credono, e in questo modo, non e poi cosi diverso da Piper’s Run.
Incespicarono e arrancarono sul bianco pendio, tra i massi rivestiti di bianco, artisticamente disposti in un aspetto di abbandono. Verso meta del pendio, Esau impreco e trasali, e anche Len si fermo un momento, scorgendo confusamente un’indistinta figura scura in movimento, solitaria e furtiva in mezzo a tutto quel biancore.
La forma, parlo, chiamandoli, ed era Gutierrez. La neve si era accumulata sulle spalle e sul berretto, come se l’uomo fosse rimasto immobile per qualche tempo, in attesa. Ma era sobrio, e il suo volto era serio e composto, e amabile.
«Mi dispiace di avervi spaventato,» disse. «Temo di avere dimenticato la mia chiave del cancello. Vi dispiace se entro con voi?»
La domanda era puramente rettorica. I tre proseguirono insieme la strada. Len guardava con malcelato imbarazzo Gutierrez, pensando alle lunghe ore notturne che l’uomo aveva passato tra le carte e la tazza. Sentiva dispiacere per lui, e ne aveva anche un po’ paura. Avrebbe desiderato rivolgergli molte domande sulla Soluzione Zero, e sul motivo per cui non potevano essere sicuri che una cosa esistesse senza prima impiegare cento o duecento anni di lente e faticose ricerche per scoprirlo. Desiderava disperatamente interrogarlo, ma non disse niente. Neppure Gutierrez disse niente. E perfino Esau parve comprendere la situazione, e tacque.
Dietro il cancello di sicurezza c’era un monticello di neve accumulata in quelle ore, e piu avanti il corridoio era scuro e freddo, un luogo che non vedeva mai il sole. Gutierrez li precedette. Quella prima volta aveva incespicato, ma ora camminava con sicurezza, con la testa diritta e le spalle erette. Len sentiva il suo respiro, il respiro un po’ affannoso di un uomo che ha fatto una corsa faticosa, ma Gutierrez non aveva fatto nessuna corsa. Quando il corridoio giro a gomito, e apparvero le luci, lontano, sopra la porta interna, Gutierrez era gia molto avanti, e Len ebbe la strana, inquietante impressione che l’uomo li avesse completamente dimenticati.
Lo raggiunsero davanti agli scrutatori, fermandosi per il tempo necessario. Gutierrez fissava direttamente la porta d’acciaio, e quando essa si apri, egli s’incammino con decisione lungo il corridoio. Jones usci dalla stanza di controllo, e lo segui con lo sguardo, borbottando:
«Cosa sta facendo, qui?»
Esau scosse il capo.
«E entrato con noi. Ha detto di avere dimenticato la chiave. Immagino che abbia qualche lavoro da svolgere».
Jones scosse il capo a sua volta.
«Erdmann non sara contento. Oh, be’, nessuno mi ha detto di lasciarlo fuori, quindi ho la coscienza a posto». Sogghigno. «Fatemi sapere che cosa succede, d’accordo?»
«L’altra sera era ubriaco,» disse Len. «Non credo che possa accadere nulla, adesso».
«Lo spero proprio!» protesto Esau. «Io voglio vedere il cervello in funzione».
Lasciarono i giacconi in un ripostiglio, e si affrettarono a scendere al piano inferiore, passando davanti alle immagini di Hiroshima e delle sue vittime dai tragici, impassibili occhi. Quando furono davanti alla porta, udirono le voci.
«No, mi dispiace, Frank. Te lo assicuro. Lasciamelo dire, ti devo delle scuse».
«Non pensarci piu, Julio. Sono cose che capitano a tutti. Ormai e acqua passata».
«Grazie,» disse Gutierrez, con immensa dignita, in tono molto contrito.
Len esito, davanti alla porta, guardando obliquamente Esau, il cui volto era il ritratto dell’indecisione.
«Come funziona?» domando Gutierrez.
«Meravigliosamente,» rispose Erdmann. «Liscia come l’olio».
Le voci tacquero. D’un tratto, Len senti che il cuore gli balzava in gola, e un freddo nodo di paura gli strinse lo stomaco, perche adesso si udiva una nuova voce nella stanza, una voce che lui non aveva mai udito prima. Una voce piccola, secca, fatta di bisbigli e ticchettii affaccendati, la voce di Clementina.
