Michael tiro su le ginocchia, ci appoggio la fronte, e rimase li, a dondolarsi disperatamente sulla sabbia umida. Di sotto le palpebre serrate, copiose gli sgorgavano le lacrime.

Kelly, pensava. Oh, Kelly, mi dispiace, mi dispiace…

Senti la mano di sua madre poggiarglisi delicatamente sul collo. Soffocando un singhiozzo rialzo la testa, a pugni stretti si caccio via le lacrime dagli occhi. Fisso per qualche tempo i flutti grigioverdi, impegnati nella loro eterna, ritmica danza con la gravita. Infine annui.

Va bene.

«Tornero. Per il bambino. E per te.»

«Dici sul serio?»

Ancora una volta Michael annui.

Si rialzo. Aiuto sua madre a fare altrettanto.

«Ti voglio bene, Michael», gli disse, sollevandosi in punta di piedi per deporgli un bacio sulla guancia. «E soffro insieme a te.»

«Mamma, continuero ad amarla sempre.»

«Lo so.»

Lo prese per mano. S’incamminarono insieme per fare ritorno all’assemblea del clan, col mantello di Sue Li che palpitava al vento avvolgendoli nelle sue pieghe.

Al loro ingresso nella sala del convegno, Halden li accolse con un sospiro di sollievo.

«L’hai trovato? Bene. Non mi andava proprio di aspettare un altro giorno.» Trasmise mentalmente un invito all’ordine che tutti i presenti con prontezza recepirono. Quindi si rivolse a Michael.

«Sei tornato di tua spontanea volonta?»

Michael rimase qualche attimo in silenzio. Volse lo sguardo attorno, sui membri del suo clan. Cento occhi dorati scintillarono di rimando.

«Si», rispose. «Chiedo perdono per l’interruzione.»

«Lo credo bene!» osservo Tela con voce dura.

«Ritengo che dovremmo mostrare comprensione per il momentaneo disorientamento del nostro giovane confratello», propose Halden in tono benevolo.

Attorno al tavolo, cinquanta teste annuirono.

Michael sedette accanto a Jena. Lei gli sorrise trepida, raggiante in volto.

Mi ama veramente, penso Michael. Abbastanza da aver deciso di legarmi a lei in questo modo. Al punto di rischiare la mia collera, il mio odio, la mia ripulsa.

Guardo la sua promessa sposa. Era bella. Alta, giovane, bionda.

Gli venne subito in mente un’altra donna, piu bassa, capelli neri e sorriso vivace. Le sue labbra si strinsero in un moto d’angoscia.

Kelly, penso. Ho aspettato troppo.

Jena gli strinse la mano. Michael poso nuovamente lo sguardo su di lei. Non l’amo, si disse. Ma forse neppure la odio. E puo darsi che col tempo riesca a mostrarle almeno gentilezza, se non amore.

Si afferro a quella mano, Michael, e chiuse gli occhi, mentre Halden iniziava a intonare il canto che segnava definitivamente il suo destino.

Fra le braccia del clan, noi siamo una famiglia.

Nei limiti del cerchio interno, noi siamo uno.

Dalle epoche lontane fino al futuro piu remoto,

Andiamo innanzi come abbiamo sempre fatto,

Insieme, mano nella mano, cuore dentro cuore,

mente nella mente. Il diritto a nuova vita

ci congiunge, e siamo uno.

La spiaggia era formata di nera sabbia vulcanica, costellata di sfavillanti scagliuzze di mica. In questa insolitamente tiepida giornata d’inverno, la scura coltre assorbiva con avidita l’energia di un solicello pallido, divenendo talmente calda che era un’impresa camminarvi a piedi nudi. Andie corse strillando verso la salvezza del grande telo da bagno. Stephen alzo la testa dal videotaccuino, sorridendo di sotto l’ampio panama.

«Ah, che razza di paradiso!» esclamo Andie in tono afflitto, massaggiandosi le dita sbollentate. «Quando mi proponesti Thera, chi mai avrebbe immaginato che mi sarebbero venute le vesciche sotto i piedi…»

«Su, prendi un goccio», propose Jeffers, passandole una caraffa a pressione colma di vino resinato. «Sentirai che sollievo.»

