fame, gli inverni passati in strane comunita, e tutti i giorni e le notti e gli anni durante i quali abbiamo sognato di diventare uomini di Bartorstown!

Ma il sogno era diverso, allora. Era tutto lucente e colorato e splendido, come lo aveva raccontato la nonna, e non c’erano tenebre in esso.

Continuava cosi per giorni e giorni, e a un certo punto pensava: Ora finalmente ho vinto le mie paure.

E poi si svegliava urlando nel cuore della notte, e Hostetter lo scuoteva, per strapparlo dall’incubo.

«Cosa stavi sognando?» domandava Hostetter.

«Non so. Un incubo, penso». Si alzava e andava a prendere un bicchiere d’acqua, e aspettava che il sudore e il tremito si quietassero. E poi domandava, con noncuranza, «Ho detto qualcosa?»

«No, almeno non ho sentito niente, all’infuori del grido. Ti lamentavi».

Ma poi si accorgeva che Hostetter lo fissava, con espressione intenta e pensierosa, e si domandava se lui non sapesse benissimo la natura del suo incubo.

Le paure di Esau erano acque meno profonde di quelle nelle quali navigava lo spirito di Len. Si trattava, quasi esclusivamente, di paura fisica, e quando egli fu pienamente convinto che nessuna forza invisibile avrebbe bruciato il suo corpo e le sue ossa, divento molto indifferente, quasi noncurante, e parve considerare il reattore come una sua proprieta, qualcosa che lui stesso aveva costruito. Len gli domandava:

«Non ti ha mai preoccupato… voglio dire, non hai mai pensato che se il reattore non fosse stato tenuto in funzione, qui, non ci sarebbe nessun bisogno di trovare una risposta…».

«Hai sentito cosa ha detto Sherman. Potrebbero esisterne degli altri. Forse nelle mani del nemico. E allora, cosa accadrebbe?»

«Ma se questo fosse l’ultimo reattore del mondo?»

«Be’, non fa male a nessuno. E poi, Sherman ha detto che se anche fosse cosi, non avrebbe importanza, perche qualcuno potrebbe riscoprire l’energia atomica e tutto il resto».

Forse no, forse mai. Forse lo dice solo per giustificarsi. Hostetter aveva usato una parola, per definire questo… razionalizzazione. In ogni modo, questo sarebbe accaduto tra molto, molto tempo. Altri cento anni, forse duecento, forse ancora di piu. Non saro vivo, per vedere quel giorno.

Esau rise:

«La mia donna e veramente un fenomeno».

Stavano chiacchierando, come sempre, durante il lavoro. Len non vedeva molto Amity: e quando la vedeva, i loro rapporti erano freddi. C’era un senso di gelo, tra loro, una specie di reciproco imbarazzo che non facilitava le conversazioni amichevoli. Cosi domando a Esau:

«Perche lo dici?»

«Be’, quando ha saputo di questa faccenda dell’energia atomica, ha avuto una crisi terribile. Si e messa a piangere, ha detto che avrebbe perduto il bambino, ha detto che era orribile. E vuoi sapere una cosa? Adesso ha stabilito che si tratta solo di una grossa bugia, per farle credere che qui sono tutti terribilmente importanti, e dice di averne le prove».

«Quali?»

«Il fatto che tutti sanno che cosa produce l’energia atomica, e che se ce ne fosse, qui, non rimarrebbe questa gola, ma solo un grosso cratere nero, come raccontava il giudice».

«Oh,» disse Len.

«Be’, lei e contenta cosi. Cosi io non discuto. A che servirebbe? In fondo, lei non sa niente di queste cose, non le capisce». Si frego le mani, e sogghigno. «Spero proprio che mio figlio sia un maschio. Forse io non riusciro a imparare abbastanza, per far funzionare la grande macchina, ma lui potra riuscire. Al diavolo, potrebbe essere addirittura lui a trovare la risposta!»