Anche Esau la udi.
«Sia come sia, non m’importa,» bisbiglio. «Io entro!»
Entro, e Len lo segui, camminando in punta di piedi. Guardo Clementina, e lei non era piu addormentata. I molti occhi dei pannelli erano luminosi e ammiccanti, e per tutto quel possente intreccio di fili c’era un’animazione, un brivido, un sottile pulsare di vita.
Lo stesso pulsare, penso Len, che batte di sotto. Il cuore e il cervello.
«Oh,» disse Erdmann, quasi con sollievo. «Salve».
La velocissima tastiera di risposta ticchetto furiosamente, e Len trasali violentemente. Gli occhi sui pannelli ammiccarono, come se stessero ridendo, e poi ci fu calma e silenzio, e gli occhi furono di nuovo bui, con l’eccezione di una luce fissa che continuava ad ardere per indicare che Clementina non stava dormendo, era vigile e sveglia.
Esau respiro, piano. Ma non disse niente, perche Gutierrez fu piu veloce di lui a parlare.
Gutierrez aveva preso da una tasca del giaccone alcuni fogli. Apparentemente, non si accorgeva che c’era qualcuno, nella stanza, oltre a Erdmann. Porse i fogli all’altro, e disse:
«Mia moglie pensava che io non dovessi venire qui a disturbarti, oggi. Ha nascosto la mia chiave del cancello di sicurezza. Ma, naturalmente, era una cosa troppo importante, per aspettare».
Abbasso lo sguardo sui fogli.
«Ho completamente rifatto tutta la sequenza di equazioni. Ho trovato l’errore».
Qualcosa parve irrigidirsi, nel volto di Erdmann, e la sua espressione si fece cauta.
«Si?»
«E evidentissimo, puoi vederlo tu stesso. Ecco».
Mise i fogli in mano a Erdmann. Erdmann comincio a esaminarli. E subito apparve sul suo volto un’espressione di acuto disagio, di dispiacere e sconforto.
«Vedi, no?» disse Gutierrez. «E chiaro come la luce del sole. Clementina ha commesso un errore, Frank. Te l’avevo detto. Tu dicevi che non era possibile, e invece e cosi».
«Julio, io…» Erdmann scosse il capo, lentamente, e lancio un’occhiata disperata a Len, e non trovando aiuto da quella parte ricomincio a sfogliare nervosamente i documenti che l’altro gli aveva dato.
«Non vedi, Frank?»
«Be’, Julio, tu sai bene che io non sono un matematico…»
«Accidenti,» esclamo Gutierrez, impaziente. «Come hai fatto a diventare ingegnere elettronico, allora? Ne sai abbastanza per capire l’errore. E chiarissimo. Lo capirebbe anche un bambino». Si piego sui fogli che Erdmann teneva in mano. «Qui, e qui, vedi?»
Erdmann disse:
«Cosa vuoi che faccia per te, allora?»
«Be’, sottoporre di nuovo le equazioni, per correggerle. Poi avremo la risposta, Frank. La risposta!»
Erdmann si inumidi le labbra.
«Ma se ha commesso un errore una volta, potra commetterne un altro, Julio. Perche non chiedi a Wentz o a Jacobs…»
«No. Impiegherebbero l’intero inverno… forse un anno. Clementina puo fare tutto subito, ora. L’hai provata. L’hai detto tu. Hai detto che va liscia come l’olio. E per questo che ho voluto venire qui oggi, mentre e ancora fresca e pronta, non e stata ancora usata dopo la revisione. Ora non puo commettere lo stesso errore. Avanti, sottoponi le equazioni».
«Io… bene,» disse Erdmann. «Va bene, Julio».
Si avvicino al meccanismo e comincio a trasferire i dati su nastro. Gutierrez aspetto. Indossava ancora il pesante giaccone che aveva usato fuori, nella neve, ma non pareva trovarlo scomodo, ne avvertire il caldo dell’ambiente. Osservava Erdmann, e di quando in quando fissava il computer e sorrideva e annuiva, come un uomo che ha colto in errore una persona molto presuntuosa, e vuole godersi fino all’ultimo la propria rivincita. Len si era ritirato ai margini della stanza, cercando di svanire sullo sfondo della scena. Non gli piaceva l’espressione di Erdmann. Comincio a domandarsi se non avrebbe fatto bene ad andarsene, e poi le luci sui pannelli cominciarono ad ammiccare e a brillare, e la voce sommessa ronzava e mormorava e ticchettava, e Len fu affascinato come Esau, e non pote piu muoversi.
