La bacio cosi forte da farle male, con la mano nei suoi capelli, sotto il berretto di lana.
«Come ti sembra?»
«Len. Oh, Len, se mi ami, se mi ami davvero…»
Improvvisamente s’irrigidi, aggrappandosi ancor piu forte a lui, parlando precipitosa ed eccitata.
«Portami via di qua. Perdero la testa se dovro stare ancora qui rinchiusa. Se non fossi una ragazza, sarei gia andata via da sola, da molto, molto tempo, ma ho bisogno di te per andarmene. Len, ti adorerei per tutto il resto della vita».
Si ritrasse da lei, allora, lentamente, con cautela, come un uomo si ritira dall’orlo delle sabbie mobili.
«No».
«Perche, Len? Perche passare tutta la vita in questo buco, per qualcosa che non avevi mai sentito nominare prima? Bartorstown per te non e altro che un sogno, un sogno che hai avuto quando eri ragazzo».
«No,» ripete, con forza. «Te l’ho gia detto. Lasciami stare».
Fece per allontanarsi, ma lei si avvicino correndo sulla neve, venne davanti a lui, non lo lascio passare.
«Ti hanno riempito di tutte quelle belle storie sul futuro del mondo, vero? Le ho sentite da quando sono nata. Il fardello da portare, il sacro impegno». Vedeva il suo viso nel freddo, pallido riverbero della neve, sconvolto dall’ira che lei aveva serbato e nascosto per molto tempo, ma che ora fluiva libera dai recessi della sua mente. «Io non ho costruito le bombe, e non le ho lanciate, e non saro qui, tra cento anni, a vedere se lo rifaranno oppure no. Cosi, perche dovrei avere un debito? Perche dovrei avere un impegno, sacro o no? E perche tu dovresti averlo, Len Colter? Rispondimi».
Le parole salirono incerte alle sue labbra, ma lo sguardo di Joan fu cosi ardente che Len rimase muto.
«Non hai nessun impegno, tu!» disse lei. «Hai solo paura. Sei terrorizzato al pensiero di affrontare la realta, e di dovere ammettere di avere sprecato per niente tutti questi anni».
La realta, penso. L’ho affrontata, la affronto ogni giorno, una realta che tu non hai mai visto. Una realta nascosta da un muro di cemento.
«Lasciami stare», le disse. «Non andro, non posso. Cosi non parlarne piu».
Lei rise.
«Ti hanno detto tante cose lassu a Bartorstown, vero? Eppure scommetto che c’e una cosa che nessuno ti ha detto. Scommetto che nessuno ti ha mai parlato della Soluzione Zero».
C’era una nota di trionfo cosi vibrante nella sua voce, che Len capi subito che non avrebbe dovuto piu ascoltare. Ma lei rise, lo scherni.
«Tu volevi imparare, vero? E lassu ti hanno sempre detto di cercare tutta la verita, e di non accontentarti mai di una sola parte di essa? Vuoi conoscere l’intera verita, non e cosi? Oppure hai paura anche di quella?»
«D’accordo,» disse Len. «Cos’e la Soluzione Zero?»
Joan glielo disse, con una specie di soddisfazione vendicativa.
«Sai come lavorano, costruendo teorie e trasformandole in equazioni, e inserendo le equazioni in Clementina, che deve risolverle. Se le equazioni vengono sviluppate, si tratta di un altro passo avanti. In caso contrario, come l’ultima volta, si tratta di un vicolo cieco, di una soluzione negativa. Ma loro accumulano continuamente le equazioni in Clementina, sommando questi passi avanti verso quella che chiamano la Soluzione Prima. Ebbene, supponiamo che
«Dio,» esclamo Len. «E possibile? Credevo…». La guardo nella notte nevosa, sentendosi scosso e miserabile, sentendosi molto stupido, e tradito.
«Credevi che fosse una certezza, e che l’unico problema fosse il ’quando’. Ebbene, chiedilo al vecchio Sherman, se non credi a me. Tutti sanno della Soluzione Zero, ma non ne parlano mai, come non parlano del fatto che un giorno o l’altro dovranno morire. Chiedi in giro. E poi prova a immaginare quanto valga la tua vita in confronto di
Se ne ando. Aveva un autentito genio, nello scoprire in quali momenti doveva andarsene. Lui non ando alla festa a casa di amici. Ritorno a casa, e rimase la, solo, pensieroso, fino a quando non entro Hostetter, e quando Hostetter arrivo Len era gia di un umore cosi cupo e depresso che non gli diede neppure il tempo di chiudere la porta, e subito cinese:
«Cos’e questa faccenda della Soluzione Zero?»
Anche il volto di Hostetter si oscuro.
«Probabilmente, esattamente quello che hai saputo,» disse, togliendosi il giaccone e il cappello.
«Tutti sono molto riservati, sulla faccenda».
«Ti consiglio di non parlarne molto neppure tu. E una specie di nostra superstizione locale, non parlarne».
Si mise a sedere, e comincio a slacciare gli stivali. La neve si scioglieva formando piccole pozze sul pavimento. Len disse:
«Non mi stupisco di questo».
Hostetter continuo a togliersi metodicamente gli stivali.
«Credevo che lo sapessero,» disse Len. «Credevo che fosse una certezza».
«La ricerca scientifica non procede per certezze».
«Ma come possono consumare tutta la vita, o forse la vita di molti altri uomini, se pensano che la soluzione potrebbe anche non esistere?»
«Perche in qual modo potrebbero scoprirlo, senza tentare? E inoltre, perche non esistono altre strade». Hostetter getto in un angolo gli stivali, accanto alla stufa rotonda. Generalmente li posava la, ordinatamente, non troppo vicino al calore.