Esau era affascinato dalla grande macchina, da Clementina. Le gironzolava attorno ogni volta che trovava un minuto libero, rivolgeva interminabili domande a Erdmann e ai tecnici che vi lavoravano, fino a quando Erdmann non comincio a manifestare qualche segno d’insofferenza, e a cambiare strada, ogni volta che incontrava Esau. Spesso Len andava con il cugino. Rimaneva immobile, a fissare la faccia scura della cosa, fino a quando non si sentiva pervadere da un senso d’inquietudine, di nervosismo, come se fosse stato al capezzale di un dormiente che si fingesse tale, ma che in realta lo osservasse a occhi chiusi. E pensava: Non e veramente un cervello, non pensa realmente, e solo un nome che le hanno dato, e le cose che conosce, e i calcoli che puo fare, sono soltanto imitazioni del pensiero. Ma durante le ore notturne una creatura lo perseguitava, una creatura con un grande cuore pulsante di fuoco infernale, e un cervello grande come il fienile di papa.

Nel complesso, pero, lavorava sodo per adattarsi, e ci riusciva bene. Ma c’erano altre ore, ore di veglia, durante le quali un’altra creatura lo perseguitava, e gli lasciava ben poca pace. E questa era una creatura umana, e non un incubo. Era una ragazza di nome Joan.

25.

Tre gruppi diversi di stranieri vennero a Fall Creek prima che cominciasse a nevicare, si trattennero brevemente per vendere le loro merci e acquistare cio che Fall Creek aveva da offrire, e ripartirono. Due gruppi di questi stranieri erano costituiti da piccole bande di uomini bruni e robusti, che seguivano le mandrie selvagge, cacciatori e domatori di cavalli, e offrivano puledri da poco domati in cambio di farina, zucchero, e acquavite di grano. Il terzo e ultimo gruppo era composto da Nuovi Ismaeliti. Erano venticinque, e non erano mercanti, e vennero a reclamare polvere e pallottole come dono per gli unti del Signore. Non si trattennero la notte a Fall Creek, ne oltrepassarono la periferia del paese, come se avessero avuto paura di rimanerne contaminati, ma quando Sherman mando loro quanto avevano domandato, essi cominciarono a cantare e a pregare, agitando le braccia e gridando Alleluia. Meta della popolazione di Fall Creek era uscita per vederli, e anche Len era la, in compagnia di Joan Wepplo.

«Tra poco uno di loro si mettera a predicare,» disse Joan. «E quello che tutti aspettano».

«Ne ho sentite anche troppe di prediche,» borbotto Len. Ma rimase la. Il vento era gelido, soffiava nella gola proveniente dai grandi campi di neve delle vette piu alte. Tutti indossavano giacconi di pelle di vacca o di cavallo, ma i Nuovi Ismaeliti non avevano altro che i loro stracci e le loro pelli di capra che sbattevano al vento intorno alle gambe nude. Apparentemente, non si curavano del freddo.

«Malgrado la loro resistenza, d’inverno soffrono terribilmente,» disse Joan. «Muoiono di fame, e di congelamento. I nostri uomini trovano i loro cadaveri a primavera, a volte un’intera banda, compresi i bambini». Li fisso con occhi freddi e pieni di disprezzo. «Dovrebbero dare almeno ai bambini la possibilita di sopravvivere. Dovrebbero lasciarli crescere abbastanza, affinche possano decidere se morire o no per il freddo, e per la fame».

I bambini, ossuti e lividi dal freddo, battevano i piedi e urlavano e scuotevano i capelli scarmigliati. Non sarebbero mai stati capaci di prendere una decisione, neppure se fossero diventati adulti. L’abitudine sarebbe stata troppo forte, l’inizio della loro vita avrebbe condizionato troppo pesantemente il loro modo, non di pensare, ma di esistere. Len disse:

«Penso che non possano permetterselo, come non se lo possono permettere ne la vostra gente, ne la mia».

Un uomo usci dal gruppo e comincio a predicare. Aveva i capelli e la barba di un grigio sporco, ma Len lo giudico meno vecchio di quanto sembrasse. I Nuovi Ismaeliti non diventavano mai molto vecchi. L’uomo vestiva di pelli di capra, sporche e unte, e le ossa del torace sporgevano come una gabbia per uccelli. Scosse i pugni alla gente di Fall Creek, e grido:

«Pentitevi, pentitevi, perche il Regno di Dio e vicino! Voi che vivete per la carne e i peccati della carne, si, voi!, la vostra fine e vicina. Il Signore ha parlato con le fiamme e il tuono, la terra si e aperta e ha inghiottito l’ingiusto, e qualcuno ha detto: ’Questo e tutto, Egli ci ha punito, e ora siamo perdonati, ora possiamo dimenticare.’ Ma io vi dico che Dio nella Sua misericordia vi ha dato soltanto un poco di tempo, e che il tempo e quasi trascorso, e voi non vi siete pentiti! E cosa direte quando i cieli si apriranno, e Dio verra a giudicare il mondo? Come piangerete implorando e supplicando misericordia, e a che cosa vi serviranno i lussi e le vanita di cui vi circondate, allora? Saranno fascine per alimentare le fiamme dell’inferno! Fuoco e tenebra e stridore di denti, e sofferenza e dannazione eterna, se non vi pentirete e cospargendovi il capo di cenere non farete penitenza per i vostri peccati!»

Il vento affievoliva le sue parole e le soffiava via, portandole lontano, pentitevi, pentitevi, come un’eco che svaniva in fondo alla gola, come se il pentimento fosse ormai una speranza perduta. E Len penso, Cosa accadrebbe, se lui sapesse, se corressi verso di lui gridando quello che c’e nella gola, a meno di mezzo miglio da lui? A che gli servirebbero, allora, le sue pelli di capra, e tutti i massacri commessi in nome della fede?

Vattene. Vattene, vecchio pazzo, e smetti di urlare.

Se ne ando, infine, pensando apparentemente di avere compensato a sufficienza il dono ricevuto. Raggiunse il suo gruppo, e tutti si allontanarono sulla tortuosa strada del passo. Il vento era aumentato, e sferzava crudelmente le rocce, e ululava gelido, e i Nuovi Ismaeliti si piegavano per la violenza della bufera e per la ripida ascesa, con i capelli sbattuti qua e la, e gli stracci che li coprivano sbattuti anch’essi dal vento. Len rabbrividi, involontariamente.

«Anch’io sentivo compassione per loro, una volta,» disse Joan. «Fino a quando non mi sono resa conto che ci ammazzerebbero tutti in un minuto, se lo potessero». Si guardo gli abiti, la giacca di vitello con il pelo all’esterno, la gonna di lana, gli alti stivali caldi. «Vanita,» disse. «Lusso.» E rise, una risata breve e aspra. «Vecchio, sporco stupido! Non conosce nemmeno il significato delle parole».

Sollevo il capo, e guardo Len. I suoi occhi brillavano di qualche pensiero segreto.

«Potrei mostrarvelo, Len… cosa significano quelle parole».

I suoi occhi lo turbavano. Come sempre. Erano cosi penetranti e acuti, e dietro di essi la sua mente pareva pensare sempre cosi rapidamente… pensieri che lui non riusciva a seguire. Ora sapeva che lei lo stava sfidando, in qualche modo, e cosi disse:

«Va bene, allora, mostratemelo».

«Dovrete venire a casa mia».

«Verro comunque per il pranzo, non ricordate?»

«Voglio dire subito».

Si strinse nelle spalle.

«Andiamo».

S’incamminarono, attraverso le stradine anguste di Fall Creek. Quando giunsero alla casa di lei, Len la segui nell’interno. C’era silenzio, un silenzio rotto soltanto da due mosche tardive che ronzavano stanche sulla finestra, e c’era caldo, dopo il vento gelido. Joan si tolse la giacca.

«Penso che i miei siano ancora fuori,» disse lei. «Credo che non torneranno presto. Vi dispiace?»

«No,» disse Len. «Non importa». Si tolse a sua volta il giaccone, e si mise a sedere.

Joan si avvicino alla finestra, osservando le mosche. Aveva camminato molto in fretta, lungo la strada, ma adesso, improvvisamente, pareva non avere alcuna fretta.

«Vi piace ancora lavorare nel Buco?»

«Certo,» disse Len, cauto. «Certo».

Silenzio.

«Non hanno ancora trovato la risposta?»

«No, ma non appena Erdmann… Ma perche mi avete fatto questa domanda? Lo sapete benissimo che la risposta non e stata trovata».

«Qualcuno vi ha detto entro quanto tempo la troveranno?»

«Sapete bene anche questo».

Ancora silenzio, e Joan continuo la sua silenziosa caccia alle mosche, e una di esse, ora, era morta sul pavimento.

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