Trasali, quando Erdmann si rivolse a loro, dicendo:
«Saro libero tra un momento. Allora potro rispondere alle vostre domande».
«Preferite che ritorniamo piu tardi?» domando Len.
«No,» disse Erdmann, lanciando un’occhiata di sbieco a Gutierrez. «No, restate qui».
Clementina comincio a riflettere, borbottando sommessamente tra se. A parte quel rumore di sottofondo, nella stanza c’era un grande, bizzarro silenzio. Guttierez era calmo, diritto, con le mani conserte, in attesa. Erdmann appariva teso e nervoso e malinconico. C’erano delle goccioline di sudore sul suo viso, e continuava ad asciugarsele, passandosi la mano sulla bocca e sulla fronte e guardando Gutierrez con un’espressione di totale disperazione.
«Ho paura che durante la revisione abbiamo trascurato alcuni circuiti, Julio. Non e stata revisionata completamente. Puo darsi che…»
«Parli come mia moglie,» sorrise Gutierrez. «Non preoccuparti, la risposta uscira».
Si udi il ticchettio che preannunciava la risposta. Erdmann fece un passo avanti. Gutierrez lo scosto con una gomitata, e strappo la striscia di carta dalla fessura, e guardo la risposta. Il suo volto si oscuro, e poi tutto il colore scomparve dalle sue guance, lasciandolo livido e grigiastro e scosso, e le sue mani cominciarono a tremare.
«Che cosa hai fatto?» domando a Erdmann. «Che cosa hai fatto alle mie equazioni?»
«Niente, Julio».
«Guarda che cosa ha detto! Nessuna soluzione, ricontrollare i dati per eventuali errori. Nessuna soluzione. Nessuna soluzione…»
«Julio. Julio, per favore. Ascoltami. Hai lavorato per troppo tempo, su questo progetto, sei stanco. Ho sottoposto le equazioni alla macchina esattamente come me le hai fornite, ma le equazioni…»
«Le equazioni? Avanti, dillo, Frank. Avanti!»
«Julio, per favore,» ripete Erdmann, con un’aria smarrita, e tese la mano a Gutierrez, come si fa con un bambino per chiedergli di venirci accanto.
Gutierrez lo colpi, lo colpi cosi repentinamente, e cosi violentemente, che Erdmann non ebbe ne il tempo ne il modo di evitarlo. L’ingegnere elettronico indietreggio di tre o quattro passi, vacillando, e cadde sul pavimento, e Gutierrez disse, con voce terribilmente calma:
«Siete contro di me, tutti e due. Vi siete accordati, voi due, in modo che lei non mi desse mai la risposta giusta, qualunque cosa io avessi fatto. Ho pensato a te per tutto l’inverno, Frank, chiuso qua dentro con lei, ridendo, perche lei sa la risposta e non vuole dirmela. Ma la costringero a parlare, Frank. Gliela faro sputare, la risposta».
Aveva dei sassi nelle tasche. Per questo non aveva voluto togliersi il giaccone, nell’ambiente riscaldato di Bartorstown. Aveva raccolto molti sassi, grossi e aguzzi e pesanti, e li tiro fuori, uno dopo l’altro, e li lancio uno a uno contro Clementina, gridando, con gioia selvaggia:
«Te lo faro dire, puttana, lurida puttana traditrice, lurida puttana bugiarda, te lo faro sputare!»
Il cristallo sul pannello di comando si frantumo tintinnando. Scintille indicarono l’inizio di una serie di corti circuiti. Uno dei grandi recipienti di cristallo che contenevano una parte della memoria di Clementina si apri. Frank Erdmann si rialzo dal pavimento, vacillando, gridando a Gutierrez di fermarsi, chiedendo aiuto. E Gutierrez aveva finito i sassi, ora, e cominciava a picchiare i pugni sui pannelli, scalciando e picchiando, urlando, «Puttana, puttana, puttana! Te lo faro dire, parlerai, hai preso la mia vita, la mia mente, il mio lavoro, hai chiuso tutto dentro di te, te lo faro dire!»