipo militare, jeans e stivali, ricciuti capelli castani, barba, e quegli occhi sfolgoranti identici ai suoi. Mentre pero Michael aveva un fisico asciutto e nervoso, Skerry era grosso, pesante, muscoloso, con spalle molto ampie e polpacci che davano l’impressione di poter calciare un pallone da un’estremita all’altra del campo di gioco. O magari abbattere un albero. Adesso era li che lo fissava, denti bianchi incorniciati da un sorriso beffardo. A Michael suo cugino piaceva, anche se non avrebbe potuto dire di fidarsene ciecamente. Ma non ne diffidava neanche, d’altronde. In effetti era difficile non provare sentimenti ambivalenti nei confronti di un telepate che andava e veniva come un fantasma.

«Hai litigato un’altra volta col tuo vecchio, eh?»

«C’eri anche tu, all’assemblea?»

«Be’, diciamo che non perdo mai di vista parenti e amici.»

«Quindi saprai come stanno le cose. Vogliono che sposi Jena. Che rimanga in carreggiata. Che mi occupi delle questioni famigliari. Che faccia il bravo bamboccio mutante.»

«Non ne puoi piu, vero?»

«Proprio cosi.»

«E allora vattene.»

Michael scosse la testa con aria imbarazzata. «Non posso. Forse tu si, ma i miei morirebbero se lasciassi la ditta e me ne andassi dalla citta.»

Per tutta risposta Skerry diede una scrollata di spalle, tiro fuori uno stuzzicadenti e se lo caccio in bocca con fare spavaldo.

«Dove sei stato?» gli chiese Michael.

«Un po’ qui, un po’ la. Il mondo e grande.» Si avvio lentamente lungo la spiaggia, invitando con un gesto Michael ad accompagnarlo. Camminarono fianco a fianco, in silenzio, per diversi minuti. D’un tratto Skerry si fermo, rivolse al cugino un’occhiata ferma e penetrante, getto lo stuzzicadenti fra le onde.

«Non puoi passare la vita intera a dar retta a loro. Diventeresti matto. E non parlo di follia mutante. Ora come ora hai piu possibilita di quel che credi, ma devi approfittarne subito, prima che sia troppo tardi. L’esistenza di noi mutanti e particolarmente breve, non dimenticarlo. Breve e tutt’altro che a lieto fine. Vattene, quindi, e cerca di scoprire te stesso.»

«Come hai fatto tu?»

«Perche no?»

«Piu facile a dirsi che a farsi… E poi, se sei scappato, che ci stai a fare qui?»

Skerry scrollo nuovamente le spalle. «Nostalgia. A parte il fatto… che cosa ti fa credere che ci sono davvero?» Sorrise, e i contorni della sua figura incominciarono a svanire.

«Aspetta, Skerry, non te ne andare.»

«Dolente, ragazzo, tempo scaduto. Ripensa a quello che ti ho detto. Fila via, finche puoi. Mi terro in contatto.»

Parve a Michael che l’ultima cosa a dileguarsi, di Skerry, fosse quel gran sorriso.

Melanie diede un bel morso al suo pasticcino gustandone l’intenso, appagante sapore. Era questa la fase del convegno che tutti attendevano con ansia: il momento di aggiornarsi sugli ultimi pettegolezzi e ammirare i nuovi membri del clan e discutere di politica. Specialmente discutere di politica. Oh, certo, tutti agognavano quel momento. Tutti tranne lei.

Osservo i ragazzi piu giovani levitare in cerchio vicino al focolare, e per un attimo desidero poter tornare bambina per unirsi a loro. Ma non era solo la differenza di eta a separarla dal gruppo gioioso riunito accanto al caminetto, e dal resto del clan che affollava la stanza. Anche Melanie, senza dubbio, era una mutante. Per sincerarsene bastava uno sguardo a quei suoi occhi dorati. Ma era una neutra, lei. Una mutante disfunzionale.