«Ma e pazzesco,» disse Len.
«Davvero? Quando tuo padre seminava il terreno, aveva la garanzia di ottenere un buon germoglio e un ricco raccolto? Era sicuro che ogni mucca e ogni vitello sarebbero stati sani, e avrebbero ricompensato i costi e le fatiche?»
Comincio a togliersi la camicia. Len rimase seduto, accigliato.
«Va bene, questo e vero. Ma se il raccolto era povero, o se il bestiame moriva, c’era sempre un’altra stagione. E qui? Se la soluzione sara… sara negativa?»
«Dovranno ritentare. Se un simile campo di forza non e possibile, dovranno escogitare altri metodi. E forse una parte del lavoro svolto dara loro un indizio, e tutto non sara stato sprecato». Sistemo i vestiti sulla sedia, e scivolo sotto le coperte. «Accidenti, ma credi che il genere umano abbia mai imparato qualcosa, senza ricorrere al metodo della prova e dell’errore?»
«Ma ci vuole tanto, tanto tempo…» disse Len.
«Ci vuole sempre molto tempo, per tutte le cose. Una nascita richiede nove mesi, e morire richiede tutto il resto della propria vita, e di che cosa ti lamenti, ora? Sei arrivato qui. Aspetta di avere l’eta di tutti noi. Allora forse avrai qualche motivo per lamentarti».
Gli giro la schiena, e si copri la testa con la coperta. Dopo qualche tempo, Len soffio sulla lampada, e la spense.
Il giorno dopo, tutta Fall Creek parlava del fatto che Julio Gutierrez si era ubriacato a casa di Sherman, e aveva picchiato Frank Erdmann, e che Ed Hostetter era dovuto intervenire e portare di peso Gutierrez a casa. Una rissa tra il direttore delle ricerche di fisica e il direttore delle ricerche di elettronica era uno scandalo cosi grosso da tenere in movimento tutte le lingue del paese, ma Len ebbe l’impressione che ci fosse una nota piu oscura e piu triste nei pettegolezzi, un’ombra di sconforto. O forse perche aveva sognato per tutta la notte il raccolto che marciva e gli agnelli che morivano, i suoi pensieri erano tristi e immaginavano la stessa cosa nei pensieri degli altri.
27.
Esau venne a picchiare alla porta prima dell’alba. Era la terza mattina di gennaio, un lunedi, e la neve cadeva abbondante e impetuosa, come una gran massa bianca, e sembrava che Dio le avesse ordinato di seppellire il mondo prima di colazione.
«Non sei pronto?» domando a Len. «Be’, sbrigati, con questa neve arriveremo tardi lo stesso!»
La testa di Hostetter spunto dalle coperte.
«Cos’e tutta questa fretta?»
«Clementina!» esclamo Esau, come se quella parola avesse spiegato tutto. «La grande macchina. La provano stamattina, ed Erdmann ha detto che possiamo assistere alla prova, prima di metterci al lavoro. Avanti, fa’ presto!»
«Lasciami infilare gli stivali, almeno,» brontolo Len. «Clementina non scappera via».
Hostetter disse a Esau:
«Speri di riuscire a lavorare su Clementina, un giorno o l’altro?»
«No,» disse malinconicamente Esau, scuotendo la testa. «Occorre troppa matematica, troppa preparazione. Imparero tutto sulla radio, invece. Dopotutto, e stata la radio a portarmi qui. Ma voglio veder pensare quel grosso cervello meccanico a tutti i costi! Sei pronto, Len, adesso? Sicuro? Va bene, andiamo!»
Il mondo era bianco, e cieco. La neve cadeva diritta, senza un alito di vento che la agitasse, e cosi dovettero cercare a tentoni la strada attraverso il villaggio, dove si potevano ancora seguire i sentieri scavati nella neve, intuendo la presenza delle case, piu che vederle. Fuori, sulla strada, fu molto diverso. Era come nei campi, a casa, quando aveva nevicato cosi intensamente, senza alcun segno, senza alcuna direzione precisa, e Len fu pervaso dall’antico senso di stordimento. Tutto era scomparso, all’infuori del senso del
«Stai andando fuori strada,» disse Esau, e Len ritorno sulla pista appena abbozzata. Poi tocco a Esau. Camminarono vicini, facendo i consueti commenti sulla malvagita del destino e sull’inclemenza del tempo, e Len disse, improvvisamente:
«Sei contento, qui?»
«Certo,» disse Esau. «Non tornerei a Piper’s Run nemmeno se me lo regalassi tutto».
Parlava sinceramente. Poi chiese.
«E tu no?»
«Certo,» disse Len. «Si, certo».
Arrancarono nel mondo bianco, e i freddi fiocchi piumati accarezzavano i loro volti, cercando di riempire la bocca e il naso, e soffocarli silenziosamente, dolcemente, nel loro silenzio bianco, perche la loro presenza turbava la bianca vastita uniforme della via.
«Cosa ne pensi?» domando Len. «Troveranno mai la risposta? O giungeranno alla Soluzione Zero?»
«Diavolo,» disse Esau, «E a me cosa importa? Io ho abbastanza cose da fare».
«Non t’importa mai niente?» domando Len.
«Certo! Quello che voglio fare, a esempio, e il fatto di non avere un branco di vecchi stupidi a dirmi che non posso farlo. Ecco quello che mi importa davvero. Ecco perche sono qui».
«Si,» disse Len. «Certo». E vero, penso, puoi fare quello che vuoi e dire quello che vuoi e pensare quello che vuoi… con una sola eccezione. Non puoi dire che non credi in quello che loro