E torno al suo miniterm.

Andie inghiotti un lungo sorso della bevanda verde chiaro, odorosa di pino, dal cui gusto fresco e acidulo trasse immediato refrigerio. Si distese sulla sedia a sdraio e rimase a contemplare le acque turchesi dell’Egeo. Che bella idea era stata venire fin li! Avevano trascorso i tre giorni precedenti esplorando le rovine ammantate di cenere di Akrotiri, avventurandosi per i sentieri che percorrevano la dorsale dell’isola, e facendo l’amore nel loro appartamento privato, lussuoso rifugio fra le mura bianche di calce dell’albergo appollaiato sulle pendici dell’antichissimo vulcano. Washington era lontana migliaia di miglia. Andie chiuse gli occhi, lasciando alla carezza del sole il compito di versarle sulle membra il nettare di una deliziosa sonnolenza…

Un urlo la ridesto dal dormiveglia. Due donne tarchiate in neri costumi da bagno, ferme sulla battigia, gridavano e si sbracciavano a indicare qualcosa. Lontano dalla spiaggia, laggiu dove l’acqua si faceva azzurro intenso, una piccola testa nera ballonzolava tra i flutti. Troppo lontano. La testolina ando sotto. Riemerse sputacchiando. Ando sotto di nuovo.

«Stephen! C’e un bambino che sta annegando!» grido Andie.

Balzo in piedi e corse verso la linea dei frangenti. Discreta nuotatrice, Andie, fra le placide sponde di una piscina. Ma questo era il mare, freddo e possente, percorso da onde inesorabili. Non appena in acqua, dovette fare i conti con la corrente di marea. Era cosi lontana, quella testolina nera. Dopo poche bracciate si trovo a corto di fiato. Poi si vide sorpassare da un altro nuotatore, che senza muovere le gambe procedeva rapido lasciandosi dietro una turbolenta scia biancheggiante.

Riguadagnata a fatica la riva, Andie resto li ansimante a guardare la piccola testa che ancora una volta andava giu. Attese, col fiato sospeso, di vederla rispuntare. Poi un’altra testa, piu grande, dai capelli piu chiari, fluttuo nel medesimo punto.

Jeffers.

Come poteva esser giunto fin la tanto in fretta?

Si immerse: la sua schiena, un guizzo lucido nel sole, scomparve. La gente, sulla spiaggia, guardava e aspettava, ansiosa. I secondi si trascinavano interminabili. D’improvviso, un fiotto d’acqua verde eruppe dai marosi e il bambino schizzo fuori come un turacciolo di sughero, seguito immediatamente da Jeffers. Questione di attimi, e i due furono sulla spiaggia, attorniati da una folla vociante.

Jeffers boccheggiava esausto, ma il ragazzo giaceva immobile, con le labbra cianotiche. Andie comincio a praticargli la respirazione artificiale. Chiamare un robomedico? Ma avrebbe fatto in tempo? Il bambino rimaneva inerte, insensibile.

«Per favore…» mormorava Andie. «Non morire… Per favore…»

Due mani fredde l’afferrarono per le spalle, tirandola via.

«Lascia fare a me.»

Jeffers si accovaccio, pose una mano sul petto del bambino, l’altra sulla sua testa, e chiuse gli occhi. Profonde rughe di concentrazione gli solcarono la fronte. Prese a borbottare qualcosa di gutturale, una bizzarra sequela di suoni indefinibili. Le labbra gli si ritrassero sui denti in una smorfia selvaggia. E d’un tratto il piccolo corpo fu squassato da una contrazione violenta. Tesi allo spasimo, fasci di muscoli sporgevano sul collo di Jeffers. Il bambino tossi e incomincio a piangere. La giovane madre cadde in ginocchio e se lo strinse al petto, singhiozzando di gioia, mentre intorno la folla applaudiva.

Pallido e stordito, Jeffers ricadde all’indietro, respirando affannosamente. Andie afferro la caraffa del vino e gliela porse. Egli bevve avidamente. In pochi istanti il suo viso riprese colore, il suo respiro rallento.

«Mi e toccato andare parecchio a fondo, per ritrovarlo», disse.

«L’acqua era molto alta, laggiu?» gli chiese Andie.

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