Tutti quanti nel clan, si capisce, la trattavano cortesemente. Anche troppo. Si comportavano con lei come se fosse una ritardata mentale. La loro pieta non era meno difficile da sopportare del disprezzo che a scuola le manifestavano i nonmutanti.

Guardo Marol che dall’altra parte della stanza si coccolava tutta orgogliosa il figlioletto Sefrim, beatamente addormentato in piena levitazione sul grembo di sua madre.

Ho meno capacita di un mutante appena nato, penso Melanie.

Desidero essere scappata via insieme a Michael. O almeno aver portato con se un po’ della Valedrina di sua madre. Incominciava a detestare quegli incontri quanto il fratello maggiore. Anzi, di piu. Michael almeno era un vero mutante. Lei, invece, che cos’era?

Non piangere, si disse, facendo uno sforzo violento. Non farti veder piangere.

A che cosa le serviva avere gli occhi dorati, se poi non possedeva neanche un’ombra di capacita mutanti? E dire che si era esercitata in segreto per ore e ore, in camera sua, pregando che lo sviluppo di quegli agognati poteri fosse solo in ritardo…

Avrebbe dovuto essere una telecinetica, se lo sentiva nelle ossa. Ma per quanti sforzi avesse fatto, sino a procurarsi tremende emicranie a causa della feroce concentrazione con cui aveva tentato di spostare un’arancia da una parte all’altra della stanza, o almeno da un capo all’altro del tavolo, non aveva mai ottenuto nulla. L’arancia era rimasta immobile al suo posto.

Raggiunta poi la maturita sessuale, Melanie aveva incominciato a perdersi d’animo. A quell’eta accadeva molto raramente che una ragazza mutante non avesse ancora sviluppato in pieno il proprio particolare talento. Aveva quindi cercato almeno di comprendere, se non di rassegnarsi. Ma quando in Michael era sbocciato un secondo potere, Melanie si era definitivamente convinta che qualche crudele e maligna divinita doveva averla prescelta per divertirsi a tormentarla. Michael non solo aveva avuto il talento che gli spettava, ma anche quello che sarebbe dovuto andare a sua sorella!

Sentendo sulla spalla il tocco delicato e affettuoso di una mano alzo gli occhi, e incontro il sorriso di zia Zenora. La moglie di zio Halden, corpulenta e appariscente com’era, sembrava creata apposta per far coppia con lui, penso Melanie. Lungo una manica ostentava una mezza dozzina di aurei simboli della fraternita mutante: sei occhi d’oro bordati da una cornice di braccia intrecciate. Zenora era impegnata nell’Unione mutante, e alle riunioni di clan non perdeva occasione per distribuire i suoi distintivi.

«Allora, come va la scuola?» le chiese zia Zenora abbracciandola.

«Oh, me la cavo, credo.»

«Dovresti essere… vediamo… in terza?»

«No, frequento l’ultimo anno.»

«Ah, bene, allora starai gia pensando all’universita, a una professione?…»

Melanie si strinse nelle spalle. «Papa vuole che rimanga a lavorare con lui.»

«Mi pare una buona idea.»

«Puo darsi.» In realta il solo pensiero di lavorare insieme a suo padre e a suo fratello le faceva venire il mal di stomaco. Quel che le sarebbe piaciuto fare era la giornalista televisiva. Diventare la prima videocronista mutante. Ma si trattava di un’eventualita improbabile quanto il fatto che lei si mettesse d’improvviso a levitare e a camminare sul soffitto.

Zenora si fece trascinare in una discussione politica in cui ogni tre frasi sembrava ricorrere il nome della senatrice Eleanor Jacobsen. Melanie scrollo il capo. La politica l’annoiava a morte. Vide sua madre seduta sul vecchio divano rosso, e ando da lei.

«Sempre in prima linea, la zia Zenora», osservo Sue Li sorridendo.

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